Xenia Francesca Palazzo e le quattro medaglie a Tokyo
La nuotatrice veronese della Verona Swimming Team ha portato a casa dalle recenti Paralimpiadi giapponesi un successo che sembrava impossibile.
La nuotatrice veronese della Verona Swimming Team ha portato a casa dalle recenti Paralimpiadi giapponesi un successo che sembrava impossibile.
Un oro, un argento e due bronzi è il “bottino” di medaglie che Xenia Francesca Palazzo, 23 anni, nuotatrice della società sportiva Verona Swimming Team, ha portato a casa dalle recenti Paralimpiadi di Tokyo.
Dopo essere stata la più giovane atleta della spedizione azzurra alla precedente edizione dei giochi paralimpici di Rio de Janeiro (Brasile) del 2016, ottenendo un sesto e un ottavo posto, quest’anno in Giappone ha colto grandi soddisfazioni che con orgoglio ha dedicato agli italiani e alla sua famiglia.
Palazzo, vincere quattro medaglie alle paralimpiadi è un traguardo che la ripaga di tanti duri allenamenti ed è ancora più piacevole perché inaspettato…
«Sono andata in Giappone con la speranza di vincere almeno un bronzo. Tornare a casa invece con quattro medaglie, per di più una d’oro, è aver realizzato un sogno impossibile fino a qualche giorno prima delle paralimpiadi.»
Di notte le capita di farsi la domanda: «Xenia cosa hai fatto?»
«Sì! Mi capita di rivedere tutti i fotogrammi di ogni singola gara, ma anche di pensare alle tante fatiche che ho fatto per raggiungere questi obiettivi. È stata una cosa inaspettata, ma per questo ancora più bella.»
Ci racconti della staffetta che ha vinto l’oro nei 400 x 100 stile libero…
«Era la prima volta che l’Italia portava una staffetta alla paralimpiade. E già questo era un successo. Vincere l’oro poi è stato un grande sogno che si è realizzato e per questo, tutte e quattro, lo abbiamo dedicato all’Italia. L’idea di formare questa staffetta è nata nel febbraio scorso al CT della nazionale Riccardo Vernole che già da tempo ci stava lavorando. Abbiamo provato a gareggiare assieme per la prima volta a maggio agli Europei in Portogallo, a Funchal (Isola di Madeira), dove abbiamo vinto l’oro. Dopo questo successo io e le mie compagne di vasca – Vittoria Bianco, Giulia Terzi e Alessia Scortechini – ci siamo dette che ci sarebbe stata la possibilità di fare qualcosa di bello anche a Tokyo pur sapendo di trovarci di fronte gli squadroni di Canada, Stati Uniti, Australia e Gran Bretagna. Vincere la medaglia d’oro è stato proprio bello specie quando senti il tuo inno risuonare in tutto il palazzetto. Un’emozione indescrivibile specialmente sapendo che dietro a queste quattro ragazze molto unite, quali siamo, c’era tutta una nazionale.»
Delle altre tre medaglie che ha conquistato a Tokyo che emozioni le rimangono?
«Quella d’argento nei 200 misti è stata la prima che ho vinto alle paralimpiadi ed è perciò quella più sentita. A fine gara mi sono lasciata andare a un pianto liberatorio tanto che la vincitrice della medaglia d’oro, la statunitense Jessica Long (leggenda americana del nuoto paralimpico, ndr), mi è venuta a consolare. Il bronzo nei 400 stile libero è stato bello perché ero sempre sul podio con Long e la vincitrice, una sua connazionale, Morgan Stickney. Con questo piazzamento ho realizzato che dal 2018 sono sempre salita sul podio delle varie gare, europei e mondiali, su questa distanza. Il bronzo dei 50 stile libero rimarrà una gara molto particolare e una medaglia inaspettata perché io non sono una velocista. A metà gara ero al quinto posto, e quello dove essere il risultato finale, poi negli ultimi metri c’è stata la svolta tanto da guadagnarmi un terzo posto che ha fatto saltare in piedi la mia famiglia davanti al televisore.»
