C’è qualcosa che inquieta nella posizione di Massimo Giuseppe Bossetti, l’uomo condannato all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio.

Preoccupa il fatto che il Dna del “muratore di Mapello” – come i giornali chiamano Bossetti – sia stato assurto alla dignità di “oggetto magico”, di sacra reliquia e devota testimonianza di una Verità altrimenti non attingibile.

Facendola semplice, la gente – investigatori prima, cittadini poi – si è convinta che il Dna risolva tutti i misteri. È un po’ come il vaccino: ho fatto la terza dose, senza entusiasmo ma con la voglia di evitare il contagio e di uscire dalla pandemia, e credo di poter fare la similitudine.

C’è chi è convinto che sia colpa del vaccino se – magari alla bella età di 90 anni – ha un qualche malanno fisico dopo essersi immunizzato. E c’è chi pensa che essendosi vaccinato è libero da ogni incombenza: può mangiare e bere a nastro.

Poi c’è chi pensa che nel vaccino ci sia un qualche microchip con cui “la Cia ci spia con l’aiuto della Polizia” – come dicevamo, irridenti, negli anni della rivoluzione mancata. E c’è chi pensa a chissà quali mali ci porterà.

In tutti i casi – vaccino miracoloso, vaccino causa di tutti i guai, vaccino che ci fa controllare e spiare – il risultato è lo stesso del mito del Dna: il pensiero magico prevale sulla riflessione umana. Prevale su una riflessione un filo razionale, aperta al dibattito e al confronto.

“Siamo orientati all’Assoluto e al Divino, pertanto il Magico ci prende”, potrebbe pensare qualcuno. Beato ottimismo. Non è proprio così: siamo orientati a farci incantare dagli incantatori di serpenti.

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Yara Gambirasio, la ginnasta di 13 anni, sparita e poi uccisa il 26 novembre 2010 nella Bergamasca

La vicenda di Yara Gambirasio e Massimo Giuseppe Bossetti

L’omicidio di Yara Gambirasio è un caso di cronaca nera del 2010, in provincia di Bergamo.

La vittima è Yara, 13 anni, essendo nata il 21 maggio 1997 a Brembate di Sopra (Bergamo). Scompare il 26 novembre 2010, nel tardo pomeriggio nei pressi del centro sportivo dove va di solito a fare ginnastica ritmica.

Il corpo della ragazzina viene trovato tre mesi esatti dopo la sparizione: il 26 febbraio 2011 a Chignolo d’Isola, in un campo, a circa 9 chilometri dal suo comune di residenza.

Massimo Giuseppe Bossetti, un muratore di Mapello, paese a 15 km di distanza da Brembate, dove viveva la vittima, viene arrestato nel giugno del 2014. Nel luglio del 2017 viene confermata in Corte d’Assise d’Appello di Bergamo la sua condanna all’ergastolo; un anno dopo identica conferma dalla Cassazione.

Bossetti avrebbe attratto con l’inganno Yara sul suo furgone Iveco, nei pressi del centro sportivo di Brembate, quel 26 novembre del 2010. Avrebbe poi tentato degli approcci sessuali su Yara: respinto, l’avrebbe ferita in più parti del corpo e quindi lasciata morire di freddo e di stenti in un campo di Chignolo d’Isola.

Perché Bossetti viene condannato? Perché, indizi a parte, vi è la “prova regina”: il suo Dna nucleare – quello che ci identifica oltre ogni ragionevole dubbio – sullo slip e i leggings della vittima. Il movente del delitto sarebbe di tipo sessuale.

I dubbi sulla colpevolezza di Bossetti sono molti. Ma non è questo l’argomento che qui vorrei toccare. Per questo rinvio a un articolo, pubblicato sul magazine Il Biondino della Spider Rossa. Crimine, giustizia e media e curato da Laura Baccaro, criminologa e psicologa giuridica.

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Yara Gambirasio, 13 anni, a sinistra, e Massimo Giuseppe Bossetti, condannato all’ergastolo

L’argomento che qui è importante toccare riguarda la “divinità” attribuita, in questo caso, all’esame del Dna.

