Fu davvero Massimo Giuseppe Bossetti, mestiere muratore, classe 1970, a uccidere la tredicenne Yara Gambirasio, il 26 novembre 2010, dopo la sparizione della ragazzina da Brembate di Sopra (Bergamo)? Sono in molti ad avere dubbi, nonostante la condanna definitiva di Bossetti all’ergastolo, nel 2017, dalla Corte d’Assise d’Appello di Brescia.

L’omicidio di Yara Gambirasio è ora un film thriller per la televisione e lo streaming. Dal 5 novembre 2021 è su Netflix, per gli abbonati alla piattaforma. La pellicola thriller è prodotta da Taodue e RTI con la regia di Marco Tullio Giordana.

Il regista Marco Tullio Giordana ha diretto film coraggiosi e di valore come Pasolini, un delitto italiano (1995), I cento passi (2000), La meglio gioventù (2003). Ma con Yara ha scritto e diretto un film da penultima fila.

Qui puoi leggere la recensione del film YARA che ho scritto sul magazine online Il Biondino della Spider Rossa. Crimine, giustizia e media

Per quanto riguarda il cast del film, i genitori di Yara Gambirasio sono interpretati da Sandra Toffolatti e Mario Pirrello. Le vittima è interpretata da Chiara Bono. Il ruolo di Massimo Giuseppe Bossetti, condannato per l’omicidio della ragazzina bergamasca, è stato invece affidato a Roberto Zibetti.

Nel ruolo della pubblico ministero, Letizia Ruggieri, vi è Isabella Ragonese. L’attore Alessio Boni veste la divisa di un colonnello dei carabinieri; con Thomas Trabacchi nel ruolo di un maresciallo suo sottoposto.

Yara Gambirasio, nella palestra dove si allenava per la ginnastica ritmica

Il film Yara ha inizio con il ritrovamento del corpo senza vita della ragazzina, il 26 febbraio 2011, a tre mesi esatti dalla sparizione, in un piccolo campo a Chignola d’Isola, a circa 9 km dal luogo della sparizione.

Il fatto che nel film la Pm, Letizia Ruggeri, e i carabinieri siano messi in evidenza fa comprendere come il film su Yara Gambirasio non vada oltre la versione ufficiale – da molti contestata – della vicenda.

Non ci si dimentica delle proteste di innocenza di Massimo Giuseppe Bossetti, a cui la Corte d’Assise di Bergamo non consente di far valere le sue ragioni per una revisione del processo. Peccato che finiscano nei titoli di coda, illeggibili anche a chi sa leggere veloce sullo schermo.

Secondo il magazine online My Movies, “il film di Giordana è l’esempio di un cinema civile esemplare, che si basa sull’oggettività dei fatti e sottolinea comunque come Bossetti, malgrado le condanne, continui a proclamarsi innocente”.

“Però è anche un film stanco, scarico, che si affida in gran parte agli attori, a cominciare da quelli che hanno spesso collaborato con lui come Alessio Boni nei panni del colonnello Vitale”, prosegue My Movies, “ma che scopre anche giovani protagoniste come la promettente Chiara Bono che interpreta Yara”.

Quello che sconcerta, in presentazioni filmiche del genere, è come la “verità giudiziaria” – con il mito del Dna, peraltro contestato da autorevoli studiosi e ricercatori – sia presa quale fonte di ispirazione al pari della verità storica. Vi sono aspetti nella vicenda di Yara Gambirasio che non sono chiari. Ma di questo non vi è traccia o la giusta tematizzazione nel film.

Altro aspetto sconcertante è come il poliziotto o il magistrato di turno siano trattati come unica fonte degna di nota, di attenzione e sostanziata di verità. Ci si dimentica che un agente di polizia o il pubblico ministero di turno sono una sola parte; c’è una difesa – quella della persona sospettata o imputata – che ha pure diritto di parola.

