Grandi nomi per le serate conclusive della Festa dell’Unità a Quinzano: domenica 5 settembre è stato ospite d’eccezione il presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, colui che nel gennaio 2020 ha impedito a Salvini (e alla sua candidata virtuale, Lucia Borgonzoni) di conquistare la regione “rossa” per eccellenza.

Il pubblico è composto da un centinaio di persone. L’età media è molto elevata, tanto che qualcuno si prenota una fila di posti con una stampella. Molta di più, però, la gente rimasta indifferente a mangiare nell’area ristoro, a dimostrazione che la base, dopo anni di forzata somministrazione di neoliberismo darwiniano mascherato di buoni sentimenti, insieme al luccio con la polenta ha finalmente imparato a mandare giù persino la linea del partito. Con una buona oretta di ritardo arriva anche Bonaccini («Ero alla presentazione del mio libro») e si comincia con l’intervista di Lillo Aldegheri – giornalista del Corriere del Veneto – e gli interventi di un secondo ospite, Alessio Albertini, sindaco di Belfiore. Apre la serata il Prologo, Giuseppe Mazza (Segretario secondo circolo del PD), che mette subito le mani avanti: «Non esiste una Lega buona e una cattiva: Zaia è l’altra faccia della stessa medaglia.»


Chiamato a delineare la differenza tra sindaco di centrodestra e centrosinistra, Albertini – che si gioca a breve la riconferma – sottolinea che il successo di M5s e Lega è sintomo di un bisogno di risposte e che quello che, a suo dire, distingue il sindaco di sinistra è la capacità di condividere e coinvolgere nelle scelte la popolazione con un occhio al futuro.
Prende la scena allora Stefano Bonaccini, che ha un discreto carisma e una buona dialettica che, in assenza di contraddittorio, si trasforma in un soliloquio piuttosto brillante. C’è molto autocompiacimento, rivendicazione dei propri successi e una spinta autopromozione del suo nuovo libro.

Che aria tira nel PD?

Pronti, via, e Bonaccini rivendica innanzitutto il successo contro Salvini nel 2020, successo che a Roma qualcuno tenta di ridimensionare (piccati dal suo scrivere che molti dirigenti del partito non hanno conoscenza diretta del “mondo reale”). Forse per distinguersi, forse per sottolineare una sua distanza da alcune tendenze del PD, durante tutto il suo intervento tende a rimarcare la netta distanza tra un partito ripiegato su se stesso e un partito invece che si radica sul territorio, il cui modello è… lo stesso Bonaccini, ovviamente.

Ecco, dunque, la ricetta del “governatore”, perché il PD torni competitivo: invece di concentrarsi su alleanze e nomi, bisogna tornare nelle fabbriche, nelle scuole, nella società reale. «Non populisti, ma popolari», ci tiene, però, a precisare. Non proprio una cosa nuovissima, ne parlavano già i girotondini, ma tant’è; si vede che il bisogno del popolo di sinistra di essere ascoltato è rimasto insoddisfatto e ritiene che le Sardine stiano state, di fatto, un sintomo di questo bisogno.

Tornare tra la gente per un partito meno di corridoi e più di battaglia; definire un insieme di idee caratterizzanti che diano un’idea precisa e chiara di cosa è il PD (diritti, sanità pubblica, progettualità) e andare dove è più difficile andare, anche a rischio di essere fischiati. In questo modo condivide l’affermazione del sindaco Albertini che, constatando l’irrilevanza elettorale del PD a Verona, sottolinea la necessità per il partito di presentarsi nelle zone della città in cui ora non esiste, come Borgo Roma o le Golosine.

