Una lezione dalle elezioni romane
Le elezioni di Roma, oltre che un test nazionale per valutare lo stato dei partiti, sono un'utile indicazione per comprendere alcune recenti dinamiche del voto comunale, prossimo anche a Verona.
Le elezioni di Roma, oltre che un test nazionale per valutare lo stato dei partiti, sono un'utile indicazione per comprendere alcune recenti dinamiche del voto comunale, prossimo anche a Verona.
C’erano solo quattro candidati alla poltrona di sindaco di Roma: Roberto Gualtieri, stimato ex Ministro dell’economia e delle finanze (2019–2021) e con un curriculum di livello, presentato dal PD; Carlo Calenda, anche lui ex Ministro dello sviluppo economico nei governi Renzi e Gentiloni, che da solo con una lista civica ha presentato un programma di oltre 500 pagine e una campagna puntuale sul territorio; Virginia Raggi, che gode del fatto di essere stata sindaca e l’appoggio del suo partito (o almeno di Di Battista; difficile dire se sia un vantaggio o meno). E al ballottaggio, insieme a Gualtieri, arriva Enrico Michetti, professore di diritto e avvocato. La cosa, detta così, potrebbe stupire qualcuno, specie per la narrazione trasmessa dai maggiori organi d’informazione.
Stupisce perché Michetti è “fuggito” a ben 3 incontro pubblici con gli altri candidati; perché, oltre alla sua fascinazione per i fasti di Roma antica (di cui ben poco è rimasto, peraltro) ha proposto nel suo programma – seriamente – l’organizzazione dei ‘ludi romani’ e dei giochi degli imperatori; perché fino al 20 settembre il suo programma era una “pagina in allestimento”.
Stupisce perché la pagina social FB di Michetti conta 70.356 membri (04 ottobre 2021) contro i 995.658 di Virginia Raggi, i 146.728 di Carlo Calenda e i 53.776 di Roberto Gualtieri. Non che i like su FB contino qualcosa: parafrasando Pietro Nenni (se davvero fu lui), “piazze social piene, urne vuote”. Tuttavia è interessante che il profilo di FB dell’aspirante sindaco targato Lega e FdI (Fratelli d’Italia, ex Alleanza Nazionale, ex Movimento Sociale Italiano-Msi) sia appena davanti, come seguito, al candidato del PD. Stupisce perché, di fatto, la sua è una campagna elettorale da interpretare: un motto criptico, “Roma, in persona” (cfr. Calenda, “Roma, sul serio), manifesti elettorali che si aprono con uno spiazzante “Michetti chi?” e chiudono con uno slogan un po’ spaccone di tarantiniana memoria, alla Mr Wolf.
L’impressione è che questo aspirante sindaco e la sua macchina organizzativa non si siano impegnati troppo per la sua campagna elettorale, sapendo di avere il blocco dei voti del centrodestra, almeno prima del salto in avanti di Giorgetti. Comunque molto meglio, per carità, del candidato sindaco di Milano del centrodestra Luca Bernardo, che conclude una sfortunata campagna elettorale con una propaganda che l’ha marginalizzato persino nei suoi cartelloni elettorali.
Dunque, sarà duello Michetti vs Gualtieri. Probabilmente non è bastato all’ex sindaca Raggi l’azione contro i Casamonica né l’asserito risanamento delle finanze per cancellare dalla memoria i cinghiali a spasso per Roma tra l’immondizia; non le ha giovato l’appoggio di un partito politico (il Movimento 5 stelle) attualmente in declino, con un consenso dimezzato al 16% nonostante l’arrivo di Giuseppe Conte e, di fatto, diviso in bande. Carlo Calenda ha fallito, nonostante (o a causa?) dell’endorsement del ministro della Lega Giancarlo Giorgetti e di Matteo Renzi. Ha fatto una campagna elettorale sulla Raggi contando su un voto trasversale, immaginando di intercettare i voti dei delusi dal PD e dalla Lega anche con la carta Guido Bertolaso, nei panni di vicesindaco; in più ha girato tutti i Municipi ed è arrivato al porta a porta pur di superare il gap di non avere un partito solido alle spalle. Quel che ha ottenuto è tutto suo, ma è certo magra consolazione.
L’elezione del sindaco è un momento essenziale per una città, per la gestione di problemi che vanno dalle buche delle strade agli eventi internazionali, per definire il futuro e l’idea che una città ha di sé dal punto di vista dell’urbanistica, della viabilità, dei trasporti, della socialità e molto altro ancora. Una cosa, dunque, che va oltre le bandiere di partito e tocca la vita minuta dei cittadini di ogni colore politico. Ecco: a Roma questo non conta, contano invece gli apparati, i partiti: la sua campagna elettorale, cominciata lentamente e in sordina, lo vedeva già in cima ai sondaggi ai primi di settembre e il suo risultato vola sulle ali del consenso di cui gode ora Giorgia Meloni, colei che può rivendicare a pieno titolo il successo di Enrico Michetti. Anzi, la Presidente di FdI arriva a dire che il suo “è il primo partito della Capitale e ha avuto un ruolo fondamentale nella determinazione del candidato sindaco e mi pare di poter dire che un centrodestra a trazione FdI è molto competitivo”. Una sorta di autoinvestitura.
Certo, il panorama politico a Verona non è quello di Napoli, Bologna, Milano (vittoria al primo turno per il centrosinistra), Siena e Torino. Vedremo perciò cosa succederà: quel che è certo è che l’impatto di FdI al 20% a livello nazionale nei sondaggi deve fare i conti in Veneto con la forza del Doge Zaia e della Lega. Lega peraltro in difficoltà su due livelli: nazionale, per le sconfitte nelle grandi città che non sembrano sempre per merito degli avversari (anzi: Sala attribuisce l’insuccesso di Bernardo tutto a Salvini) e per la vicenda Morisi; locale veronese, ovvero per lo scarso entusiasmo del partito rispetto alla riconferma dell’attuale sindaco, ora accasato in FdI. Di fatto Lega e FdI, che stanno nella stessa coalizione, si stimano come fratelli, tipo Caino e Abele.
La lezione dunque è che, più che nomi, progetti e programmi, saranno le indicazioni degli apparati a stabilire chi vincerà nella città di Giulietta. E se a contare sarà il peso elettorale dei partiti e la loro compattezza e non le persone, ben si comprende la cautela di Damiano Tommasi nell’accettare l’offerta ormai di un anno fa del centrosinistra scaligero.
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