Si è concluso venerdì 3 dicembre a Villa Spinosa a Negrar il ciclo di incontri “Il mestiere dell’architetto”. Tre conferenze che l’Ordine degli Architetti di Verona ha ideato e organizzato tra novembre e dicembre in tre diverse cantine di vini, con lo scopo di valorizzare e rimettere al centro della società il ruolo dell’architetto.

Questa professione sarà infatti fondamentale nei prossimi anni per soddisfare gli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu che, fra i suoi 17 punti, mira a tutelare l’ambiente e a ridurre lo spreco energetico.  

«L’Ordine degli Architetti di Verona ha avvertito la necessità di ricucirsi al territorio e ha ideato un nuovo format, un nuovo modo di parlare del mestiere dell’architetto.

Abbiamo deciso di far scendere dal piedistallo gli architetti, dove erano soli e dove nessuno li considerava, per farli dialogare con le persone in maniera più colloquiale e intima», ha affermato l’architetta Daniela Cavallo, moderatrice dei tre incontri e responsabile del progetto.

L’Ordine degli Architetti di Verona ha dunque organizzato tre incontri in luoghi che solitamente non sono deputati alla trattazione di tematiche legate all’architettura, con l’obiettivo di far conoscere meglio il territorio veronese e di aprire un dialogo tra gli architetti e la popolazione, ma anche fra gli stessi professionisti.

Da sinistra, Mosè Ricci, Paolo Richelli, Daniela Cavallo e Paola Bonuzzi, vice presidente dell’Ordine degli architetti scaligero, a Villa Spinosa a Negrar.

Il format “Il mestiere dell’architetto” è stato molto apprezzato anche da altri ordini nazionali. Alcuni ospiti della rassegna desiderano infatti esportare il modello veronese e proporre in altre parti d’Italia dei cicli di incontro sull’architettura e sulla professione.

Il presidente dell’Ordine Matteo Faustini e la vicepresidente Paola Bonuzzi, entrambi presenti venerdì all’ultima conversazione, si sono infatti detti soddisfatti del successo di questi primi tre incontri.

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Il decorativismo come elemento identitario

Dopo aver parlato di etica e politica, l’ultimo incontro dell’Ordine di Verona ha affrontato il tema “Stile che cambia, dal Mediterraneo ai Paesi dell’Est”. con Paolo Richelli, architetto veronese, e Mosè Ricci, architetto e professore ordinario di Urbanistica e Progettazione all’Università di Roma.

I due ospiti, anche grazie ad alcune immagini proiettate, hanno messo in evidenza come oggi prevalga la tendenza di mescolare differenti linguaggi architettonici e canoni estetici per creare qualcosa di nuovo. L’elemento che può quindi personalizzare un ambiente è la decorazione, tramite la quale è possibile trasferire nello spazio la personalità di chi lo abita.

Il decorativismo stimola il senso di appartenenza di una persona a un luogo e segna un legame intimo con lo spazio.

Il dettaglio decorativo del Corso Trento e Trieste di Lanciano, foto Studio Ricci Spaini Architetti Associati.

La decorazione non è un segno di acquisizione di un’identità solo nelle abitazioni, ma è utilizzata anche nelle città. Ricci ha infatti mostrato l’esempio del comune abruzzese di Lanciano. La riqualificazione dell’asse viario del Corso Trento e Trieste ha preso avvio da un gioiello tradizionale, la Presentosa, riprodotto nella pavimentazione lunga 500 metri e diventato un vero e proprio elemento di identità del paese.

Rielaborare il vecchio per costruire il nuovo

I due ospiti hanno poi messo in luce la necessità da parte dell’architetto di lavorare su edifici già esistenti, in quanto negli ultimi 30 anni sono stati costruiti fin troppi immobili nuovi.

«Pure gli spazi interni degli edifici si sono rimpiccioliti a causa dell’inserimento sempre più consistente di nuove tecnologie – ha aggiunto Richelli –. Lo spazio infatti diminuisce e si moltiplicano sempre di più le funzioni».

Gli spazi non seguono più necessariamente i canoni di forma e funzione in seguito alla rivoluzione digitale e l’architetto deve inoltre rendere performante ogni edificio al fine di tutelare l’ambiente.

Da sinistra gli architetti Mosè Ricci, Daniela Cavallo e Paolo Richelli a Villa Spinosa, durante il dialogo sullo “Stile che cambia, dal Mediterraneo ai Paesi dell’Est”.

«La rivoluzione digitale ci permette di fare qualsiasi cosa ovunque – ha aggiunto Ricci -. Non esistono più degli spazi specializzati. L’architettura oggi deve tenere conto anche dei cambiamenti climatici e della coscienza ecologica. Deve dunque modificare e trasformare gli edifici già esistenti cercando di renderli funzionali e performanti, per contribuire alla riduzione delle emissioni nell’atmosfera e dei disastri ambientali».

Il gusto estetico però dell’architetto non deve mancare nelle opere che realizzerà anche in futuro e secondo Richelli è necessario educare la popolazione all’interpretazione dell’arte e del gusto.

L’Intervista /

Mosè Ricci: «La creatività oggi consiste nel rielaborare spazi già esistenti»

A margine dell’incontro, Mosè Ricci ha risposto ad alcune domande sulla professione oggi e nei prossimi anni, su quanto sia centrale la questione dello stile e sul legame con la classicità.

Chi è oggi l’architetto e che ruolo riveste nella società odierna?

«L’architetto riveste sempre lo stesso ruolo nella società, in quanto è chiamato a realizzare case e città, posti ricchi di bellezza e possibilmente felici. Sono cambiati invece i concetti di bellezza e di felicità. Oggi qualsiasi luogo che ci offre una città, pure un capannone industriale, può essere carico di bellezza. L’architetto deve essere un mediatore, perché deve cercare di rendere performanti gli spazi su cui mette mano, da un punto di vista ecologico e sociale. Deve favorire l’incontro tra le persone e soddisfare le richieste dei propri clienti, con un occhio di riguardo per l’ambiente».

L’architetto Mosè Ricci, ordinario di Urbanistica e Progettazione all’Università di Roma.

Oggi con la globalizzazione la commistione di stili è sempre più evidente. Non è dunque più difficile personalizzare gli ambienti di un edificio, non avendo più un codice di riferimento come in passato?

«Semmai è proprio l’esatto contrario. È più semplice personalizzare gli ambienti di una casa o di un edificio, perché non si è più tenuti a prendere come punto di riferimento un determinato modello. L’architetto cuce uno spazio che soddisfi i gusti e le esigenze del cliente e che rispecchi il più possibile l’individuo che abiterà il nuovo ambiente. Nel realizzare questo processo, molto simile a quello di un sarto, se vogliamo, l’architetto ha la libertà di usufruire di stili diversi, di modificarli e trasformarli».

Oggi non si può più costruire nuovi edifici ma bisogna lavorare sugli spazi già esistenti. L’architetto non rischia in questo modo di perdere la propria creatività?

«Per tre generazioni non bisognerebbe costruire più nulla di nuovo. La creatività dell’architetto consiste in questo caso nella sua capacità di rinnovare dei luoghi recuperando la tradizione classica. Rielaborare i modelli passati va visto nell’ottica di realizzare opere nuove. Lo stile che ne deriva sarà dato dall’eredità di modelli già esistenti e dalla libertà di poter mescolare più linguaggi per creare qualcosa di nuovo».

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