Pfas: la contaminazione nella borsa della spesa
Mamme no Pfas e Greenpeace hanno pubblicato i risultati dell'analisi effettuata su oltre mille alimenti della "zona rossa".
Mamme no Pfas e Greenpeace hanno pubblicato i risultati dell'analisi effettuata su oltre mille alimenti della "zona rossa".
Albicocche, mais, patate, pomodori e piselli. E poi uova, zucchine e fagiolini. Non è la lista della spesa, ma solo una parte dell’elenco di alimenti contaminati da Pfas lungo la falda idrica che attraversa le province di Vicenza, Padova e Verona, toccando il territorio di una trentina di comuni.
Una contaminazione della quale la Regione Veneto voleva far sapere molto poco. Questa la tesi del comitato Mamme No Pfas e di Greenpeace che, dopo una lunga battaglia legale con Palazzo Balbi, negli scorsi giorni hanno pubblicato i dati sulla contaminazione alimentare dovuta alle sostanze perfluoroalchiliche.
«Per più di quattro anni la popolazione che vive nelle zone del Veneto contaminate dai Pfas – si legge nell’apertura del comunicato stampa congiunto di Mamme e Greenpeace – ha chiesto di conoscere gli esiti dei monitoraggi eseguiti dalle autorità. Finalmente siamo riusciti ad avere accesso ai dati analitici completi e alla georeferenziazione delle matrici analizzate riguardanti il “Piano di campionamento degli alimenti per la ricerca di sostanze perfluoroalchiliche” eseguito dalla Regione Veneto nel 2016-17 nei comuni dell’area rossa, quella classificata come la più contaminata».
Le analisi sono state effettuate su 1.248 alimenti (614 di origine vegetale e 634 di origine animale) da parte del laboratorio Arpav di Verona, del dipartimento di Sicurezza Alimentare, Nutrizione e Sanità Pubblica Veterinaria dell’Istituto Superiore di Sanità a Roma e dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie di Legnaro (Padova). I dati sono stati forniti dalle ULSS 8 Berica, ULSS 6 Euganea e ULSS 9 Scaligera.
Per le organizzazioni richiedenti l’accesso definitivo agli atti dello studio è stato possibile solo ad aprile di quest’anno, dopo che il Tar aveva sancito l’illegittimo rifiuto della Regione. «Si tratta di dati georeferenziati e mai diffusi in forma integrale dalle autorità competenti – prosegue il comunicato. Dalle elaborazioni emergono molte criticità: numerosi alimenti risultano infatti contaminati non solo per la presenza di Pfoa e Pfos, ma anche per tanti altri composti di più recente applicazione industriale».
Sono 26 gli alimenti risultati positivi con almeno una molecola di Pfas, per un totale di 204 campioni su 792 (i dati forniti sono inferiori a quelli del rapporto 2019 dell’Iss). Secondo Mamme No Pfas e Greenpeace, poi, il monitoraggio mostrerebbe altri limiti evidenti legati all’area geografica selezionata, solo quella rossa, escludendo l’area arancione e le altre zone toccate dalla contaminazione, oltre la presumibile mancanza di indagini su prodotti riconducibili a filiere di grandi aziende alimentari presenti sul mercato nazionale. Il monitoraggio, inoltre, risulterebbe carente su alcune importanti matrici di produzione diffusa in zona come spinaci, radicchio, kiwi, meloni, angurie, grano, soia, mele, altri vegetali a foglia larga.
Tra le accuse principali che vengono lanciate alla Regione, oltre ad aver tenuto nascosti i risultati dello studio, c’è anche l’inerzia seguita ai primi campionamenti, datati 2016 e 2017. «Da allora non sono seguite ulteriori indagini su vasta scala. A ciò si aggiunge l’assenza di azioni risolutive volte ad azzerare l’inquinamento e a ridurre, almeno progressivamente, la contaminazione delle acque non destinate ad uso potabile. Non ci risulta poi siano state adottate misure di precauzione in seguito ai risultati delle analisi (con l’esclusione del divieto di consumo del pescato); nemmeno indicazioni ai cittadini per tutte quelle matrici autoprodotte che mostrano i livelli più elevati di contaminazione (ad esempio uova, etc)».
Nel frattempo prosegue anche il processo che vede imputati i quindici manager delle società Miteni spa di Trissino, ora fallita, Mitsubishi corporation e Icig, accusati a vario titolo di avvelenamento acque, disastro ambientale innominato, gestione di rifiuti non autorizzata, inquinamento ambientale e reati fallimentari. Giovedì 16 settembre si è riunita presso il Tribunale di Vicenza la Corte d’Assise, alla quale i legali della difesa hanno chiesto l’esclusione di buona parte delle oltre trecento parti civili costituite, tra queste anche alcune posizioni delle Mamme No Pfas.
L’udienza è durata oltre sette ore. Il difensore del fallimento Miteni ha chiesto l’estromissione come responsabile civile ritenendo la totale carenza di giurisdizione del tribunale penale per questo tipo di tematica, a favore invece del tribunale fallimentare. Mitsubishi e Icig hanno chiesto la propria estromissione come responsabili civili perché nel corso delle indagini sarebbero state raccolte delle prove, per loro pregiudizievoli, senza la loro partecipazione. La Procura ha replicato con la richiesta del rigetto di tutte le eccezioni. Su questo tema i giudici si esprimeranno nella prossima udienza, in programma il 30 settembre.
Mentre la battaglia legale prosegue, il problema degli alimenti inquinati resta. Ed è su questo che Mamme No Pfas e Greenpeace si focalizzano nella chiusura del loro messaggio. «C’è un problema sanitario rilevante e chi è responsabile della salute pubblica ha il dovere di mettere in atto tutte le migliori strategie e misure per affrontarlo concretamente. Chiediamo quindi che si avvii al più presto un nuovo monitoraggio sugli alimenti coltivati in area rossa e arancione e, partendo dai dati del 2017, si intraprendano fin da subito tutte quelle misure volte a ridurre i rischi sanitari».
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