Possiamo parlare di divinità perché l’esame sulla traccia di Dna, attribuita a Bossetti e trovata sugli indumenti di Yara Gambirasio, deve essere oggetto di fede. Non lo si può ripetere: viene impedito alla difesa di Bossetti, guidata dall’avvocato Claudio Salvagni, di fare un nuovo esame sul Dna. È così negato il diritto al contraddittorio.

Lo stesso esame del Dna che non si può e vuole far ripetere non è frutto di un “incidente probatorio”. Non è stato eseguito alla presenza dei consulenti della difesa dell’uomo sospettato e della pubblica accusa. L’hanno fatto il RIS dei Carabinieri, il nucleo scientifico dell’Arma, e per questo deve essere accettato nelle sue risultanze. Senza discussione alcuna.

Eppure, come scrive Maria Luisa Canale in un articolo sulla rivista di diritto Ius In Itinere, del febbraio 2021, “occorre il contraddittorio tra le parti, il rispetto dell’articolo 111 della Costituzione. Le risultanze scientifiche, quindi, per essere caratterizzate dall’affidabilità, devono poter essere confutate dalla controparte. Il metodo scientifico impone che, dinnanzi ad un dubbio, si approfondisca”.

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Una foto di scena del film Yara, visibile sulla piattaforma di streaming Netflix in ben cinque lingue

La propaganda al servizio della pubblica accusa

La negazione del diritto al contraddittorio e dei diritti della difesa è un problema che tocca tutti noi. Se una traccia biologica viene trovata su una persona uccisa, potremmo dover accettare che quella traccia sia geneticamente attribuita a noi senza che il nostro avvocato e il nostro consulente possano verificare quella attribuzione.

Quel che è peggio è che tutta la narrazione del caso giudiziario – si tratti di Bossetti o si tratti di noi – sia affidata alla sola Pubblica Accusa e dai media amplificata. Anche qui, senza alcun contraddittorio.

Sul caso di Yara Gambirasio sono stati prodotti, nel giro di qualche anno, un documentario a puntate della Bbc, intitolato Ignoto-1; e un film sulla piattaforma Netflix, diffuso così in tutto il mondo in ben cinque lingue, intitolato Yara.

In entrambi i casi la difesa non ha diritto di parola. Non vengono tematizzate le obiezioni, i dubbi, i distinguo, le specificazioni dell’avvocato di Massimo Bossetti.

Non vengono posti sotto una luce critica e con fondamento scientifico e storico-fattuale punti importanti del caso come questi che elenco:

  • il Dna sui leggings e sullo slip di Yara è senza ombra di dubbio di Massimo Bossetti?
  • come mai il Dna attribuito a Bossetti era abbondante e in ottimo stato di conservazione e quello di Yara, sugli stessi indumenti, era degradato da mesi di esposizione al freddo, alla neve e agli sbalzi di temperatura?
  • come mai non si sono individuati i proprietari delle altre tracce di Dna, di sesso maschile e sconosciuti, trovate sul corpo di Yara?
  • siamo certi, oltre ogni ragionevole dubbio, che Yara sia morta nel campo di Chignolo d’Isola?
  • sono davvero ricerche pedopornografiche quelle attribuite a Bossetti, attraverso il suo computer di casa? O non sono frutto di finestre pubblicitarie (pop-up) incrociate durante una navigazione su Internet?
  • perché si è fatto credere che il furgone bianco Iveco di Bossetti sia passato più volte davanti alla palestra dove era andata Yara quel 26 novembre, quando al processo i Carabinieri hanno ammesso di aver unito immagini di furgoni differenti?
  • perché non si è spiegato che gli agganci dei cellulari di Yara e di Bossetti, alle celle telefoniche delle rispettive zone, danno come risultato che Yara si era mossa in una direzione e Bossetti in direzione contraria?

Tutto questo, come possiamo verificare su Netflix e sulla Bbc, non è stato tematizzato né in occasione del recente film Yara; e neppure nel documentario Ignoto-1.

In compenso, milioni di persone al mondo hanno visto e vedranno una narrazione che non corrisponde alla verità sostanziale dei fatti. Ma che è solo frutto di una versione di parte: quella della Pubblica Accusa.

