Nuovi modi di essere Uomini
Intervista a Giacomo Mambriani, membro delle associazioni Maschile Plurale e Gruppo Uomini Verona. "Nella relazione con la donna si trova la strada per essere uomini".
Intervista a Giacomo Mambriani, membro delle associazioni Maschile Plurale e Gruppo Uomini Verona. "Nella relazione con la donna si trova la strada per essere uomini".
«Guardi, io ho una mia personale idea su come potrebbe avvenire una radicale trasformazione di questa società. La nostra è una società violenta, che ci impone ruoli maschili e femminili fissi, che non sanno dialogare tra loro.
Ecco, mi piacerebbe creare dei luoghi, dei momenti di scambio, di confronto. Dove uomini e donne possano relazionarsi tra loro, parlare, così, semplicemente. Senza stare a guardare che ruolo abbiamo, che divisa indossiamo, se siamo maschi o femmine. Scambiarci quello che siamo e basta.
Nell’era della comunicazione sappiamo pochissimo gli uni gli altri. Ognuno di noi vive degli abissi di solitudine e sofferenza enormi.
Grazie a degli incontri autentici ci sentiremo tutti accolti per quello che siamo, e non ci sarà più bisogno di imporci con la violenza.
Adesso scusi un secondo, che devo girare il risotto.»
Più che un’intervista, quella con Giacono Mambriani, attivista dell’associazione Maschile Plurale e del Gruppo Uomini di Verona, è sembrata un “cena virtuale”. Da una parte del telefono lui che cucinava, dall’altra chi faceva le domande e scriveva le risposte. Il tutto, in un clima informale e di confronto libero.
Mambriani è educatore e supervisore pedagogico alla Bicocca di Milano. Ha visto nascere il Gruppo Uomini di Verona, venti anni fa, quando stava per laurearsi in Lettere.
«Stavo partecipando ad un convegno nel 2002, presso l’Università di Verona. Parlavano della relazione tra uomo e donna, della psicologia della differenza. C’erano docenti molto preparate.
Ad un certo punto un uomo del pubblico interviene e lancia una proposta: creare un gruppo di uomini che si possa incontrare regolarmente per riflettere e approfondire i temi che stavamo ascoltando. Abbiamo fatto una veloce raccolta di firme e così è nato il nostro Gruppo Uomini Verona.
Il prossimo anno compiamo venti anni, e sarà forse l’occasione per riprendere in mano tutto il percorso fatto fino a qui e rilanciarlo verso il futuro.»
Il vostro gruppo fa parte della rete Maschile Plurale, giusto?
«Sì esatto. Maschile Plurale è presente in tutta Italia (www.maschileplurale.it) e anche noi ci siamo inseriti in questa associazione. Ogni sede lavora in modo autonomo, anche se collegato. Ci sono quelli più attivi a livello pubblico e quelli che invece lavorano più a livello interiore. Noi abbiamo desiderato creare uno spazio di confronto personale. Siamo un gruppo aperto a chiunque ne voglia far parte, ma abbiamo preferito lavorare partendo da noi stessi, dalla nostra esperienza concreta di uomini inseriti in questa società con storie, professioni e percorsi diversi. Ci accomunano però due aspetti: il riconoscimento dell’importanza del femminile, di figure femminili, nelle nostre vite (che siano madri, sorelle, mogli, autrici, insegnanti, colleghe..); e il senso di frustrazione.»
Cosa intende con senso di frustrazione?
«Vede, noi uomini siamo costretti in un ruolo molto rigido. Dobbiamo essere duri, forti, sopportare ogni cosa, tenerci tutto dentro. Virili e autoritari. Per molti aspetti, la società ci vuole ancora così. Molti uomini però non si sentono a loro agio in questo vestito che gli viene cucito addosso. Nel nostro gruppo facciamo questo: creiamo uno spazio per raccontarci. Per esprimere le nostre emozioni liberamente, attraverso le parole e l’ascolto. All’esterno, nella quotidianità, questo tipo di scambio tra uomini non è facile. Anzi, a volte non è nemmeno socialmente accettato. Lo scambio tra uomini di solito si ferma alla chiacchiera, allo scambio di informazioni di lavoro, sport, donne (intese per lo più come conquiste).»
Cosa fate quindi nel Gruppo Uomini di Verona?
