La Ginnastica Artistica è una delle discipline più antiche del programma olimpico. Adatta e propedeutica per l’apprendimento di qualsiasi altro sport, unisce elementi di forza, equilibrio, coordinazione e acrobatica, in un connubio di tecniche che sintetizzano, al pari dell’atletica, l’idea di atleta per eccellenza e restituiscono la più profonda e completa estetica del gesto sportivo. Coniugare eleganza e leggerezza con la forza necessaria a eseguire le posizioni, i movimenti e le gestualità richiesti nell’utilizzo di attrezzi quali trave, anelli, parallele, sbarra, cavallo o effettuare esercizi al corpo libero, è privilegio di pochi.
L’Italia, che vanta un numero di praticanti di poco inferiore alle 120.000 unità, negli ultimi decenni ha potuto contare su pochi singoli atleti dal talento e dalle qualità di valore assoluto in campo internazionale. Prima Yuri Chechi, magnifico interprete degli anelli, poi si è passati a Igor Cassina, specialista della sbarra, per arrivare, infine, a Vanessa Ferrari, che in questi giorni a Tokio proverà a riprendersi quello che il destino le ha per ora negato, nonostante la sua immensa classe.

L’atleta di Orzinuovi, infatti, con i suoi quasi 32 anni, non solo è un esempio clamoroso di longevità agonistica in una disciplina che sovente “brucia” giovani ragazzine ben prima dell’età adulta, ma è anche una di quelle storie di coraggio, costanza e incrollabile determinazione che a volte solo lo sport sa regalare. Vanessa, sulla cresta dell’onda da più di quindici anni in campo internazionale, non ha ancora in palmares una medaglia olimpica, nonostante vanti 6 ori in Coppa del Mondo, 4 Europei e, soprattutto, 5 medaglie mondiali. Mancanza dovuta a una serie infinita di circostanze sfortunate. A Pechino 2008, le sue prime Olimpiadi, Vanessa arriva fiaccata e invalidata da un problema al tendine d’Achille che la portano nel 2009 a una prima operazione. A Londra 2012 la ginnasta italiana giunge a un soffio dalla medaglia nel corpo libero, ma nell’ex aequo con un’atleta russa deve accontentarsi della medaglia di legno, secondo il regolamento che penalizza il coefficiente di difficoltà dell’esercizio rispetto alla qualità esecutiva.

A un’età in cui molte sue colleghe hanno già abbandonato le competizioni, Vanessa persevera e si presenta alle Olimpiadi di Rio 2016. Anche in questo caso il corpo le chiede un tributo importante, impedendole di allenarsi al meglio per tutta la stagione. Nonostante ciò, ancora una volta, arriva quarta nel concorso al corpo libero, dimostrando le sue eccellenti doti, ma tornando a casa sconsolata. A fine stagione una nuova operazione al tendine d’Achille sembra mettere fine alla sua carriera internazionale, ma lei rilancia e punta a Tokio 2020. Nel 2017, infine, un altro shock. Ai Mondiali, durante la competizione, si rompe il tendine d’Achille, sempre lui, quasi a riecheggiare epiche classiche. Per la quasi totalità degli atleti che si avviano verso il fine carriera di qualsiasi sport, questo infortunio rappresenta una durissima sentenza, l’impossibilità di ritornare al vertice. Non per Vanessa che nel 2019 rientra alle gare dopo quasi due anni di stop. Il dolore non l’abbandona e allora si decide per una nuova nuova operazione, questa volta a entrambe le caviglie. Finita qui? Nemmeno per sogno. La pandemia la costringe a rinviare l’appuntamento con il destino e la obbliga a un ulteriore anno di sacrifici.

Ed eccoci, finalmente, di nuovo alle Olimpiadi. Con tutta l’energia possibile, ha già debuttato a Tokio nelle qualificazioni, dove la prova non contribuisce alla classifica individuale ma consente alle squadre di lottare per l’accesso alla finale. In terra nipponica ha estasiato tutti con un esercizio al corpo libero di assoluto valore, pur concedendosi qualche minima imperfezione. È in forma, è in missione, la sua personale missione. Il primo posto provvisorio nulla significa, se non che ancora una volta sta spostando i limiti di un corpo martoriato da due decenni di agonismo ed è pronta all’appuntamento con la storia. Nessuna più di lei se lo meriterebbe. Un appuntamento con una medaglia che avrebbe il sapore agrodolce dell’attesa, delle lacrime, di migliaia di ore di sudore e una giovinezza spesa in palestra, senza nemmeno l’aspettativa di una pensione agiata con il conto in banca ben rifornito.