Quella del pubblico ministero e degli inquirenti può essere la visione giusta. Può essere che Bossetti sia davvero un personaggio dotato di inaudita crudeltà, al punto da godere nel lasciar morire di freddo e stenti – peraltro senza violenza sessuale o atti sessuali espliciti e dimostrati – una ragazzina ferita e sofferente.

Non possiamo, però, credere “per fede” nella Pubblica Accusa e nelle Corti d’Assise a quella visione. Possiamo credervi quando vi sia una dimostrazione frutto di contraddittorio che consente di far sparire ogni ragionevole dubbio.

Un scena dal documentario Ignoto-1 della Bbc sul caso di Yara Gambirasio

Yara, Bossetti e la negazione della Scienza

Possiamo definire “anti-scientifici” sia la posizione della Pubblica Accusa, nel processo contro Massimo Giuseppe Bossetti; sia la posizione della Corte d’Assise di Bergamo; sia il ruolo che hanno assunto media come Netflix e la Bbc sulla vicenda di Yara Gambirasio e Massimo Bossetti.

È anti-scientifica la posizione di un magistrato che si oppone in tutti i modi, formali e informali, a un contraddittorio su un elemento dirimente come l’esame del Dna, in questo caso giudiziario. Ha qualcosa da temere? Non dovrebbe essere il primo a volere, alla luce anche dei progressi in genetica forense, a veder replicata l’analisi, per trovare come ribadito il proprio convincimento?

Quanto alla Corte d’Assise di Bergamo, nonostante una pronuncia della Cassazione, non vuole concedere alla difesa di Bossetti di accedere ai reperti. Ricorda la posizione della Corte Suprema del Wisconsin che seguita a ignorare la richiesta di ammissione di nuove prove alla difesa di Steven Avery nel caso trattato da una famosa e ben costruita serie televisiva docu-film: Making a Murderer.

C’è qualcosa che non si vuole venga a galla? Si vogliono far deteriorare i campioni di Dna per far sì che davvero ci toccherà di credere “per fede” – e non “per Scienza” – ai risultati delle analisi sulle tracce biologiche?

Infine, i media. I giornali e le televisioni – con i notiziari e i dibattiti – hanno svolto il loro ruolo: raccolto indiscrezioni, pubblicato anticipazioni, aperto dibattiti. I social media ospitano le opinioni dei colpevolisti e degli innocentisti; nonché le posizioni della difesa di Bossetti che proprio su YouTube può spiegare in dettaglio le proprie ragioni sull’esame del Dna.

A sconcertare sono documentari come quello della Bbc, Ignoto-1, e film come Yara. Loro sono stati scritti a mente fredda; con tutto il tempo e l’occasione di aprire un contraddittorio che deve essere diverso da quello in un’aula di tribunale. Invece, hanno riportato una sola versione dei fatti; ignorando i dubbi scientifici, le obiezioni, le contraddizioni.

In questo modo hanno negato sia la Scienza, che vive di dibattito e confutazioni fra studiosi; sia il giornalismo d’inchiesta; e sia la propensione del cinema civile a raccontare storie scomode. E ad evitare di fare da megafono a qualche parte interessata, sia essa la magistratura o il collegio di difesa.

Il dramma, in tutto questo, è che vi è un’offesa alla Costituzione, la cui Carta che dovrebbe ispirare anche gli sceneggiatori e i giornalisti: “La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale” (articolo 111). 

La pagina del quotidiano L’Arena dedicato a un caso che assomiglia a quello di Yara Gambirasio

Sul caso di Yara Gambirasio puoi leggere…

Qui di seguito una serie di articoli scritti da Laura Baccaro, criminologa e psicologa giuridica, e da ma e che riguardano il caso di Yara Gambirasio, la vicenda di Massimo Giuseppe Bossetti, le rappresentazioni dei media e il caso giudiziario Sutter-Bozano che trattiamo nel blog Il Biondino della Spider Rossa. Crimine, giustizia e media:

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(foto di copertina di CDC, da Unsplash)

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