Il metodo Bonaccini

Rispetto per tutti, anche per Salvini, che secondo Bonaccini ha saputo vincere rimanendo nei problemi, andando nelle piazze quando erano più i contestatori che i sostenitori e la Lega era al 4,09% (2013). Rispetto e collaborazione poi con Zaia e Fedriga (anche per il suo ruolo di Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome dal 2015 al 2021) e pure per i M5s, ammesso che compiano la loro trasformazione a partito europeista di sinistra. E ribadisce come questo modello sia vincente, dando così una stoccata ai vertici del PD – «In piena epidemia e con un PNRR da fare (col Governo Conte 2, ndr) qualcuno chiedeva di isolarsi per quattro mesi in un congresso» – e contemporaneamente rivendicando la scelta di Enrico Letta come segretario, a cui avrebbe chiesto di prendere in squadra i sindaci che avrebbero il polso del Paese reale. Certo, idea interessante, ma anche questo è un deja vu: ci ricordiamo tutti l’innamoramento per quell’Italia dei sindaci che nel 2016 vide persino Renzi e Tosi nel salotto di Vespa: ora il primo galleggia con un 2% praticamente inutile, mentre il secondo è tornato a candidarsi per il ruolo di sindaco nella nostra Verona. Una minestra riscaldata, insomma.

Il PD e il Nord

Il PD nazionale, secondo Bonaccini, non ragiona abbastanza del Nord mentre dimostra maggiore attenzione per politiche di assistenza che favoriscono il Sud: il fatto è che l’unica regione del nord in mano al PD è l’Emilia-Romagna e se il partito aspira davvero a guidare l’Italia non può farlo senza le regioni più ricche e popolose del Paese. Attenzione che, invece, ovviamente Bonaccini ha. Nessun cenno, ma neanche per sbaglio, al percorso autonomistico intrapreso dal Veneto ma anche dall’Emilia-Romagna. Sottolinea piuttosto con orgoglio il proprio essere prima di tutto italiano e poi un accordo a tre con Zaia e Fedriga per le infrastrutture per il turismo.

E qui il Presidente dell’Emilia-Romagna rimarca i propri successi, tra i quali una crescita superiore al Veneto. Il suo è una prospettiva di sviluppo di lungo periodo, con una collaborazione competitiva con la Silicon Valley, con l’acquisizione sul territorio di agenzie europee essenziali e l’accoglienza di aziende straniere strategiche, specie nel campo della mobilità elettrica. Un progetto tecnologico e di big data di sistema che coinvolge anche il mondo della scuola, anche sfruttando le risorse del PNRR. Una visione, questa, davvero interessante, anche perché Bonaccini vede come possibile alternativa alla riduzione dei posti di lavoro derivata dalla robotizzazione nella ricerca di nuove figure professionali informatiche da collocare nella creazione e nella gestione.

Le prossime politiche

Mentre tutti danno per vincente il centrodestra alle prossime elezioni, Bonaccini ne è molto meno convinto a causa della pressione di FdI sulla Lega. A suo dire, una Lega di lotta e governo non convince davvero e una Destra dominata dalla Meloni, ovvero sovranista e antieuropeista, spaventerà molti elettori moderati che sarebbero allora disposti ad ascoltare, se ci fosse, una proposta politica diversa. Quale? Bonaccini si riconosce totalmente nel Governo Draghi (anche se non rinnega il “Conte 2”) e nelle sue scelte europeiste; afferma che il PD dovrebbe rivendicare questa esperienza e farla continuare il più possibile perché «non si può cambiare governo ogni anno» (5 governi negli ultimi 5 anni, nda) specie in vista della gestione dei fondi del PNRR. Ritiene che il PD, a fronte dell’esperienza degli italiani nella pandemia, debba rivendicare temi caratterizzanti come la sanità pubblica, i diritti del lavoro compressi, la legalità, lo ius soli. Un PD, insomma, che non solo si sappia distinguere ma che si possa anche raccontare.

Finisce l’incontro, ma la serata prosegue con il classico “firmacopie”. Bonaccini lascia l’impressione di uno che sì ha mostrato pragmatismo e talento politico ma soprattutto che è davvero contento di essere Bonaccini.

© RIPRODUZIONE RISERVATA