Il gaslighting è una violenza «insidiosa, sottile, non se ne percepisce l’inizio, a volte è scusata dalla stessa vittima; non si tratta di una deflagrazione d’ira, che almeno è subito identificabile e magari oggetto d’immediata risposta, anche legale. È una sottile lama di ghiaccio che s’insinua, molte volte, tra la tranquillità delle mura domestiche. È una violenza gratuita e persistente, reiterata quotidianamente che ha la capacità di annullare la persona che ne è bersaglio. Si tratta di un vero e proprio lavaggio del cervello». È una forma di violenza psicologica nella quale vengono presentate alla vittima false informazioni con l’intento di farla dubitare della sua stessa memoria e percezione. Può anche essere semplice- mente il negare da parte di chi ha commesso qualcosa che gli episodi siano mai accaduti, o potrebbe essere la messa in scena di eventi bizzarri con l’intento di disorientare la vittima.

Il termine gaslight deriva dall’ omonima opera teatrale del 1938 (inizialmente nota come Angel street negli Stati Uniti), e dagli adattamenti cinematografici del 1940 e 1944 (quest’ultimo conosciuto in Italia come Angoscia). La trama tratta di un marito che cerca di portare la moglie alla pazzia manipolando piccoli elementi dell’ambiente, e insistendo che la moglie si sbaglia o si ricorda male quando nota questi cambiamenti. Il titolo origina dal subdolo affievolimento delle luci a gas (gaslight, appunto) da parte del marito, cosa che la moglie accuratamente nota, ma che il marito insiste essere solo frutto dell’immaginazione di lei. Il gaslighter è quindi una persona che finge, mente, e costruisce mondi inesistenti a suo proprio consumo. Ha bisogno di abbattere gli altri o l’altro per sentirsi qualcuno, perché non ha qualità proprie che lo soddisfino, ossia proietta sugli altri le proprie insufficienze e così riesce a sopravvivere. È un attore che interpreta ruoli perché la sua personalità è scialba e se vista fuori dal gioco dei ruoli, è un parassita psicologico, che vive sfruttando l’energia degli altri sottraendola loro e vi- vendo di quella per quanto se ne possa servire. Questo disturbo di personalità, assomiglia ad un patchwark di disturbi, quale che è la natura del suo comportamento: basato a priori sulla confusione. È un comportamento che confonde.

In questa personalità, diverse componenti si intrecciano in una commistione dalla misura diversa secondo le varie individualità di gaslighter. Non è per esempio un mitomane vero e proprio, né portatore del disturbo istrionico di personalità. Non è possibile nemmeno ricondurlo al solo disturbo paranoide o narcisistico. Assomiglia ad un Arlecchino, vestito di ritagli colorati secondo i vari disturbi; ogni ritaglio ha una sua fenomenologia. È una personalità complessa e sicuramente avvolto da un disagio che ha origini in un vuoto affettivo disorganizzato che trova radici nella sua storia personale. Ma il rapporto fra due persone è più di un contatto fra due coscienze; quando due persone si incontrano, è la totalità della loro psiche che si incontra: conscio e inconscio, detto e non detto, tutto influisce sull’altro. Fra due persone accade che ci si scambia assai più di quanto venga espresso con le parole o con le azioni. Il gaslighter ha bisogno perciò di una persona insicura di sé; spesso si tratta di una persona che fin dalla sua infanzia è abituata a subire e ad avere paura, particolarmente sensibile all’offerta di affetto, sminuita nella sua personalità ad ogni occasione, ridicolizzata in ogni suo tentativo di fare qualcosa di nuovo, di bello, di sperimentare quella vita che va al di là della routine quotidiana.

È una persona che non riesce ad uscire dalla dipendenza affettiva con uno o entrambe i genitori, sentendosi incapace di fare da sola o apportare un pensiero nuovo al di fuori di quello famigliare in cui è cresciuta. Pena l’abbandono o la mortificazione; conseguenza l’incapacità di credere di poter avere voce in capitolo nella propria vita senza che questo ne comporti la sua distruzione. Tale “abitudine” alla squalificazione e alla dipendenza, può aver abituato il cervello a tale comportamento e può predisporre a cadere nella trappola di un torturatore che promette affetto e cura senza i quali diventa “impossibile sopravvivere”.
E così la simbiosi non evoluta si ripresenta sotto mentite spoglie.