La vicenda di Yara Gambirasio e i dubbi

Il film Yara si basa sull’omicidio di Yara Gambirasio, 13 anni, scomparsa nel nulla la sera del 26 novembre 2010: stava tornando dalla palestra, a Brembate di Sopra (Bergamo), dove faceva ginnastica ritmica. N

onostante le ricerche approfondite, il corpo della ragazzina viene ritrovato solo tre mesi dopo, per caso, abbandonato in un campo di Chignolo d’Isola, a poco più di 9 km da Brembate di Sopra, sempre nella Bergamasca.

Il ritrovamento del corpo di Yara ha dato il via a una serie di sospetti e dubbi che hanno un loro perché. Il campo di Chignolo d’Isola – un appezzamento di terreno di modeste dimensioni – era stato perlustrato da terra e osservato dall’alto senza che fosse rilevato alcunché.

Come mai il cadavere della tredicenne viene invece trovato per caso da una persona che camminava su quel campo, spinto dalla passione per l’aeromodellismo? Il sospetto inquietante è che Yara sia morta da un’altra parte e poi portata su quel campo per essere fatta trovare.

La pubblico ministero incaricata delle indagini, Letizia Ruggeri, cerca l’assassino bastandosi su delle tracce di Dna trovate sul corpo di Yara Gambirasio. Di qui un controllo di massa del Dna degli abitanti della zona e l’individuazione di Massimo Bossetti come Ignoto 1, l’omicida – secondo l’accusa – della giovane.

La condanna all’ergastolo di Massimo Giuseppe Bossetti, nel 2016 in Corte d’Assise d’Appello a Brescia, non ha comunque chiuso la vicenda. Tant’è che il suo avvocato, Claudio Salvagni, nel giugno 2021 ha attaccato su Facebook i giudici della Corte d’Assise di Bergamo.

I giudici bergamaschi hanno infatti negato l’accesso ai reperti del processo che hanno portato il muratore di Mapello alla condanna definitiva all’ergastolo.

Yara Gambirasio, la vittima, a sinistra, e Massimo Giuseppe Bossetti, condannato all’ergastolo per l’omicidio

Massimo Bossetti è innocente”, ha scritto l’avvocato Claudio Salvagni. “Se mai avessi avuto dei dubbi, ora ne ho la certezza. Il non risultato ottenuto con la nuova pronuncia della Assise di Bergamo è, nuovamente, la dimostrazione della piena innocenza di Bossetti e che è semplicemente, al pari di tanti e tanti altri ingiustamente condannati, vittima di un sistema sordo e cieco”.

“Solo che a Massimo non è data neppure la possibilità di dimostrarlo, mai gli è stata data! Cosa nascondono quei reperti e campioni di così tremendo? Cosa si vuole celare alla difesa? Perché negare pervicacemente qualcosa a cui eravamo già stati autorizzati?”, ha chiesto l’avvocato di Bossetti.

L’avvocato di Bossetti fa riferimento alle sentenze della Corte di Cassazione che aveva dato ragione ai legali di Bossetti, in merito al ricorso rispetto alla decisione della Corte d’Assise sull’istanza presentata per l’accesso ai reperti.

Al caso di Yara Gambirasio è dedicata – insieme alla recensione del film su Netflix – una serie di articoli del magazine Il Biondino della Spider Rossa.

Oltre ai sospetti sul luogo del ritrovamento del corpo della ragazzina bergamasca, vi sono due altri punti importanti. Il primo è sul perché Bossetti avrebbe ucciso Yara, lasciandola morire di stenti in un campo, senza che su di lei vi sia stato alcun atto sessuale.

Il secondo punto da considerare è che non vi è una prova, oltre ogni ragionevole dubbio, che Yara sia uscita dalla palestra di Brembate, dove era andata quel pomeriggio del 26 novembre. Né vi sono prove che la collochino sul furgone di Bossetti.

Quanto al “mito del Dna”, nessuno vuole contestare il lavoro scientifico fatto per la pubblica accusa. C’è da chiedersi perché Massimo Giuseppe Bossetti e i suoi legali, sia sul Dna che sull’analisi dei reperti del caso, non abbiano avuto gli stessi diritti del pubblico ministero.

Articolo aggiornato l’11 novembre 2021

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