Questa incredibile estate dello sport italiano è stata ancor più ricca per la pallavolo azzurra capace di conquistare due titoli europei con le nazionali maggiori, un oro e un argento mondiale con le selezioni giovanili maschile e femminile e infine ancora a podio con le due selezioni della FSSI Federazione Sport Sordi Italia. Un successo incredibile per il movimento pallavolistico nostrano che nemmeno ai tempi della generazione dei fenomeni era stato in grado di produrre tali risultati in un così breve lasso di tempo.
Alessandra Campedelli, allenatrice trentina, è alla guida della selezione sorde già da diversi anni ed è raggiante per il risultato conseguito, nonostante la sconfitta patita in finale contro la forte Turchia.

Alessandra, qualche rammarico per aver solo sfiorato l’oro? Il 15-13 a favore delle turche nel set di spareggio è la conferma di una gara tiratissima.

«No, affatto. È un argento guadagnato. Eravamo la squadra di casa, abbiamo incontrato ogni giorno avversarie pronte a tutto per batterci. C’era un po’ di pressione perché in fondo godevamo dei favori del pronostico, sebbene la rassegna abbia proposto squadre molto forti fisicamente e per lo più composte da professioniste. Davvero, lo ritengo un bellissimo podio conquistato, maturato attraverso un percorso di crescita avvenuta proprio durante il torneo. Certo, un po’ di rammarico a fine gara l’abbiamo avvertito, ma siamo in ogni caso molto contente.»

Avete vissuto un avvicinamento alla manifestazione travagliato rispetto ad altre nazioni. Quali sono stati i problemi?

«La nostra squadra è un gruppo di non professioniste, atlete che vivono la pallavolo insieme allo studio o al lavoro, che militano anche in campionati regionali o provinciali. La pandemia, prima di tutto, ha impedito a molte di loro di allenarsi e di giocare, visto che solo i campionati di vertice hanno avuto modo di proseguire durante i vari periodi di lockdown. All’estero, le nostre principali avversarie invece hanno potuto avere una maggiore continuità sportiva. Inoltre, non è facile preparare una rassegna di questo valore senza il supporto che può avere un’attività riconosciuta e tutelata. Le mie atlete non godono dei privilegi degli atleti professionisti o di chi è, per esempio, di interesse nazionale o nel “giro” olimpico. Spesso non possono decidere quando prendersi le ferie e d’estate le loro società sportive sono ferme, quindi fatichiamo a strutturare un percorso che permetta alle ragazze di essere atleticamente pronte agli impegni e alle fatiche di una manifestazione internazionale. Russia, Ucraina, la stessa Turchia, sono state insieme per diverse settimane, noi ci siamo radunate solo un paio di volte negli ultimi mesi. Per questo dico che ci siamo allenate in campo durante i mondiali e siamo cresciute proprio attraverso la competizione e le difficoltà che ci ha proposto. Il risultato conseguito va preso con grande entusiasmo.»


La pallavolo è uno sport in cui è fondamentale consolidare intese e comunicazioni in campo, aspetto ancor più rilevante nel vostro caso. Come siete riuscite a superare le difficoltà del poco tempo passato insieme?

«Fondamentale in tal senso è stato l’avere un gruppo estremamente disponibile e uno staff professionale e coeso. Tutte siamo state a disposizione una dell’altra e così siamo anche state in grado di affinare velocemente quei meccanismi che garantiscono una buona organizzazione di gioco. Da questo punto di vista siamo state superiori a tutte le altre squadre. Dopo la gara di esordio proprio contro la Turchia, una volta uscite sconfitte, abbiamo compreso quali erano i nostri limiti, in primis fisici, ma anche che a testa bassa occorreva concentrarsi su quello che poteva qualificare il nostro gioco. Ci siamo riproposte di provare a incontrarle nuovamente in finale. Così è stato, di più onestamente non si poteva chiedere.»

Da allenatrice di questo gruppo non è certo esordiente in una manifestazione internazionale. In questi mondiali però ha vissuto qualcosa di particolare?

«Senza dubbio siamo riusciti a creare alcuni momenti di team building importanti, che ricorderemo. Penso a quando, durante il torneo, a Pieve a Salti abbiamo ricevuto un’accoglienza da nazionale maggiore. Gian Paolo Sandrinelli, manager della tenuta, con la sua squisita ospitalità ci ha permesso di passare un pomeriggio sereno e utilissimo per acquisire fiducia e morale in quello che stavamo facendo. Un momento particolare, invece, è stato in occasione della semifinale. Per un disguido siamo rimaste senza mezzo di trasporto per raggiungere l’impianto di gioco. Chiaramente all’inizio c’è stata un po’ d’ansia, di disorientamento, ma poi, pur senza pulmino, non ci siamo scoraggiate e siamo riuscite ad arrivare in tempo risolvendo la situazione con i nostri mezzi. Un episodio inconsueto, ma sul quale adesso possiamo sorridere. Forse per il nostro gruppo è stato lo spunto per comprendere come tutti gli ostacoli, anche quelli imprevedibili, si possano superare con grinta e coesione.»

Dando uno sguardo al suo profilo sui social si legge spesso l’hashtag #lapallavoloèunasola. Da dove nasce?

«Sì, è vero. Lo utilizzo spesso. Il mio percorso sportivo di atleta e di allenatrice mi ha permesso di vestire la maglia della nazionale azzurra. Per me è motivo di orgoglio, ogni volta che parte l’inno ho i brividi. È una cosa a cui non ci si abitua. L’inno è l’inno. Attualmente la nostra attività però è animata da spirito volontaristico e si richiama alla FSSI, mentre le altre attività legate alla pallavolo sono gestite dalla FIPAV. Io sogno che la pallavolo sia una sola, quella praticata dalle nazionali maggiori, quella del sitting volley, la nostra. Non solo il mio percorso, ma tutto il nostro staff e la nostra squadra dimostrano che non ci sono barriere che identificano e separano diversi tipi di pallavolo. Greca Pillitu è allenatrice veronese d’adozione e ben conosciuta sul territorio (sta lavorando nelle giovanili di Arena Volley Team a Castel D’azzano). Prima di lei c’era Angiolino Frigoni, fresco vincitore dell’oro mondiale under 21 e già in BluVolley, Simona Rinieri, ex capitana della nazionale, ha vissuto con me e Greca quest’ultima avventura, per non parlare delle atlete che militano tutte in campionati federali. Atleti, tecnici e dirigenti, viviamo tutti la pallavolo, una pallavolo sola.»

Immagino che sviluppare un’attività in un certo senso laterale a quella più tipicamente riconoscibile in quella federale, crei delle difficoltà in termini di reclutamento. A che punto siete in tal senso?

«Farci conoscere e renderci visibili è la nostra primaria responsabilità. Abbiamo tanto bisogno di esserci, di farci conoscere, di promuovere ciò che facciamo. Possiamo crescere, molto.»

Quali sono i vostri prossimi obiettivi sportivi?

«Abbiamo in vista le Olimpiadi in programma a maggio 2022. Incontreremo un livello più alto di quello incontrato ai Mondiali e per questo vorremmo fissare 5 o 6 raduni. Per realizzarli dovremo chiedere la collaborazione delle società sportive in cui militano le nostre atlete perché chiaramente la nostra attività si sovrapporrà con la loro. Il loro supporto e aiuto sarà prezioso, quanto il reclutamento che sapremo portare avanti in questi mesi. Con un sogno: che il mio gruppo possa indossare la maglia dell’Italia, un’unica maglia dell’Italia che possa accomunare tutte le nazionali, a conferma che la pallavolo è una sola.»

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