Quando un’anima fragile, minacciata, aeriforme, forte come l’etere che anestetizza ogni forma di sentire, apre la porta della richiesta di aiuto, un corpo smaterializzato si presenta con tutta la distruzione di un amore feroce e forte come la morte.
Ma quando questo accade, talvolta è possibile ricostruire. Infatti il nostro DNA è un potenziale che può essere completamente modificato nelle sue espressioni dalle informazioni dell’ambiente che è fatto del contesto in cui si vive, di emozioni, dalla storia delle nostre relazioni. Le emozioni agiscono sul connettoma, l’insieme di reti neurali, delle relazioni all’interno del nostro cervello che dicono chi siamo noi. È  plasmato dalle nostre emozioni. Se sono positive si crea un’ attività cerebrale che viene memorizzata come qualcosa che ci ha fatto star bene. Ma se per lungo tempo proviamo paura, angoscia e siamo indifesi si produce un’onda sottosoglia che quasi non si avverte e tiene in allerta il sistema e si riverbera su tutto il corpo. Quest’onda viene memorizzata e agisce sui circuiti e talvolta brucia le terminazioni nervose. Ma è vero anche che si possono recuperare e riattivare le risorse dentro di noi attraverso interventi terapeutici basati non solo sul riconoscimento di quanto accaduto ma soprattutto attraverso una relazione terapeutica affettiva, costante e duratura. È  importante quindi uscire dalla logica della sola “iatria”, cioè della sola cura, ed entrare in quella della “logia”, cioè di un sapere che vuole capire e prendersi cura a partire dall’anima  e non solo dall’elenco di sintomi.

I modi della violenza sono molti. E così pure i modi di parlarne. È importante riconoscerla, affermarla, anche se sentire, stare nelle parole della violenza e parlarne, può sembrare già di per sé una violenza. Impossibile infatti rispettare completamente le atroci angosce inizialmente non riconosciute, dando loro voce attraverso parole che non saranno mai degne di descrivere l’assordante grido violento di cui rimarrà sempre l’ eco. Ma è importante anche per cercare di comprendere quanto accade per proporre nuove parole che possano prendersi cura, svelare e aprirsi a nuove possibilità di vivere negli affetti.

È importante parlare di violenza, attraverso anche l’apporto positivo dei media in termini di maggiore emersione di quanto tenuto segreto, senza il timore di incrementare la morbosità nel pubblico. Perché la morbosità non è qualcosa che viene suscitata dall’esterno, bensì fa parte della personalità dei singoli individui.
Questo parlarne può aiutare a vedere il gaslighting per quello che è realmente: una relazione completamente distorta, malata, nonché basata su un sottile quanto perfido inganno, da una parte fatto di una non evoluta simbiosi che si riverbera nelle relazioni adulte e dall’altra di un comportamento disturbato e criminoso.
Forse può aiutare anche chi abusa o chi si accorge di comportamenti abusanti tra le persone conosciute, facendo emergere il bisogno di chiedere aiuto.

Lombra è un lembo che si allontana verso altre spiagge.

Nella mia memoria un usignolo piange

Usignolo delle battaglie che canta tra i proiettili

Quando non bagneranno più di sangue la vita.

La stessa luna ferita ha una sola ala Il cuore ha fatto il suo nido in mezzo al vuoto.

Comunque ai confini del mondo fioriscono le querce

E la primavera arriva con le rondini.

Vicente Huidobro

Bibliografia

S. Baratta, L’immaginario della violenza, Moretti & Vitali

L. Zoja, Contro Ismene, Bollati Boringhieri

U. Galimberti, I miti del nostro tempo, Universale Economica Feltrinelli

M.L. Von Franz, L’ombra e il male nella fiaba, Bollati Boringhieri

A. Celico, Io e le spose di Barbablù, Mursia

M.F. Hirigoyen, Molestie morali, ET Saggi

L.Zoja, Contro Ismene, Bollati Boringhieri

© RIPRODUZIONE RISERVATA