Curarsi dalla narcolessia
Il monologo di Arianna Porcelli Safonov al Festival della Bellezza riflette sulla presunta narcolessia di Dante e sugli infiniti aspetti della patologia stessa come ancora di salvataggio.
Il monologo di Arianna Porcelli Safonov al Festival della Bellezza riflette sulla presunta narcolessia di Dante e sugli infiniti aspetti della patologia stessa come ancora di salvataggio.
Martedì 14 settembre, nella suggestiva cornice del Teatro Romano, l’autrice Arianna Porcelli Safonov ha letteralmente catturato il pubblico dell’anfiteatro scaligero con il monologo teatrale Curarsi dalla narcolessia.
L’arguto e tagliente intervento di Safonov, ospite della rassegna “Festival della bellezza”, ha avuto come protagonista da un lato un’analisi della narcolessia di Dante nella Divina Commedia, e dall’altro il medesimo disturbo analizzato nel nostro tempo come chiave salvifica da ansie e tensioni quotidiane.
Nel mezzo della narrazione, l’autrice, ha recitato dei versi danteschi, in particolare tratti da L’Inferno.
Arianna Porcelli Safonov è nata a Roma e laureata in Storia del costume, ha lavorato nell’organizzazione di eventi, mestiere per il quale ha viaggiato in tutto il mondo. Nel 2008 ha iniziato a studiare teatro comico, ha aperto il blog di racconti umoristici Madame Pipì e dal 2010 ha abbandonato il tragico mondo degli eventi per dedicarsi completamente all’intrattenimento.
Oggi è un’apprezzata attrice comica, conduttrice di format TV e live e autrice di monologhi di stand-up comedy e cabaret, tra l’Italia e la Spagna.
Il soliloquio di Safonov si apre con un raffronto sarcastico tra ciò che eccellenti letterati, come Dante, hanno donato al genere umano, ossia la «purezza intellettuale» e quello che invece oggi il genere umano ha in dono: il signor Bezos, fondatore di Amazon.
L’allegoria beffarda dell’autrice vede Dante che «parla alla gente dell’inferno con la Divina Commedia mentre il signor Bezos fa lavorare la gente all’inferno».
Bezos, continua la narrazione, «è l’uomo più ricco del mondo mentre Dante rende ricco chi lo legge» e cosi via rendendo chiaro il paradosso del nostro tempo ossia la ricerca sempre più sfrenata di una quantità di inutili beni materiali che regalano ricchezza a pochi ma nel contempo non innalzano l’intelletto o la ricchezza interiore, anzi, al contrario portano disuguaglianza economica e stupidità generalizzata.
Prosegue poi disquisendo della sua insegnante, suor Giulia, grottesca e severa che parafrasava a memoria la Divina Commedia, verso per verso «senza alcun ausilio cartaceo» e, precisando, «senza app».
L’autrice insiste in modo caustico e irriverente quindi sulla esasperazione degli strumenti digitali utilizzati eccessivamente nella nostra epoca che ci stanno impigrendo la mente.
Si esprime sulla figura di Dante come Artista accostandolo a un giullare di strada di Roma, molto conosciuto nella città, Massimiliano Carrisi venuto a mancare l’anno scorso.
Un poeta che regalava la sua arte, uomo indigente ma creativo, un vero cantastorie: ne noto, ne ricco.
L’autrice lo dipinge come il Dante di oggi «senza le conoscenze giuste e gli amici giusti Dante sarebbe stato cosi, un fantasma nelle piazze delle grandi citta scambiato per un buffone underground ridicolizzato da una massa descolarizzata non pronta e avvelenata dai like».
Parla anche di purezza intellettuale Safonov che ritiene si viva sollo nella miseria, nella sofferenza, nel pathos e non certo nella ricorsa alla ricchezza, circostanza, l’ indigenza, vissuta anche da Dante.
«La povertà intesa come sinonimo di purezza, l’attrazione per le cose antiche, per i nascondigli naturali, per l’essenziale fino ad oggi hanno salvato il nostro patrimonio sotto tutte le sue declinazioni».
Dopo questa sarcastica introduzione l’ironica autrice arriva al nocciolo della narrazione su Dante e i suoi addormentamenti o svenimenti che avvengono durante la divina commedia.
Cita tre tesi al riguardo, esponendole con disquisizioni dissacranti: la tesi della creazione a doc della patologia perchè serve al racconto, la seconda tesi di Cesare Lombroso che paventa un problema di epilessia di Dante e infine la narcolessia di Dante – disturbi incontrollati e ricorrenti di sonno – tesi di Giuseppe Blanzi, neurologo italiano.
L’autrice analizza l’argomento della narcolessia in modo estremamente scanzonato prendendo spunto da dei suoi problemi di narcolessia e facendo un paragone tra circostanze vissute personalmente di ansia che la portano ad addormentarsi nel momento cruciale di momenti pesanti della vita.
Uno fra tutti: lei che si addormenta alla guida della sua macchina mentre è al telefono con il fidanzato che le fa l’inquisizione sulla sera precedente e si addormenta di colpo per difendersi da questa ansia che la trafigge distruggendo tutto quello che le passa davanti. Come Dante che si addormenta e sviene quando le emozioni che prova diventano insostenibili, troppo nobili da sopportare, troppo grandi. Cita un verso da L’Inferno:
Per più fïate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante.
Mentre che l’uno spirto questo disse,
l’altro piangëa; sì che di pietade
io venni men così com’io morisse.
E caddi come corpo morto cade.
Da qui il raffronto bruciante di Safonov sulla nostra pochezza umana «facciamo schifo» a confronto della grandezza di Dante e del suo enorme intelletto.
Da un lato noi, narra l’autrice, gli uomini che sopraffatti dall’ ansia possiamo solo svenire per dar conto ai nostri limiti umani, dall’altro il grande Dante che lo fa perchè il suo cuore trabocca di troppe emozioni.
© RIPRODUZIONE RISERVATA