«Lavoriamo su di noi. E mi creda è la parte più faticosa. La tendenza è sempre quella di partire per la tangente, affrontare un tema prendendolo alla larga: magari dicendo cosa abbiamo letto, cosa ha detto quello o quell’altro. Invece il nostro obiettivo è rimanere ancorati alla nostra esperienza, rileggerla, condividerla. Il cambiamento vero invece deve partire dalla nostra interiorità maschile, altrimenti non sarà un vero cambiamento. Poi partecipiamo anche ad incontri pubblici, a volte ci chiedono degli interventi nelle scuole. Ma quello viene dopo, prima c’è il nostro spazio di condivisone mensile.»
Qual è stata la difficoltà maggiore in questi anni?
Penso siano state due. La prima, come dicevo, è la tendenza a divagare sul problema, a non affrontarlo personalmente. Perché la paura di sottofondo di noi uomini è quella di mostrarsi troppo vulnerabili e poi venire attaccati: con lo scherno, con il giudizio… La seconda è stata gestire i conflitti: c’è chi se ne è andato, altri sono arrivati. Non sempre ovviamente i punti di vista coincidono, soprattutto proprio sul tema delle nuove dinamiche relazionali tra uomo e donna. E per la sempre maggiore presenza della donna nella società. Molti uomini fanno fatica, la vedono come una minaccia al proprio ruolo e alla propria identità.
Siete mai stati attaccati per le vostre posizioni di uomini femministi?
«Sì, a volte anche pesantemente. Abbiamo subito diversi attacchi hacker al sito dell’associazione. L’anno scorso durante una conferenza online siamo stati interrotti con slogan contro le donne, insulti, con musica forte e quant’altro.»
Perché secondo lei ci sono reazioni così accese al vostro modo di intendere la mascolinità?
«Perché molti uomini si sentono in difficoltà con questi cambiamenti. Il patriarcato, che noi consideriamo una gran fregatura perché toglie libertà anche agli uomini, descriveva però un modello di uomo molto preciso. Ora, con la critica a quel modello, molti uomini non sanno più chi sono. Non sanno come essere uomini in modo diverso. Dalla frustrazione nasce la paura di essere cancellati, di non avere un’identità. Questa paura, se non condivisa e rielaborata, si trasforma in aggressività. Che può essere agita verbalmente o anche fisicamente. Verso le proprie compagne, ad esempio. Perché semplicemente, non riescono ad accettare che siano loro a decidere la fine della loro relazione. E qui torniamo al punto di partenza. Per noi è fondamentale educarci ad esprimere le emozioni: la frustrazione, la paura, l’incertezza. Come uomini non siamo abituati a farlo, allora dobbiamo imparare. Ma se non lo facciamo le emozioni escono lo stesso: non attraverso la parola ma attraverso l’azione scomposta, disperata.»
Che cambiamenti ha visto in questi anni?
«Ne ho visti sia di negativi che di positivi. In negativo ho visto la recrudescenza delle reazioni violente di una parte di uomini che non riconoscono l’aumentato protagonismo delle donne anche nella vita di tutti i giorni. La giornata contro la violenza sulle donne ce l’ha ricordato in maniera drammatica, anche quest’anno.
D’altro canto sto notando che la trasformazione del modo di essere maschile è in corso e in modo inarrestabile se pur lento, forse. Pensi al modo di essere padre, per esempio, a quanto è cambiato in questi anni. I padri rivendicano la possibilità di passare del tempo con i loro figli, fin da quando sono piccoli. Vogliono occuparsi anche della loro cura, vogliono partecipare. Fino a poco tempo fa il ruolo del padre era solo economico. E qui le condivido un’esperienza personale. Sono padre di due figlie, e con loro ho appreso moltissimo. Ho imparato per esempio, un nuovo modo di intendere la forza. Occuparsi di un neonato, giorno e notte, è massacrante. A livello fisico chiede moltissimo. Bisogna avere una grande forza, anche interiore. Ecco, io l’ho capito sulla mia pelle occupandomi delle mie figlie.
E ho sperimentato una forza che non è violenta, ma è una forza che viene dal prendersi cura delle persone che si ama, è una forza a favore della vita. È una forza che permette la vita.
Penso che il lavoro di cura potrebbe proprio essere considerato un antidoto alla violenza.»
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