Merkel: la regina degli scacchi
Nei giorni precedenti le elezioni tedesche, proponiamo il profilo di chi, a torto o ragione, è stata definita la regina d'Europa
Nei giorni precedenti le elezioni tedesche, proponiamo il profilo di chi, a torto o ragione, è stata definita la regina d'Europa
Quando si assiste a un discorso pubblico dell’ormai ex Cancelliera tedesca Angela Merkel, la prima impressione è di non trovarsi davanti a una delle figure politiche tra le più potenti al mondo. La testa bassa, l’incedere cauto, il tono pacato riportano più alla mente un maestro un po’ imbranato, in una scuola di altri tempi; non ci sono proclami urlati, pochissimo linguaggio del corpo, nessuna aggressività e ancor meno retorica. Si sente però forte e chiaro che lei dice quel che pensa, perfettamente a suo agio nella certezza di avere ragione. Le mani restano quasi sempre raccolte nel famoso rombo, lo stesso casualmente copiato dal prossimo (probabile) cancelliere Olaf Scholz nei più recenti comizi elettorali, tranne forse quando esprime un concetto particolarmente importante o alla fine del discorso. Allora, la sua mano aperta sembra voler attrarre e sedare l’attenzione e gli applausi al tempo stesso.
Per una persona qualunque, come chi scrive, la sensazione a pelle è di una leadership innata, di un carisma magnetico potente, tenuto a bada dalla naturale capacità di non farsi notare. Merkel è arrivata in silenzio, cogliendo appieno quella riunificazione che lo storico Stern definì “la seconda opportunità della Germania” per scalare le vette del sistema politico tedesco; in pieno riserbo valuta tutte le opzioni sul tavolo, con calma trasmette le sue decisioni. Ama poco le critiche – se ne sono accorti in molti, negli anni, asfaltati dalla sua ironia sferzante – e ancor meno i cagnolini leccapiedi. Non si direbbe vedendola seria al limite della durezza in pubblico, ma ama raccontare storielle spassose e, alla platea uggiolante, ne serve talvolta una vecchia, per capire se sono veramente divertiti o solo compiacenti. In questo caso, brutta giornata, ragazzi.
Merkel è un’anomalia nel panorama dai leader mondiali, è l’outsider che nessuno si sarebbe aspettato arrivasse a condizionare in maniera tanto profonda gli equilibri europei e non solo, a salvare l’Euro e di conseguenza la stessa Unione Europea. È proprio tanto diversa dal politico medio, in più di un senso: per cominciare è una scienziata, laureata in Chimica quantistica non all’università della strada; poi è originaria della Germania Est, considerata zona rurale e sottosviluppata. Infine, è una donna, che accidenti è sempre un mezzo ostacolo, ancor di più negli anni della sua ascesa, nei primi anni Novanta, poco dopo la caduta di quel muro che tanto le ha fatto amare e difendere la libertà. Sposata, divorziata, poi risposata e senza figli per di più… quale messaggio poteva mai mandare una così in seno alla CDU, acronimo di Unione Democratica e soprattutto Cristiana? Eppure, da brava stratega, ha mosso in silenzio le sue pedine.
Un segreto del suo successo politico è sicuramente il metodo sistematico, si può dire scientifico, con cui si è infilata nelle trame politiche e ha affascinato il grande Helmut Kohl, assorbendone tutte le qualità ma senza dimenticarne i limiti, per poi sfruttarli a suo vantaggio e prenderne il posto. Forse scherzando, ma probabilmente no, Kohl ebbe a dire che “Merkel è stato il mio più grande errore, mi sono portato a casa l’assassina”. Nello sfogo dimentica forse quando, negli incontri ufficiali, chiamava l’allora ministra Merkel “main Mädchen”, la mia ragazza, e a lei non restava che attenersi alla strategia del silenzio concordata con la fidata consulente Beate Baumann, in attesa che gli scandali trascinassero il macho fuori dai giochi. Baumann diventa determinante per la formazione di Angela Merkel, con la sua lealtà assoluta ma anche per l’apertura verso il mondo della Germania Ovest, tutto nuovo per la futura Cancelliera.
Merkel pensa a lungo prima di agire, è stata spesso criticata per questo e addirittura in Germania si usa il verbo merkeln ad indicare il saper attendere l’opportunità e muoversi strategicamente. Quando decide, però, è una macchina da guerra, sia che si tratti di richiamare pubblicamente il partito alle malefatte di Kohl per prenderne il posto, oppure di incidere sulla vita di tanta gente, imponendo austerity o grandi elargizioni nelle due crisi finanziarie da lei vissute. Determinata in quell’idea di accoglienza dei migranti siriani, quel suo “wir schaffen das” (noi possiamo farlo) che non le ha certo creato amicizie in patria, aprendo anzi al rinascere della Destra.
