377mila. È il numero delle nuove diagnosi di tumore che vengono fatte nell’arco di un anno solo in Italia. Una buona fetta riguarda le donne con un’incidenza del cancro alla mammella che coinvolge oltre il 30% dei soggetti femminili (secondo le stime Airc).

Non sono solo dati, percentuali e statistiche. Sono persone. Con una propria storia alle spalle e con progetti per il futuro, con insicurezze e fragilità, con famiglie e sogni. 

Alcune non ce l’hanno fatta; altre lo hanno sconfitto. Altre ancora stanno combattendo. Chi ha attraversato l’inferno ne porta le cicatrici nel fisico, nella mente e negli occhi. Porta con sé anche un fuoco di coraggio e di tenacia che non può disperdersi.

Così, alcune reduci, sono diventate Pink Ambassadors per promuovere e sostenere la raccolta fondi in favore della ricerca scientifica sui tumori femminili di Fondazione Umberto Veronesi. L’obiettivo è educare alla prevenzione e sostenere il lavoro quotidiano dei ricercatori.

Inoltre, con il progetto Pink is God, vengono reclutate donne operate di tumore al seno, utero o ovaio che accettano una nuova sfida: allenarsi e correre 21Km, la distanza di una mezza maratona. Il progetto, nato a Milano nel 2014, è oggi attivo in 18 città tra cui Verona.

«Dopo la diagnosi la paura è disarmante, invade i pensieri e scompaiono anche le più piccole certezze: non sapevo quello che avrei dovuto affrontare e come sarebbe finita. Io sono stata fortunata ma ho conosciuto donne che hanno perso la loro battaglia. Vedere un genitore disperato per la perdita del proprio figlio o un figlio restare orfano di un genitore a causa di questo male è distruttivo. Ma io sono qui e voglio combattere per me e per loro, per questo sono diventata Pink Ambassador».

Questo è un frammento della storia di Catia Del Boccio che insieme ad altre cinque amiche ha deciso di diventare un’ambasciatrice rosa e sostenere la ricerca.

Sei donne con vite e professioni differenti, con formazioni e provenienze diverse accomunate da un’unica forte volontà: quella di essere testimoni di rinascita e portatrici di speranza. «Il progetto su cui si basa la nostra raccolta fondi credo che possa essere perfettamente descritto nelle parole di Madre Teresa di Calcutta- – sottolinea Rita Villa – Quello che facciamo è soltanto una goccia nell’oceano. Ma se non ci fosse quella goccia all’oceano mancherebbe.»

Oltre a Catia e Rita anche Silvia Calzavara ha una storia segnante che in parte condiziona ancora oggi la sua quotidianità: «Mi hanno diagnosticato il cancro nel 2016 e la mia cura non è finita, assumo farmaci ormonali che sono tutt’altro che facili da gestire. Mi sento come sospesa su un’altalena. La mia motivazione nel sostenere la fondazione è doppiamente forte perché non sono l’unica a essersi ammalata di tumore in famiglia. Voglio che altre donne e altre famiglie non debbano mai attraversare ciò che è capitato a noi.»

«La ricerca scientifica non è un optional – commenta Emanuela Santoro -. Per questo motivo io e le mie amiche Pink Ambassador abbiamo deciso di metterci in gioco per sostenere la raccolta fondi della Fondazione Veronesi. I tumori femminili, non colpiscono solo il corpo, ma anche la mente e il progetto Pink is Good ridona speranza a donne che pensavano di non avere un domani. Indossare la maglia rosa della maratona, ti ricarica, ti aiuta ad affrontare sfide che non avresti mai immaginato, ti dà quella spinta di cui avevi bisogno. Il nostro impegno insieme a quello dei ricercatori hanno l’obiettivo di migliorare la vita di altre donne. Vogliamo regalare a tutti un’altra possibilità e nuove prospettive di vita; per questo noi non ci fermiamo e corriamo, corriamo per noi e per tutte le donne che combattono in silenzio, corriamo per sostenere la ricerca. La ricerca è cura, chi sostiene la ricerca sostiene la vita.»

Centrale in questo progetto il mutuo sostegno, donne per le donne. Vengono azzerate differenze di età, cultura, esperienza lavorativa per tessere una collaborazione fondata sulla solidarietà e sul valore dell’aiuto. 

«La nostra cooperazione è animata da energia e desiderio di riscatto – sottolinea Lisa Bazzucco -. Concretamente, si traduce in una competizione anticipata da in allenamenti preparatori: condividiamo l’intero percorso di cui la maratona finale è solo la conclusione. La solidarietà, le cicatrici comuni e la voglia di sorridere sono il collante del gruppo. Aver condiviso esperienze negative ha portato, incredibilmente, anche qualcosa di buono.»

Le Pink Ambassadors descrivono loro stesse come delle wonder woman del quotidiano, capaci di tanti piccoli gesti eroici ogni giorno per rendere la vita migliore. Non solo per sé ma anche per le proprie famiglie e per altre donne. Un contagioso entusiasmo presente che anima ambiziosi progetti futuri: «Ci piacerebbe arrivare a correre per la nostra città, Verona, sostenendo le strutture ospedaliere che ci hanno aiutate – conclude Valentina De Cata -. Vogliamo diffondere un progetto che possa riunire le donne con diagnosi di neoplasie e non solo, agganciandole alla nostra realtà sportiva. Quanto più riusciremo a farci conoscere, tanto più sarà realizzabile questo sogno. Essere Pink vuol dire anche questo: donare emozioni, sorrisi e abbracci, dimenticandosi di tutto il resto».

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