Al ritorno da Tokyo è stata ricevuta, assieme a tutti gli altri atleti, dal Presidente Mattarella. Di quel giorno che cosa le ha colpito di più?
«Tante cose. La sua accoglienza prima di tutto. È la terza volta che lo vedo e ogni volta ti imprime un’emozione e mostra un rispetto grande per gli atleti. Poi ricevere una medaglia dal Presidente non capita a tutti, ma anche sentirsi dire una parola di incoraggiamento è un’emozione forte che ti carica per migliorarti ancora di più.»
Ha appena ricevuto dal Comitato paralimpico Veneto la medaglia d’oro al valore atletico per i suoi recenti successi sportivi. Cosa significa per lei questo riconoscimento?
«Ricevere un premio così prestigioso è stato veramente emozionante e un riconoscimento di quello fin qui fatto. C’è da tenere presente che viene dato prendendo in considerazione non solo le paralimpiadi, ma anche i campionati mondiali. E quest’ultima cosa mi ha fatto particolarmente piacere visto che a Londra nel settembre 2019 avevo vinto la medaglia d’argento nei 400 stile libero.»
A soli 18 anni ha debuttato alle Paralimpiadi di Rio de Janeiro del 2016 ottenendo buoni risultati. Che ricordi ha di quella prima apparizione a una competizione così importante e come è cambiata da allora?
«Quell’esperienza mi ha fatto crescere tanto e ricordo ancora tutto, ogni istante, di quei giorni a Rio. Rispetto a Tokyo, da cui sono passati cinque anni, sono cambiate tante cose. Quest’ultima paralimpiade ho avuto la gioia di viverla con mio fratello Misha (19 anni e anche lui nuotatore e alla sua prima esperienza paralimpica, ndr). Vederlo gareggiare è stato fantastico. Partecipare alle Paralimpiadi di Rio è stato però un obiettivo importante per la mia carriera da atleta.»
Quali sono le persone che l’hanno aiutata a rendere possibile tutto quello che ha ottenuto fin qui?
Oltre al mio allenatore Marcello Rigamonti, alla mia società sportiva Verona Swimming Team, al coordinatore tecnico nazionale Riccardo Vernole e al responsabile tecnico nazionale Enzo Allocco, devo citare altre persone che sono state importantissime per la mia salute. A cominciare dall’Associazione Iapnor (International academy of posture and neuromyofascial occlusion sesearch) di San Benedetto del Tronto guidata dal dott. Vittorio Serafini che ho conosciuto in un momento buio della mia vita. Loro sono riusciti a farmi gareggiare anche quando stavo male e facevo fatica ad alzarmi dal letto. Grazie allo staff della Iapnor sono riuscita a qualificarmi per le Paralimpiadi di Rio de Janneiro e a ottenere gli importanti risultati dal 2018 in poi. Questo vale anche per il mio fisioterapista, Paolo Cestaro e l’osteopata, Martina Musso. Devo ringraziare anche il neurochirurgo Mirko Scagnet che nel 2017 mi ha tolto una ciste radicolare, che per cinque anni mi ha fatto soffrire, quando tutti mi dicevano che non era possibile eseguire l’operazione perché troppo rischiosa. Se non avessi fatto l’intervento di lì a poco tempo sarei rimasta paralizzata. Senza queste persone non avrei potuto fare lo sport che amo. Naturalmente!»
Un posto particolare spetta però alla famiglia…
«I miei genitori hanno fatto l’impossibile, ogni giorno, affinché io arrivassi a essere quello che sono. La loro soddisfazione è stata quella di vedere me e mio fratello, Misha, a Tokyo. Era un sogno e lo abbiamo realizzato. Mio padre anche quando lavora lontano da casa fa il possibile per assistere alle mie gare per darmi forza e coraggio. E poi la mamma è la mamma (e sorride, ndr). Con me ha fatto un grande lavoro che è inspiegabile a parole, bisognerebbe aver vissuto tutti i momenti della mia vita per poter comprendere.»
