A meno di un mese dall’ennesimo grido di allarme dell’IPCC (Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici) sul riscaldamento della superficie della Terra, che ha accelerato oltre le previsioni negli ultimi anni tanto da raggiungere soglie di tolleranza critiche per l’agricoltura e la salute, abbiamo assistito ad una nuova sconcertante performance del Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani.

Aprendo la Scuola di formazione politica di Italia Viva, di Matteo Renzi, sul tema dell’utilizzo della tecnologia nucleare nella lotta ai cambiamenti climatici, il ministro ha affermato che «si stanno affacciando tecnologie di quarta generazione, senza uranio arricchito e acqua pesante. Ci sono Paesi che stanno investendo su questa tecnologia, non è matura, ma è prossima a essere matura […] è da folli non considerare questa tecnologia. Nell’interesse dei nostri figli è vietato ideologizzare qualsiasi tipo di tecnologia», e ha concluso con un’espressione fastidiosa, che non ci si aspetterebbe da un ministro: «Il mondo è pieno di ambientalisti radical chic ed è pieno di ambientalisti oltranzisti, ideologici: loro sono peggio della catastrofe climatica […]. Sono parte del problema».

Una dichiarazione generica, astratta, persino condivisibile se formulata fuori contesto ma che, nel momento in cui è stata esposta, con l’autorità di chi l’ha pronunciata, ha sconcertato molti. Significativo, infatti, l’immediato e pieno appoggio, attraverso i principali media, di Paolo Scaroni, ex Amministratore Delegato di ENI, e del fondatore di Legambiente Chicco Testa, personaggi legati al mondo dei combustibili fossili e noti per le loro posizioni “fredde” sulla transizione energetica europea.

Il ministro sa benissimo che, come ricorda Gianni Sivestrini (direttore scientifico del Kyoto Club), sulla rivista QualEnergia, i cosiddetti reattori di quarta generazione presentano notevoli limiti.

«Per il reattore veloce LFR (Lead cooled Fast Reactor) di cui si parla, ipotizzando un miracoloso consenso popolare, un normale processo autorizzativo e usuali tempi tecnici di costruzione, il superamento dei collaudi e la verifica dei sistemi di sicurezza» ribadisce Silvestrini «il primo impianto sperimentale potrebbe ottimisticamente erogare energia verso il 2035. Installando poi a ritmo serrato un impianto all’anno da 200 MW (la taglia a cui si sta pensando), al 2050 si potrà fornire solo il 3,5% della domanda elettrica italiana». Questo senza trascurare gli ingenti costi di investimento e di gestione. Inoltre, conoscendo  le difficoltà in Italia a realizzare anche solo un piccolo parco eolico, individuare un sito adatto per un impianto nucleare non sarà certamente cosa semplice.

Appare chiaro che il nucleare di nuova generazione, cui fa riferimento il ministro, non può essere lo strumento su cui puntare per decarbonizzare la nostra civiltà entro il 2050, data entro la quale bisogna stabilizzare la temperatura media terrestre. Può al massimo essere un interessante ambito di ricerca il cui risultato potrà eventualmente essere utilizzato solo dopo aver superato l’emergenza climatica.

Il ministro non è uno sprovveduto, è aggiornato sulle conoscenze scientifiche e tecnologiche immediatamente disponibili, sui programmi di ricerca e i loro tempi di attuazione, sa benissimo che costi elevati e tempi biblici di costruzione rendono l’attuale nucleare e quello futuribile non competitivi.

In un convegno pubblico pertanto ci si sarebbe aspettata dal ministro analoga veemenza e impegno per il sostegno e la diffusione delle tecnologie attualmente disponibili.

Cingolani ha certamente letto il rapporto di IRENA (Renewable Power Generation Cost)  dal quale si ricava che il fotovoltaico, l’eolico onshore, l’eolico offshore hanno talmente diminuito i loro costi da rendere conveniente sostituire almeno il 75% delle attuali produzioni fossili. È anche sicuramente al corrente che i risultati delle aste del GSE (Gestore dei Sistemi Energetici), per l’assegnazione degli incentivi alla produzione elettrica da fonti rinnovabili, hanno dimostrato quanto sia scarso l’interesse del nostro Paese a investire nel settore: in Italia, per avviare un progetto eolico, occorrono tra i cinque e i sette anni con un 15% di probabilità di successo (da Elettricità Futura).

Sa perfettamente anche che per raggiungere gli obiettivi del PNIEC (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima) entro il 2030 si dovranno installare nuovi impianti fotovoltaici al ritmo di circa 5 GW all’anno quando nel 2020 sono entrati in esercizio in Italia  solo 0.749 GW .

Ma allora, come possiamo interpretare le affermazioni del ministro Cingolani?

In attesa di un chiarimento da parte del ministro possiamo assumere l’interpretazione fornita da Giuseppe Onufrio, fisico, direttore di Greenpeace Italia: «È in atto, non da ora, una campagna anti-rinnovabili che vede impegnati esponenti dell’industria fossile accanto a sedicenti ambientalisti!» (Italia Nostra e Amici della Terra sono molto critici rispetto alla diffusione dell’eolico e delle centrali solari, ndr) «Questi sì radical chic. L’effetto combinato di questa campagna assieme alle boutade nucleari si traduce in quello che è stato definito il nuovo negazionismo climatico: l’inazione a vantaggio delle fossili. Così il ministro della “Finzione Ecologica” […] ha forse buttato la palla in calcio d’angolo per coprire l’immobilismo del governo». A cui, si potrebbe aggiungere, fa da degno contraltare l’immobilismo di gran parte delle amministrazioni comunali.

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