Che ci fosse aria di impresa, in città, si era capito. Il Verona di Igor Tudor, dopo lo spettacolo sontuoso regalato contro la Lazio e la trasferta a due facce di Udine, era pronto a mostrarsi al meglio. Dall’altra parte una Juventus in crisi, incerta sulle gambe come un pugile suonato, ancora stordita dal gol in extremis del Sassuolo. In mezzo una città intera: un popolo gialloblù che ha sentito l’odore del sangue, ha risposto presente e si è riversato al Bentegodi per assistere al colpo di grazia.

Che il mezzo passo falso di Udine non fosse un campanello d’allarme rispetto al valore dei titolari era chiaro a tutti, al contrario, la sicurezza con la quale i ragazzi di Tudor erano entrati per riprendere in mano una partita storta non poteva che far ben sperare in ottica Juve. 

Qualità e intensità, il Verona è un mix perfetto

La realtà della gara ha superato le più rosee aspettative. Il Verona ha imbastito la partita perfetta, confermando di saper colpire con quel mix perfetto di intensità e qualità, ma, forse per la prima volta, dimostrando di saper soffrire, rallentando il gioco quando possibile, sacrificandosi con tutti gli uomini, facendo i cambi giusti per tenere alto il pallone.

Per una sera, gli spettri delle rimonte subite sono stati ricacciati indietro. Certo, non senza i brividi lungo la schiena sulle pennellate a giro di Dybala o il sudore freddo in quegli interminabili 15 minuti che hanno separato il gol di McKennie dal triplice fischio finale. Ma il Verona ha tenuto, e lo ha fatto ancora una volta con quella combinazione di ordine e fuoco che Tudor ha portato in riva all’Adige.

La vittoria è del gruppo

Dal punto di vista tecnico c’è poco da dire: i tre davanti si intendono come se giocassero insieme da anni, Simeone è la risposta ad anni di preghiere laiche per la “ponta che fraca”, mentre per Faraoni e Lazovic abbiamo semplicemente finito gli aggettivi.

Una parentesi a parte va invece aperta per la difesa. Un trio improbabile e commovente: Gunter, Casale e Dawidowicz. Un turco-tedesco che si prende molti più improperi di quelli che merita, visto che il suo lavoro è rimanere da solo in mezzo all’area a fermare tutto ciò che passa il centrocampo; un ragazzo di Negrar a cui non hanno mai detto di essere alto un metro e novanta, e quindi si è messo in testa di fare il Di Marco, e un polacco semplicemente irresistibile, con una faccia (e una coordinazione) da cartone animato e una capacità di sacrificarsi a tutto campo inestimabile per la squadra. Con gente così, cosa può andare storto?

Persino i subentrati dalla panchina si sono uniti alla festa. Sutalo e Ceccherini sono entrati alla grande e hanno aiutato a tenere il forte nel momento in cui i bianconeri stavano spingendo al massimo, mentre Kalinic, subentrato a un Simeone da standing ovation, è riuscito a tenere alta la squadra quando serviva e per poco non butta dentro il colpo del KO.

Igor Tudor e la sua voglia di rivalsa

L’ultimo ingrediente è stata la voglia di Tudor di dimostrare a Nedved e Paratici come sia stato un errore non prenderlo in considerazione come alternativa a Pirlo (di cui il croato era secondo) per puntare su un Allegri in versione brodino riscaldato. Certo, queste rivincite personali non c’entrano nulla col Verona, ma, con quello che Tudor sta facendo per i colori gialloblù, certamente merita di togliersi tutti i sassolini che vuole. 

Insomma, gli ingredienti per l’impresa c’erano tutti, e il risultato è stata la partita perfetta. Quella che da sola dà un senso alla stagione. Migliore della vittoria schiacciante con la Lazio, perché è arrivata soffrendo e con un urlo liberatorio al fischio finale. Migliore anche di quella in rimonta contro la Roma perché, semplicemente, dall’altra parte c’era la Juventus.

© RIPRODUZIONE RISERVATA