Per lei non è stato facile sin da piccola…
«La mia vita è stata in salita fin dalla nascita a causa di una emorragia cerebrale incompatibile con la vita dovuta a una cid, coagulazione intravasale disseminata. E proprio dall’acqua che è iniziata sin da piccolissima, e grazie all’impegno di mia mamma Nadia (ex pallanuotista della nazionale russa e campionessa italiana della stessa specialità, ndr), la mia lotta contro le conseguenze di un danno cerebrale subito al momento della nascita. Tutta la famiglia mi è sempre stata al fianco aiutandomi: da papà Giovanni ai fratelli Sasha, Misha e Masha, anche loro nuotatori.»
Dall’edizione di Rio a quella di Tokyo: come sono cambiate le paralimpiadi?
«Sono cambiate soprattutto per la maggiore presenza di atleti a Tokyo rispetto a Rio. Tutto ciò è dovuto al fatto che in quest’ultime paralimpiade in Giappone sono state introdotte nuove discipline, anche sperimentali, come i tuffi e la pallanuoto, il rugby in carrozzina, triatlon, calcio a cinque, judo che offrono ai giovani una più ampia possibilità di scelta. Questa cosa è importante anche per fare in modo che i ragazzi escano di casa e pratichino lo sport che amano. Per le discipline riguardanti il nuoto, i tuffi e la pallanuoto si possono chiedere informazioni alla Federazione italiana nuoto paralimpico (www.finp.it); per tutte le altre ci si può rivolgere direttamente al Comitato italiano paralimpico (www.comitatoparalimpico.it).»
Una giornata tipo?
«Quest’anno in vista delle paralimpiadi alle sei e mezza ero già in piscina per due ore di allenamento. Poi tornavo a casa e mi rilassavo leggendo dei libri o studiando le lingue straniere che mi piace tanto. Poi si tornava in acqua alle 14,30 per altre due ore di allenamento. Questo quattro volte la settimana, più due allenamenti singoli. Tutto questo sei giorni su sette. A tutto ciò bisognava aggiungere anche le ore dedicate alle terapie per riprendere il fisico. Ora, visto che da pochissimo sono tornata in acqua, faccio un allenamento al giorno di un’ora e mezza circa, tanto per cominciare.»
Con il Covid com’è andata?
«Nel 2020 non ho nuotato per due mesi, marzo e aprile, ma facendo di tutto per restare in forma con esercizi a casa. Da allora in poi mi sono sempre allenata seguendo scrupolosamente le regole.»
Ha già in mente quale sarà il suo futuro una volta che smetterà con il nuoto?
«Innanzitutto spero sempre di stare bene di salute. A febbraio di quest’anno grazie ai risultati sportivi ottenuti sono riuscita a entrare nelle Fiamme Azzurre della Polizia Penitenziaria, ricevendo la bellissima telefonata dell’Ispettore Superiore Francesco Calabrò. Ringrazio anche Alessandro Conforto, direttore tecnico del nuoto e il Comandante responsabile del Gruppo sportivo, Mariano Salvatore, con tutto il corpo per tutto quello che hanno fatto per me. Questo è un altro sogno che ho realizzato, oltre naturalmente a quelli già raggiunti fino a quel momento. Un giorno, comunque, mi piacerebbe rimanere nelle Fiamme Azzurre in qualsiasi ruolo.»
Per il futuro in che cosa spera per lo sport paralimpico?
«Che non ci sia più differenza tra atleti olimpici e paralimpici. Magari ci presentiamo in maniera diversa, chi con una protesi e chi in carrozzina, comunque lo sport è uno solo. Questa è una speranza non solo mia, ma di tanti atleti visto che usiamo le stesse strutture, gli stessi campi di gara, facciamo la stessa fatica e gli stessi orari di allenamento. Lo sport deve essere unico e dare le stesse opportunità a tutti.»
Qual è il prossimo appuntamento in vasca?
«Ora sto riprendendo la forma fisica in acqua per poi cominciare a lavorare per bene in vista dei Mondiali di giugno 2022 in Portogallo.»
© RIPRODUZIONE RISERVATA