Immigrati in Italia: presenti assenti
Il Rapporto Immigrazione di Caritas e Fondazione Migrantes appena presentato analizza l'impatto che il Covid ha avuto sulla vita dei cittadini stranieri nel nostro Paese.
Il Rapporto Immigrazione di Caritas e Fondazione Migrantes appena presentato analizza l'impatto che il Covid ha avuto sulla vita dei cittadini stranieri nel nostro Paese.
Da più parti ormai si sente affermare che la pandemia ha acuito delle disparità sociali che già esistevano prima, ma che ora sono diventate ben più marcate e difficilmente ignorabili.
Il trentesimo Rapporto Immigrazione di Caritas italiana e Fondazione Migrantes, presentato a Roma il 14 ottobre, conferma questa lettura anche per quanto riguarda i cittadini stranieri che vivono in Italia. Il Rapporto analizza in particolare l’impatto che il virus e le misure adottate per il suo contenimento e per la ripresa delle attività economico-sociali hanno avuto sulle vite degli immigrati.
Partiamo dai numeri. Nel 2021 i movimenti migratori hanno subito una drastica riduzione (-17,4%). Per la prima volta la popolazione di origine straniera è diminuita contando attualmente poco più di 5 milioni di persone (-5,1% rispetto al 2020).
Quanto alla distribuzione territoriale dei cittadini stranieri residenti, prevale il Nord (58,5%), in particolare il Nord Ovest (34%). Il Nord Est e il Centro assorbono pressoché la medesima percentuale di popolazione straniera, intorno al 24,5%.
La presenza femminile caratterizza in maniera prevalente la popolazione straniera residente (51,9% del totale).
Le richieste di permesso di soggiorno sono motivate per 48,9% del totale da ragioni di famiglia, seguiti da quelli per lavoro (43,4%). Solo il 5% riguardano la protezione internazionale. Il che significa che stabilità e integrazione caratterizzano i progetti migratori dell’ultimo anno.
La pandemia ha colpito fortemente la condizione occupazionale dei lavoratori stranieri: molte attività in settori con un’importante incidenza di cittadini stranieri hanno chiuso.
Altre attività invece, essenziali per il soddisfacimento di necessità primarie e da svolgere necessariamente in presenza, hanno esposto i cittadini stranieri al rischio di sfruttamento lavorativo o a quello di infezione da Covid-19. A questo si aggiunge la più alta probabilità dei cittadini stranieri di detenere tipologie contrattuali precarie.
Di conseguenza il tasso di disoccupazione dei cittadini stranieri è salito al 13,1% ed è superiore a quello dei cittadini italiani (8,7%). Al contrario il tasso di occupazione degli stranieri (60,6%) si è ridotto.
Infine, i dati sugli infortuni e le morti sul lavoro confermano la maggiore esposizione di lavoratori di determinati settori al rischio contagio, si pensi in particolare alle donne e agli uomini impiegati nei servizi domestici e di cura alla persona.
Unico dato positivo e in controtendenza è la costante crescita del numero degli imprenditori nati all’estero, che pur nell’anno della pandemia sono aumentati del +2,3% a fronte della sostanziale stasi degli italiani (-0,02%).
I cittadini stranieri sono tra i gruppi sociali più esposti alla povertà: oggi risulta povera in termini assoluti più di una famiglia su quattro (il 26,7%), a fronte di un’incidenza del 6% registrata tra le famiglie di soli italiani.
Per fronteggiare l’emergenza epidemiologica il Governo italiano ha introdotto varie misure straordinarie di supporto sotto forma di integrazione salariale, bonus, congedi parentali e quant’altro.
L’incidenza media dei cittadini extracomunitari su queste misure si attesta sul 9-10%. C’è stata quindi una generale difficoltà nell’accesso alla presentazione della domanda da parte degli aventi diritto e la scarsa appetibilità di misure che possono essere difficili da sostenere in caso di salari già contenuti (come il congedo parentale).
Gli interventi messi in atto per fronteggiare la pandemia si sono alla fine caratterizzati per elevato livello di frammentazione, complessità amministrativa, deboli azioni di supporto all’accesso.
Ed ecco la prima grande assenza: seppur presenti come lavoratori e come cittadini, il sistema non ha agevolato l’accesso degli immigrati alle varie forme di sostegno, compromettendone di fatto la capacità di raggiungimento.
Si riscontra in questa sezione, la seconda assenza eclatante. Nella programmazione delle vaccinazioni gli immigrati, in particolare quelli presenti nelle strutture d’accoglienza collettive, non sono stati previsti, se non teoricamente quelli vulnerabili nella salute. La mancanza di tessera sanitaria ha inoltre escluso interi gruppi di popolazione (italiana e straniera).
Nell’effettivo quindi, si riscontra una minore copertura vaccinale tra le persone nate all’estero rispetto a quelle nate in Italia (50% contro 60% ).
Nel Rapporto trova spazio però un ringraziamento a tutto il personale sanitario non nato in Italia, ma che ha partecipato in prima fila nella battaglia contro il Covid: 22 mila medici, 38 mila infermieri e 17 mila 500 tra psicologi e tecnici sanitari.
L’emergenza sanitaria ha per certi versi soppiantato le emergenze riconducibili alla mobilità: emergenza sbarchi, emergenza Lampedusa, emergenza umanitaria; ma ha anche risucchiato i migranti dentro questa cornice, collegandoli all’aumentato rischio di diffusione del contagio e presentandoli come possibili “untori”.
L’immigrato diventa degno di notizia solo quando accade un fatto specifico, per lo più violento o di sopraffazione; mentre ha avuto ed ha pochissimo spazio se si parla dell’impatto del Covid-19 sulla sua vita.
La sua descrizione si sbilancia più verso le categorie professionali con le quali l’immigrato viene identificato: il bracciante agricolo, la badante o il rider. Categorie di cui, tra l’altro, dall’inizio della pandemia si è avuto sempre più bisogno, ma non certo le uniche in cui gli immigrati rappresentano forza lavoro nei settori produttivi interni.
Si è poi parlato di immigrazione e pandemia in riferimento alla diffusione del coronavirus: sia per gli sbarchi di migranti che non hanno mai smesso di approdare sulle nostre coste, sia come possibile veicolo di varianti virali.
Generalmente inoltre i media non si sono mai addentrati nella descrizione della sofferenza e delle difficoltà degli immigrati, legate all’infezione del virus. Questa sorta di reticenza nel documentare l’immigrazione ha reso la narrazione ancora meno esaustiva di quanto non lo fosse prima della pandemia e, se possibile, più stereotipata.
Come è stato evidenziato dall’Associazione Carta di Roma «in generale la narrazione sulle migrazioni è crollata perché è arrivato un altro nemico».
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