La globalizzazione delle proteste
Negli ultimi 18 mesi oltre 4mila persone nel mondo hanno perso la vita mentre protestavano contro il proprio governo. Un fenomeno in continua espansione e che è destinato a perdurare nel tempo.
Negli ultimi 18 mesi oltre 4mila persone nel mondo hanno perso la vita mentre protestavano contro il proprio governo. Un fenomeno in continua espansione e che è destinato a perdurare nel tempo.
Oggi nel mondo sono 18 i Paesi in cui sono in corso proteste della popolazione, con la partecipazione di circa 3 milioni e mezzo di persone, prevalentemente in India, Libano e Stati Uniti. Siamo perciò di fronte ad una vera e propria “globalizzazione” delle proteste che hanno varcato barriere e confini. Sono lontani gli anni ’60 e ’70 con le manifestazioni in USA per i diritti civili e contro la guerra in Vietnam o la fine degli anni ’80/inizio anni ’90 che accompagnarono nell’est europeo la caduta del comunismo o, ancora, le rivoluzioni “colorate” di metà anni 2000 o, infine, quelle della Primavera Araba del 2011…
L’incremento delle proteste non è avvenuto senza spargimento di sangue: nei 18 mesi che vanno da gennaio 2020 a giugno 2021 oltre 4000 persone hanno pagato con la vita questo desiderio di cambiamento: un prezzo davvero troppo alto.
Quali sono i “tipi” di proteste in atto in questo periodo? Ne abbiamo individuati diversi:
Tre cose: un Governo responsabile davanti ai cittadini, uno stato di diritto, la fine della corruzione; queste tematiche si ritrovano in quasi tutte le categorie sopra menzionate e costituiscono il presupposto ineludibile per costruire una società più libera e più giusta.
Se esaminiamo le proteste da un punto di vista geografico, si scopre che nella parte orientale del mondo, ivi compreso l’Est europeo, esse mirano al riconoscimento dello stato di diritto, nel Sud (Africa sub sahariana e Continente latino-americano) al mutamento radicale dei regimi esistenti con l’affermarsi di nuove personalità e nuovi Governi, in Occidente alla lotta alla corruzione e a una maggiore giustizia sociale.
Se esiste, come abbiamo visto sopra, una “internazionale del cambiamento”, esiste anche una “internazionale della resistenza” che fa capo alle autocrazie mondiali quali Cina, Russia e, in misura molto minore, Iran. Costoro avversano ogni cambiamento e sostengono con aiuti economici, assistenza tecnica e appoggio militare governanti quali quello di Lukascenko in Bielorussia, Diez Canel a Cuba, Maduro in Venezuela e il regime militare birmano. I russi sembrano divenuti esperti, in particolare in Africa, a sostenere le corrotte élite al potere, anche con le armi. E i governanti locali si avvantaggiano dell’aiuto, anche al costo di tollerare lo sfruttamento delle risorse del proprio Paese.
Il fenomeno delle proteste – stando al rapporto citato all’inizio – è destinato a perdurare nel tempo e anzi a crescere, aumentando così l’instabilità globale, il sorgere di ribellioni armate, le guerre, gli esodi, i profughi, i migranti. Purtroppo la solita storia.
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