Idee chiare e personalità: l’Hellas può solo crescere
Il Verona visto a Genova si dimostra ai livelli delle passate stagioni, ora Tudor deve limare i dettagli per ottenere il massimo da una squadra che sembra già capace di far divertire i tifosi.
Il Verona visto a Genova si dimostra ai livelli delle passate stagioni, ora Tudor deve limare i dettagli per ottenere il massimo da una squadra che sembra già capace di far divertire i tifosi.
Se tra i tifosi del Verona è acceso il dibattito tra i delusi per i quattro punti persi nelle ultime partite e chi si accontenta per i due guadagnati, il campo ha dato un verdetto chiaro: Tudor e i suoi ragazzi, in pochissimi giorni, sono riusciti a dimostrare che in questa Serie A il Verona ci sta alla grande.
Ci sono momenti in una stagione in cui gli errori e le disattenzioni non vengono perdonati, ed è esattamente quello che è successo a Genova, con 75 minuti di dominio incontrastato e tre gol subiti in un amen, non appena i gialloblù hanno alzato il piede dall’acceleratore. In questi momenti è facile abbattersi e interpretare i risultati in modo catastrofista – ed è vero, con un po’ di attenzione in più oggi il Verona sarebbe potuto essere a quota 9 punti – ma è innegabile che negli scontri ravvicinati dopo il cambio in panchina la squadra abbia mandato dei segnali chiari e incoraggianti.
Il Verona, dopo la totale confusione della gestione Di Francesco, è oggi una squadra con le idee chiare, un gioco propositivo e un’identità propria, libera anche dal fantasma di Ivan Juric, che pare abbia smesso di aleggiare a Peschiera.
L’Hellas si abbassa con ordine, usa la duttilità dei suoi esterni e la qualità di Ilic per alternare ripartenze fulminanti e manovre avvolgenti, e sfrutta le sue armi in attacco in modo strategico: palla sui piedi a Kalinic, palla lunga a Simeone. Non ci voleva un corso a Coverciano.
L’Hellas è sempre vivo. Lo ha dimostrato con la Roma e lo ha confermato a Genova. Ovviamente il sapore del pareggio in extremis di Kalinic è ben più amaro della meraviglia firmata Faraoni, ma entrambe le reti sono il frutto del carattere forte di una squadra capace di reagire con rabbia, sì, ma anche con intelligenza, basti guardare lo scarico fuori di Dawidowicz per Casale, libero di pennellare sulla testa di Kalinic al 91esimo. Se quell’attacco fosse stato condotto con foga e a testa bassa oggi probabilmente commenteremmo un tiraccio finito in una vasca dell’acquario di Genova. E invece…
Questo è un Verona che non si accontenta di un pareggio in casa con la Roma di Mourinho, che non depone le armi dopo aver incassato tre colpi che avrebbero mandato al tappeto chiunque. Questo è un Verona combattente.
L’attacco del Verona di quest’anno sembra uscito dal film “Le Riserve”, con Gene Hackman e Keanu Reeves. La palla è rotonda, non ovale, ma il risultato è lo stesso: Kalinic era ormai un soprammobile col ciuffo, e che ciuffo, mentre Simeone era arrivato con la fama di eterna promessa alla ricerca di un ultimo possibile rilancio. Caprari? Il sostituto last minute di Zaccagni. E Lasagna? Corre – si diceva – ce la mette, ma non vede la porta neanche col binocolo.
Dopo tre partite di cura Tudor possiamo dirlo: Simeone si sta dimostrando un attaccante di razza che svaria, scatta in profondità, tira da fuori e ha l’istinto del bomber sotto porta. Kalinic, liberato dal ruolo pesante di “unica punta” è tornato a mostrare quel che vale. Caprari si è integrato a tempo di record con i meccanismi della squadra e dialoga alla grande sia con Lazovic che con la punta di turno. E Lasagna? Beh, Lasagna continuiamo ad aspettarlo…
I problemi ci sono, nessuno lo nega, ma ci sono in ogni squadra che lotta per guadagnarsi un altro anno nella massima serie, e il Verona è una di queste.
È banale dire che il Verona deve imparare a mantenere il risultato quando è in vantaggio, la questione da affrontare è il modo in cui sono arrivati i gol, troppi, subiti in rimonta.
L’impressione è che finché il centrocampo lavora bene l’Hellas sappia difendersi con ordine, senza rischiare troppo e permettendosi addirittura di mandare un terzo di difesa a cercar gloria in avanti. Una volta che la mediana cala di fiato e/o di intensità la squadra non tiene più, si sfilaccia, perde le distanze giuste e gli avversari non perdonano. Da qui le disattenzioni e gli errori individuali, da qui le imbarcate prese in pochi minuti, da qui i punti lasciati per strada.
Il lavoro per Tudor è ancora lungo, ma lo è anche la stagione, e a questo punto del campionato c’è tutto il tempo per limare i dettagli e trovare le soluzioni giuste. Nel frattempo la squadra c’è, e, da quel che si è visto finora, può solo crescere.
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