In breve dalle Olimpiadi

Scherma. Non è più Jesi caput mundi e c’è la sensazione di una diffusa sfiducia dilagante in tutte le armi. I concorsi a squadre proveranno a salvare il medagliere. Ma è già un bilancio fallimentare. Lo si nota dagli sguardi in pedana.

Pallavolo uomini. Al netto dell’infortunio di Simone Giannelli, filtra tensione dalle parole di Ivan Zaytsev. E anche una certa arroganza, se dopo due gare già si sente il bisogno di zittire la critica, peraltro nemmeno rumorosa. Brutte sensazioni, ma il girone abbordabile concede qualche errore.

Pallacanestro Maschile. Che bello vederli giocare. Energia, dedizione, disponibilità, altruismo. Un inno allo sport di squadra. Siamo all’inizio, ma la spedizione è già un successo. Coi giovani, non con i grandi nomi, in un torneo più equilibrato che mai. Meo Sacchetti, coach della nazionale, è già atteso a una carriera da formatore in azienda a parlare di team building.
Nel frattempo, il bocia, il ragazzetto con il sorriso sfrontato del campetto che all’anagrafe fa Luka Doncic, si sta trascinando sulle spalle Lubiana e il Triglav intero, mettendo a ferro e fuoco il torneo olimpico con la sua Slovenia. È in missione. Occhio, perché di missioni non ne ha mai bucata una in vita sua.  

Nuoto. Se a Sidney 2000, olimpiade storica per il nuoto azzurro, si era puntato su pochi atleti d’eccellenza, in Giappone, in attesa che scendano in acqua i grandi calibri della nostra spedizione, assistiamo a una serie infinita di ottimi risultati con tantissimi atleti capaci di qualificarsi alle finali delle proprie discipline. Ottima spedizione, a prescindere dalle medaglie. Federica Pellegrini, come sempre, rimane immortale.

Ciclismo maschile
. Lo sport più affascinante per un del tutto particolare connubio tra strategie individuali e di squadra, torna a non essere credibile e a distanziarsi dal vero spirito olimpico, ben prima delle gare di Tokio. Le performance assurde di giovani atleti di questa nuova generazione, fatto salvo il beneficio del dubbio, se confrontate a quelle del periodo buio di fine anni Novanta, strizzano l’occhio a nuove tecniche per alterare le prestazioni, forse anche al doping genetico. Che abbia vinto l’oro olimpico Richard Carapaz, ecuadoriano, avvantaggiato da un percorso durissimo e dal marcamento tra favoriti, onestamente interessa il giusto. E che gli italiani restino nelle retrovie forse, alla luce del contesto, non è da disprezzare. Hanno corso bene. Se poi qualcuno spezzasse l’omertà che governa l’ambiente, sarebbe ancora meglio. Non accadrà.

Atletica. Fino a quando non comincia l’atletica, ogni giorno è un giorno di attesa.

Tiro a Volo. Diana Bacosi vince l’argento, confermandosi dopo l’oro nella precedente gara olimpica. È arrivata ad un piattello dall’oro, era tra le favorite, ma non si è tolta la medaglia dal collo. L’ha festeggiata con sincero trasporto, alla faccia di chi, da secondo, rifugge dalla sconfitta.

Basket 3vs3. Giocato nei gloriosi playground del Bronx o al campetto di ponte Catena in terra veronese ha il suo senso. Alle Olimpiadi e senza pubblico restituisce una profonda tristezza, così come tutte quelle discipline che nascono in strada e che, guardando al numero dei praticanti, sono state inserite nel programma olimpico. Ma restano sport di strada, più esibizioni che discipline sportive finalizzate a una performance o ad un risultato.

Tennis. La spedizione olimpica di Camila Giorgi rappresenta appieno la sua carriera. Un talento che ha sempre offerto sprazzi di classe – vedasi i primi turni del torneo di Tokio – mai capace di offrire la continuità necessaria nel tennis per conseguire risultati importanti. Un’atleta a cui forse è mancata una guida capace di aiutarla in un salto di qualità prima mentale che tecnico.

Medagliere: Vito Dell’Aquila regala il primo oro all’Italia nella disciplina del Taekwondo. 9° posto provvisorio per l’Italia, ma siamo indietro rispetto alle previsioni. Sarà un’Olimpiade di sorprese, meglio godersi le gare senza calcoli dallo scarso significato sportivo.

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