Quasi da non credere: dopo anni di separazioni, lotte intestine e scelte autolesioniste, in casa centrosinistra sembra che il fatto di presentarsi alle urne sotto l’egida di una coalizione unitaria sia ormai un dato assodato.

C’è l’unità, c’è un tavolo di lavoro, e c’è un candidato su cui tutti sono d’accordo: Damiano Tommasi. Un nome corteggiato da tempo, con all’attivo qualche ospitata agli eventi della civica Traguardi. Un’idea evocata da più parti, forse prima ancora di essere condivisa con il diretto interessato. Tommasi rimane in silenzio e prende tempo. Le interlocuzioni con i partiti ci sono state, e ormai si attende a giorni il responso finale.

Dal canto suo, il centrosinistra ci crede e attende paziente: può essere il candidato giusto. Ex calciatore che ha militato anche nell’Hellas (un dato che, per parte dell’elettorato scaligero, male non fa), dal carattere riservato, padre di sei figli, impegnato nel sociale. Un volto pulito, un profilo equilibrato e fuori dalla mischia. Potrebbe essere il mix giusto per catalizzare un elettorato trasversale e finalmente offrire una chance a sinistra.

Quindici anni di opposizione

Perché è inutile girarci attorno: Verona è una città che guarda a destra. Da quando, con una legge del 1993, è stata introdotta l’elezione diretta del sindaco da parte dei cittadini, il centrodestra ha sempre amministrato la città scaligera, con l’eccezione del mandato di Paolo Zanotto, dal 2002 al 2007.

Paolo Zanotto

E anche in quell’occasione, c’è da dire che la vittoria del centrosinistra al ballottaggio fu favorita dalle lotte fratricide degli avversari politici. Il centrodestra si presentò unito (Forza Italia, Alleanza Nazionale, Lega Nord e Udc) con la candidatura dell’industriale Pierluigi Bolla, voluta dall’allora governatore del Veneto Galan. Il sindaco uscente Michela Sironi, di Forza Italia, non digerì la scelta e presentò una propria lista candidando il senatore Aventino Frau. Al primo turno, Bolla ottenne il 45,6 per cento dei voti, con Zanotto fermo al 38,7. Ma la sorpresa arrivò al ballottaggio, con la Sironi che si apparentò con Zanotto consentendo, di fatto, la vittoria del centrosinistra.

Dopo la parentesi di Zanotto, il centrosinistra veronese non è più riuscito ad agguantare nemmeno un ballottaggio. Certamente non nel 2007 e nel 2012, quando la bomba-Tosi conquistò la fascia tricolore con percentuali da capogiro al primo turno. E nemmeno nel 2017, dopo non essere riuscito a evitare la separazione tra il Partito Democratico e Michele Bertucco.

Dalla critica alla proposta

La sensazione è che lo smarrimento degli ultimi quindici anni non sia ascrivibile solamente a tattiche sbagliate e a lotte interne. Sembra che il centrosinistra abbia offerto alla città un profilo più di critica, che di proposta.

Forse si è pensato che bastasse mettere in evidenza le scelte amministrative sbagliate e condannare gli estremismi, per far cambiare il vento, per spingere l’elettorato a un esame di coscienza e ad un ravvedimento dentro l’urna.

Il sindaco di Verona Federico Sboarina

Come se non si tenesse in considerazione che Verona, la destra, l’ha votata convintamente. E l’ha continuata a votare. Flavio Tosi, in occasione dei suoi mandati, al grido di “decoro, ordine e sicurezza” ricevette al primo turno rispettivamente il 60,75 e il 57,3 per cento di preferenze. Federico Sboarina vinse al termine di un ballottaggio destra-contro-destra.

È evidente che la narrazione mainstream che richiama lo spauracchio della destra cattiva, non attacca. Non qui, almeno. Agatha Christie diceva che un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova: i veronesi stanno vivendo da anni un delirio collettivo che li spinge a votare a destra, oppure qualcosa non va su quella che dovrebbe essere l’alternativa?

Sintonizzarsi sulle frequenze dei cittadini

Nelle ultime competizioni elettorali, è come se dal centrosinistra scaligero fosse arrivata una proposta politica creata in vitro. Senza considerare i mesi antecedenti le votazioni, nella piazza c’era poco o nulla, se non le raccolte firme di Benini e il pungolo costante di Bertucco.

Col rischio, divenuto realtà, di non riuscire a capire cosa passa per la mente dei veronesi, quali sono le esigenze, le paure e le ambizioni della città. Limitarsi all’indignazione “buonista”, a proporsi in contrapposizione, a fermarsi alla condanna, è quanto di più sbagliato possa continuare a fare il centrosinistra per poter anche solo sperare di riuscire nell’impresa.

Fermento in vista del 2022

A giudicare dai movimenti in preparazione alle elezioni del prossimo anno, sembra che la lezione sia servita. Traguardi è in trance agonistica e sta girando a tappeto i quartieri per incontrare la cittadinanza, i lavori del tavolo di coalizione proseguono a ritmi serrati dall’inizio dell’estate, e tutte le forze politiche hanno capito che è necessario mettere da parte ciò che le divide per concentrarsi su ciò che le unisce.

In tutto ciò, Damiano Tommasi prosegue nel suo profondo silenzio, con il rischio che la candidatura di rottura rischi di diventare qualcosa di stanco prima ancora di essere annunciato. Chissà se questo prendere tempo è legato all’incarico di alto livello che gli potrebbe essere affidato nel mondo del calcio, o a valutazioni che attengono alla sua sfera privata e familiare, oppure al fatto che Tommasi ha dei dubbi sull’operazione che gli è stata prospettata.

C’è qualcosa “oltre” Tommasi?

Il tempo passa, e la coalizione – a parte qualche fuga di notizie sulla stampa e qualche intervista di posizionamento da parte di alcuni esponenti – rimane silente. Un atteggiamento comprensibile, evidentemente prima si vorrebbe suggellare il nome del candidato sindaco.

Damiano Tommasi

E del nome di Tommasi si continua a parlare. Quello di cui non si parla ancora, però, è l’idea di Verona. È la speranza del “sì” di Tommasi o sono le idee, il collante della coalizione? Esiste un piano B, se l’ex calciatore dovesse rifiutare la proposta? Cosa propone il centrosinistra ai veronesi? Quali sono le priorità per la città?

Presentarsi uniti è già qualcosa, ma non basta: la sfida è appunto quella di risultare l’alternativa credibile per una città tradizionalmente di destra, di attrarre il voto di quella parte (maggioritaria) di elettorato che finora si è rivolta altrove.

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