Due o tre cose sulla “vicenda-Fresco”
Il caso-Fresco continua a tenere banco. Eppure ci sono aspetti della vicenda che risultano ancora poco chiari. E questo al netto dell'esito delle indagini, che proseguono il loro corso.
Il caso-Fresco continua a tenere banco. Eppure ci sono aspetti della vicenda che risultano ancora poco chiari. E questo al netto dell'esito delle indagini, che proseguono il loro corso.
Luigi Fresco dai mille volti.
Chi vive a Verona lo conosce bene o ci ha avuto a che fare qualche volta o, perlomeno, ha avuto modo di sentirlo nominare più volte.
Presidente della Virtus Verona, sodalizio calcistico che da rionale si erge fino al professionismo, capo allenatore del medesimo dal 1982, imprenditore impegnato nell’accoglienza, dirigente scolastico.
Ci fermiamo qui, citando i principali ruoli ricoperti negli ultimi anni, ma l’elenco potrebbe proseguire a lungo se pensiamo alle varie attività sociali sviluppate nel territorio, alle tante persone coinvolte nei suoi progetti.
Tutti in qualche modo conoscono “Gigi” Fresco e proprio per questo non è facile delinearne un profilo completo e definitivo.
In ogni caso, oggi appare un uomo solo.
La vicenda giudiziaria che lo ha travolto potrebbe trascinare via non solo lui, ma anche tutto quel mondo che negli anni si era costruito e tutta quella rete di relazioni che aveva tessuto e che indiscutibilmente ha beneficiato in tanti modi diversi della sua capacità d’azione. Questa rete oggi potrebbe abbandonarlo, per paura, per stato di necessità o per improvvisa irriconoscenza.
La questione gravita tutta attorno all’accoglienza migranti e la presunta truffa aggravata ai danni dell’Ente pubblico, la Prefettura di Verona nello specifico, nonché la falsità ideologica in atto pubblico e la turbata libertà degli incanti, reati di cui proprio Fresco si sarebbe reso colpevole.
L’istanza di riesame è stata depositata e servirà del tempo. In attesa di rivalutazione del caso, nulla si può aggiungere. Poniamo, però, all’attenzione alcuni aspetti della vicenda che, a prescindere dal corso giudiziario, devono indurci delle ulteriori riflessioni.
L’accoglienza è un’attività imprenditoriale, viceversa non verrebbe gestita da nessuno, se non dallo Stato.
Crediamo che questa sia una delle questioni che la “vicenda Fresco” ha portato alla ribalta con più vigore. Troppo spesso, con opinioni qualunquiste, si afferma che l’accoglienza debba essere un’attività assimilabile al volontariato, che il soggetto che se ne fa carico debba operare in pareggio di bilancio o in perdita. Altrimenti non sarebbe etico.
Guadagnare con l’accoglienza sarebbe cosa sporca, si dice. Non è così e non può essere così.
Chiariamo: guadagnare è una cosa, lucrarci sopra senza rispettare le condizioni minime di servizio erogato o, peggio, sfruttare l’accoglienza per secondi fini illegali – vedasi alla voce caporalato – è un’altra.
È doveroso non confondere chi guadagna in modo lecito e chi si macchia di crimini.
Solo un Ente pubblico può permettersi di destinare delle risorse per un bene comune, eventualmente anche rimettendoci. Non certo l’iniziativa privata. Se lo Stato, a monte, ha deciso di esternalizzare i servizi di accoglienza a soggetti privati, così come molti altri servizi, in primis quelli sanitari, non ci si può stupire, sconvolgersi o indignarsi se un soggetto privato interviene nell’accoglienza con logica imprenditoriale e mirando al profitto.
Non c’è nulla di male in questo.
Il discorso vale anche per i soggetti giuridici che operano attraverso società non a scopo di lucro.
Anch’essi hanno ormai ben compreso che assenza di scopo di lucro non significa affatto sacrificare l’efficienza economica, ma semplicemente di impegnarsi al reinvestimento dei profitti e non alla loro distribuzione tra i soci.
Non ci è dato di sapere se e quanto l’organizzazione di Luigi Fresco abbia guadagnato in questi anni dall’accoglienza ma, se ciò è accaduto, è legale, così come sarebbe legale se gli eventuali utili dovessero essere stati investiti in altre attività, stanti i limiti previsti dalla Legge e dallo statuto sociale.
L’etica imprenditoriale si valuta in base alla qualità del servizio offerto, non dal profitto che genera un business.
Un tema che è stato ben poco sviluppato in queste settimane è se Luigi Fresco, attraverso la sua organizzazione, abbia reso un buon servizio alla Prefettura e alla comunità oppure no.
Visti gli attestati di solidarietà provenienti dal territorio e anche dalla comunità degli Enti che fino ad oggi si sono posti come concorrenti dello stesso Fresco, viene da dire che la Virtusvecomp Verona S.S.D A.R.L – denominazione della società all’epoca dei fatti contestati – abbia utilizzato i contributi ricevuti per l’accoglienza erogando con professionalità e qualità i propri servizi e secondo capitolato.
Conferma di ciò l’abbiamo anche per il fatto che, in questa vicenda di accuse mosse a Fresco e alla Virtusvecomp, mai si sia accennato a mancanze nel servizio erogato o a scarsa professionalità della struttura organizzativa o degli operatori coinvolti.
In conclusione, in questi anni i richiedenti protezione internazionale e, indirettamente, la comunità veronese hanno beneficiato dell’azione dell’organizzazione guidata da Fresco.
Si può affermare che la Prefettura di Verona conosca Luigi Fresco da sempre, è sicuramente informata del suo modo di lavorare e del suo impegno sul territorio. Si aggiunga che ne conosce senz’altro anche i limiti, di persona e di imprenditore. Oggi, così come all’epoca dei fatti in esame, anno 2016.
Eppure, l’avvio dell’attività giudiziaria è arrivato dopo parecchio tempo.
Di certo lo scorrere dei mesi e degli anni non annacqua eventuali responsabilità e, con tutta probabilità, almeno una parte delle stesse contestazioni risulteranno incontrovertibili.
All’epoca, ad esempio, lo statuto della società Virtusvecomp non conteneva l’oggetto sociale indispensabile per poter partecipare all’assegnazione. Un vizio che, definirlo appariscente, sembra limitativo.
Però, nella ricostruzione che può fare un cittadino veronese, proprio questa così manifesta mancanza di alcuni requisiti formali non può non fare emergere l’interrogativo del “perché proprio ora”, a distanza di tanti anni. Periodo in cui, tra l’altro, il servizio di accoglienza erogato ha sempre rispettato gli standard richiesti.
Delle due l’una: o Fresco non poteva andare bene già allora, e quindi si può tranquillamente parlare di un errore già “a monte” della Prefettura, o, al contrario, va bene anche oggi, a meno che questi capi d’accusa non vengano considerati il modo più semplice per mettere in difficoltà un personaggio forse all’improvviso diventato scomodo per i suoi molti impegni e attività, non sempre così ben distinte tra loro.
A prescindere dagli esiti giudiziari, è del tutto probabile che in tempi brevi possa subentrare un nuovo attore nell’accoglienza che vada a sostituire Fresco e la sua organizzazione.
Difficile pensare che, chiunque arrivi, possa fare meglio del suo predecessore e che soprattutto possa farlo con la logica di integrazione che ha animato l’azione della Virtusvecomp in questi anni, le cui ricadute sul territorio sono state senza dubbio positive.
Queste considerazioni, è logico, non possono sviare da quanto verrà concluso in giudizio.
Rimane, in ogni caso, una sconfitta per Verona.
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