Viene eletta Cancelliere contro ogni pronostico, quando nessuno dei rivali la considera veramente un pericolo e nel solco di quanto imparato dal suo mentore Kohl, che da sostenitore della prima ora di un’Europa unita e di una sola moneta ne forgia gran parte dell’agenda estera. È il 2005 e il Cancelliere Schröder indice elezioni anticipate. Nella politica dei maschi, gli altri due candidati al ruolo, Schröder e Fischer, detestano l’intrusa, in un sentimento totalmente reciproco, e la sera delle elezioni la prendono anche in giro durante la diretta TV. Merkel rimane immobile e silenziosa, finché i suoi amati numeri le permettono di dire, con terrificante calma e sicurezza: «Messa giù semplice, voi oggi non avete vinto. Con un po’ di tempo, perfino i socialdemocratici arriveranno a comprendere la realtà». Due mesi dopo, giura come Cancelliera, prima donna in Germania nel ruolo e ad oggi, insieme alla signora Thatcher, la più longeva massima istituzione in uno stato democratico. È pronta a diventare la Mutti, come la chiamano affettuosamente i tedeschi, la mammina del rilancio economico del suo Paese.
Non è andato tutto bene, negli anni del suo governo, ci sono state crisi inattese, colpi di testa e molti rapporti da ricucire. Ci sentiamo comunque di valutare questi 15 anni positivamente, marcati da decisioni ottime e qualche ombra. Abbiamo già citato il suo impegno per salvare l’Euro durante la crisi finanziaria del 2008, e il rinnovato, ancor più decisivo, sforzo nel convincere i Paesi a stanziare aiuti e finanziamenti per salvare gli altri membri UE maggiormente indeboliti dalla pandemia. In mezzo, c’era stato il fattaccio brutto della Grecia nel 2015, con la troika a imporre austerity, a dettare regole e a pretenderne il rispetto; anche Spagna e Italia dovettero fare una simile cura dimagrante e si può dire che la decisione contribuì al fiorire dei movimenti nazionalisti e populisti. Fu un errore applicare a persone reali un modello puramente teorico e in un modo definito addirittura nazista dai manifestanti greci, che nei loro cartelli la raffiguravano coi baffetti; un errore che Merkel non ha mai definito tale, nella sua convinzione scientifica che avrebbe funzionato, ma che ha sicuramente plasmato il suo nuovo approccio, uguale nella necessità ma contrario nei metodi, applicato l’anno scorso nella creazione del Recovery Fund.
Bruno Le Maire, ministro dell’Economia francese e principale architetto del fondo “salva-Stati”, la descrive come una persona “in grado di prendere decisioni controcorrente in Germania, di pensare al bene dell’Europa”. Un complimento che non sempre si è sentita fare, anzi sono state molte, negli anni, le critiche ricevute per voler anteporre sempre la Germania al bene comune. Per citare qualche esempio, controverse sono le non-decisioni di attaccare con forza i Paesi europei in deriva illiberale, in forza di rapporti commerciali intensi e non sostituibili; oppure il tempo perso a discutere e negoziare con l’amico-nemico Putin prima di introdurre le sanzioni economiche contro la Russia quando invase l’Ucraina. Colpa del gasdotto baltico che fornisce energia a costi ragionevoli alla Germania, dice qualche malizioso.
Gli analisti concordano su un altro limite nel suo bagaglio politico e umano: la mancanza di visione a lungo termine; Merkel non è un’idealista con un grande progetto, non anticipa le crisi e le opportunità, non è la guida visionaria che fu Helmut Kohl nella costruzione dell’Europa, dicono. Tutto vero, ma occorre anche riconoscere che si tratta di una maestra nella tattica, che forse non è in grado di prevedere ma risolve le crisi, che sogna poco ma sa cogliere tutte le occasioni al volo. Una donna imperfetta, ambiziosa e molto cauta, che non si è lasciata cambiare dalla politica e vive ancora in un semplice appartamento in equo canone, con il nome sul campanello. La stessa che a un forum economico internazionale dei primi tempi disse ai giornalisti: «Da non crederci. Sono cresciuta nella DDR, senza possedere niente e pensando ai capitalisti come caricature in tight e bombetta. Invece oggi sono qui e sono loro che ascoltano me».
Tra pochi giorni, la Cancelliera tornerà ufficialmente a essere la signora Merkel, per decisione sua, come sempre, e la storia recente dimostra come sia difficile sostituirla. Una scelta che aveva in realtà già fatto alla fine del suo mandato precedente, a fine 2016, quando non si sentì di abbandonare il suo posto e l’Europa di fronte a vari fattori: le elezioni incerte in Francia, l’elezione appena confermata di Trump in USA e le prime folate di Brexit. «Sono ancora convinta che la Germania abbia bisogno di un cambiamento, per il bene della democrazia – disse annunciando la ricandidatura – ma in questo momento è troppo pericoloso».
Stavolta, però, fa sul serio e, se qualcosa abbiamo imparato di lei, è che quando prende una decisione è definitiva e spesso anche l’unica giusta. Chi scrive spera che continuerà a deliziarci con i suoi discorsi pacati e sensati, con le sue giacche identiche dai colori accesi su pantalone nero, con quella frangetta impertinente su uno sguardo che sa essere ghiaccio ma anche fuoco. Soprattutto speriamo rimangano le sue idee, chissà, magari avvicinandosi a Bruxelles. Se possiamo accettare l’opinione generale che la vuole restia o incapace di proporre idee nuove e progetti importanti, resta sempre la migliore nel portarli a compimento. Perché Merkel, fin dai tempi del dottorato, non vede problemi. Lei vede soluzioni.
© RIPRODUZIONE RISERVATA