Come i media raccontano il crimine e la giustizia
Distorsione degli eventi, dipendenza dalle fonti, costruzione del "mostro". Quando giornali e tv tradiscono il rispetto della verità sostanziale dei fatti.
Distorsione degli eventi, dipendenza dalle fonti, costruzione del "mostro". Quando giornali e tv tradiscono il rispetto della verità sostanziale dei fatti.
Com’è che veniamo a conoscenza dei fatti di criminalità e del mondo giudiziario? Il passaggio necessario, con esclusione dei diretti interessati, è attraverso i media.
Possiamo dire che i media – dai giornali alla televisione, dalla radio a Internet – sono i canali che ci mettono in contatto con i lati più inquietanti delle relazioni umane, quelli relativi al delitto.
I media hanno anche un ruolo importante nel farci capire come funzioni il tentativo di dare risposta al delitto, attraverso l’inchiesta giudiziaria e poi i riti dei processi.
L’interesse per il mondo del crimine non è dei tempi recenti. Ha inizio quasi due secoli, con la Rivoluzione Industriale e le rivoluzioni democratiche in Francia e negli Stati Uniti.
Proprio negli Stati Uniti nasce la penny press. Era la stampa quotidiana che costava poco. Nasce nel 1830, a New York, con il Sun, quotidiano che veniva venduto a un penny. Una stampa popolare, che mirava soprattutto a chi era immigrato nella Grande Mela.
L’Italia non ha mai avuto una stampa popolare quotidiana di quel genere. I nostri quotidiani sono stati piuttosto elitari, con qualche eccezione fra i giornali provinciali. Il ruolo di stampa popolare, di penny press, l’hanno svolta certi rotocalchi e un certo modo di fare televisione di massa.
Il racconto di delitti brutali, sadici, impressionanti è passato certo attraverso la stampa quotidiana. Ma la diffusione di massa di quell’interesse per il crimine e il mondo giudiziario, almeno in Italia, la si è avuta con i rotocalchi e con certi programmi di massa dedicati a casi criminali e ai loro esiti giudiziari.
Pensiamo al caso di Novi Ligure, a Cogne, alla Strage di Erba, ad Avetrana e al delitto di Perugia (con l’omicidio di Meredith Kercher), per citare i più recenti e i più conosciuti.
Quali problemi vi sono nella rappresentazione del crimine e della giustizia nei media? Il primo e quello che innesca le altre problematiche è la distorsione dei fatti. L’ho visto con il caso giudiziario di cui mi sto occupando dal 2010, la vicenda del sequestro e omicidio di Milena Sutter (Genova, 1971) con la figura del biondino della spider rossa.
Allo studio di questa vicenda la criminologa Laura Baccaro e io abbiamo dedicato un libro che si intitola Il Biondino della Spider Rossa. Crimine, giustizia e media.
Ebbene, non vi è alcuna evidenza scientifica, né prova dei fatti che Milena Sutter sia stata rapita. La perizia medico-legale sul corpo della vittima – perizia che ho sottoposta a ben sei medici-legali di riconosciuta competenza scientifica – non ha fondamento: non possiamo affermare che Milena Sutter, 13 anni, sia stata uccisa; e possiamo ancor meno affermare che sia stata ammazzata in modo volontario e premeditato.
Quanto al biondino della spider rossa, Lorenzo Bozano (25 anni nel 1971, morto all’Isola d’Elba il 30 giugno del 2021)… non era biondo, né biondino, né magrolino. Era castano scuro e robusto.
Il secondo problema, nel rapporto fra media e crimine e giustizia, è nella dipendenza dalle fonti. Molto spesso noi giornalisti raccontiamo senza filtro critico quello che ci dicono gli investigatori, anziché ragionare con la nostra testa, porre domande scomode, analizzare dalla nostra angolazione un certo delitto.
Questa dipendenza dalle fonti è tale che nel dare il resoconto, poniamo, di un omicidio omettiamo di dire che quando stiamo scrivendo ha una fonte: la polizia, i carabinieri o il magistrato incaricato delle indagini.
Per una questione di trasparenza, i giornalisti – come accade ad esempio nei media americani – dovrebbero nei loro racconti specificare che quanto scrivono è frutto di una dichiarazione degli investigatori. Assistiamo, al contrario, a una ricostruzione di un certo delitto sotto forma di storia che porta chi legge a una sola conclusione: di assistere alla ricostruzione fedele dei fatti, mentre si tratta solo di storytelling poliziesco o giudiziario.
E’ un po’ l’errore in cui siamo indotti quando giornalisti o magistrati o commentatori scambiano la verità giudiziaria, espressa con una sentenza, come verità storico-fattuale; o come verità scientifica.
Casi di investigazione giornalistica ci dimostrano invece – si veda ad esempio il docu-film The Innocent Man, realizzato sulla base di un libro di John Grisham – che la narrazione giudiziaria non sempre corrisponde a quella storica e fattuale.
Lo storytelling applicato alla cronaca nera può davvero portarci fuori strada. Non si tratta di mettere sotto accusa lo storytelling: il saper intrattenere, nel resoconto di un fatto piuttosto che nel trasmettere una qualche forma di sapere, è una virtù da narratori. Coinvolgere chi ci ascolta è sacrosanto e va incentivato. Ma non può avvenire a spese della verità sostanziale dei fatti.
Capita, infatti, che si pieghino i fatti, la rappresentazione delle persone e i temi agli interessi del racconto: dallo storytelling passiamo a quello che, con un simpatico neologismo, definirei lo storyballing. Il raccontare balle come storie vere, insomma.
L’altro problema è quello della costruzione del mostro. Ne abbiamo un esempio ancora con il caso di Lorenzo Bozano, persona che ho conosciuto da molto vicino per oltre dieci anni; ma soprattutto che è stato sottoposto a perizia psico-criminologica da Laura Baccaro, criminologa e psicologa giuridica esperta di violenza di genere e di autori di reato a sfondo sessuale.
In occasione della sua morte, Lorenzo Bozano è stato rappresentato dalla stampa italiana – e in particolare da quella genovese – come un killer, un deviato sessuale, un maniaco. La sua figura è rimasta insomma cristallizzata ai giudizi e ai pregiudizi del 1971. Va ricordato che Bozano fu assolto al termine del processo di primo grado nel 1973. E, senza alcun elemento in più e con una Corte d’Assise colpevolista già all’inizio delle udienze, fu poi condannato all’ergastolo nel 1975.
La criminologa Laura Baccaro ha dimostrato, con la sua perizia su Bozano, che egli non era un deviato sessuale. Non era affetto da parafilie. Non lo si poteva neppure considerare un “delinquente di per sé”, ma solo sulla base del giudizio penale della Corte d’Assise d’Appello. Sulla colpevolezza di Lorenzo Bozano, nel cagionare la morte di Milena Sutter, è corretto che i giornali si attengano a una pur contestabile sentenza.
Presentare una persona, a 50 anni dal caso, come uguale a quando si era nel 1971 e ignorare i pareri scientifici su quella stessa persona, vuol dire agire con pregiudizio. E puntare solo a fare audience con la costruzione del mostro, del nemico della comunità. Dalla persona siamo così passati, grazie ai media, alla costruzione del personaggio.
Infine, c’è il problema della seguitazione mediale. Ho messo a punto, in un libro del 2006 sul Giornalismo Interculturale e il tema media e immigrazione, il concetto di “seguitazione mediale” per rappresentare un preciso fenomeno. In molti fatti, specie della cronaca nera o della polemica politica piuttosto che del gossip, dove un certo giornale dà una specifica versione di un accadimento, usa un certo linguaggio a cui adeguano e che imitano, come accade con la seguitazione nelle oche, gli altri media.
Non vi è insomma nei giornali il tentativo di verificare come stanno le cose, di riflettere sul linguaggio da usare, di smarcarsi dall’imitazione. E’ il fenomeno dei “giornali fotocopia”, rimarcato anni fa in un libro dal giornalista Alessandro Barbano.
Alla luce di questi problemi nel rapporto fra media e rappresentazione del crimine e della giustizia, è importante che lettori e lettrici sospendano il giudizio. Occorre leggere con la luce del dubbio quanto ci viene proposto.
Se siamo interessati a un certo fatto di cronaca nera o giudiziaria, è bene consultare più fonti, approfondire la conoscenza. Quello da evitare è che la verità mediatica sia scambiata per verità fattuale o, ancor peggio, per verità scientifica.
(La foto di copertina è di Ludovica Dri, Unsplash)
© RIPRODUZIONE RISERVATA