Maria Vittoria Marchesini si occupa da anni di accoglienza e integrazione dal punto di vista amministrativo e progettuale.

È volontaria di OBTI, One Bridge To Idomeni, da tre anni. Nel 2018 ha partecipato con l’associazione ad un progetto di un mese a Sarajevo, e come molti è rimasta affascinata dalla città. Ora, dopo tre anni, si occupa dell’Ufficio stampa e degli eventi di OBTI.

Maria Vittoria, perché fai parte di OBTI?

«Penso che spostarsi da un paese all’altro debba essere un diritto di tutti. Tutti devono poter spostarsi in un paese diverso da quello di nascita, per poter costruirsi una vita migliore. Essere volontaria di OBTI mi permette di dare qualcosa alle persone, di essere utile e allo stesso tempo di diffondere un messaggio di tutela dei diritti di tutti».

Come spiegheresti l’associazione a chi non la conosce?

Don't forget refugees
Foto di OBTI

«OBTI è nata nel 2016 per rispondere all’emergenza dei migranti lungo la Rotta Balcanica. A seguito di accordi tra Italia e Turchia, infatti, si sono creati degli enormi ed improvvisati campi profughi lungo i Balcani. In particolare a Idomeni, in Grecia, si era creata una situazione drammatica, così alcuni ragazzi di Verona sono partiti per portare materiali.

Lo stesso è stato fatto poi a Belgrado, a Sarajevo e lungo il confine della Croazia. A Corinto abbiamo avviato un progetto più stabile. Stiamo crescendo come associazione e quindi ora riusciamo a seguire progetti anche più lunghi».

È per questo che vi siete inseriti nei corridoi umanitari?

«Esatto! Le nostre due parole guida sono “Partire” e “Tornare”. Partire per noi volontari significa andare lungo la rotta balcanica e portare aiuti concreti. Tornare vuol dire lavorare qui in Italia, nel nostro territorio, per sensibilizzare i cittadini o supportare coloro che, una volta attraversata la rotta balcanica, si sono stabiliti in questo territorio. Durante la pandemia, per esempio, abbiamo creato l’iniziativa “Una spesa sospesa”, raccogliendo e distribuendo alimentari per quelle persone che non riuscivano più ad acquistarseli da soli. È stata un’iniziativa che ha avuta una bella risposta dal territorio.»

Il progetto di accoglienza dei corridori umanitari però è molto più impegnativo. Significa seguire delle persone per un lungo periodo, aiutarle a inserirsi in un luogo per loro sconosciuto. Spesso provengono da situazioni di prolungata permanenza nei campi profughi… Insomma, c’è bisogno di molte competenze e tanta professionalità. Come siete riusciti a partire con questo progetto?

«Da soli non ce l’avremo mai fatta. Ci siamo uniti ad associazioni che stimiamo molto e che da anni seguono i corridoi umanitari. Prima fra tutte la Comunità di S.Egidio, di cui seguiamo le linee guida operative e che ci supporterà lungo tutto il periodo di accoglienza. Poi c’è Cesaim, il Centro Salute Per Immigrati, un’associazione di medici volontari che seguirà la parte sanitaria, e quindi le visite mediche delle persone in accoglienza. Con la Coop. Il Samaritano, che ha una lunga e solida esperienza nell’ambito dell’accoglienza, ci siamo confrontati a lungo su tutti gli aspetti del progetto, anche i più pratici. Poi c’è la Comunità di S. Nicolò, un gruppo di cittadini che fanno riferimento ad una parrocchia, che ci daranno sostegno economico e supporto pratico, e infine Combonifem.

Noi di OBTI seguiremo il coordinamento del progetto e la gestione pratica, tanto che per la prima volta dopo cinque anni assumeremo un operatore fisso (noi siamo tutti volontari) che si occuperà proprio della famiglia che accogliamo. Insomma, abbiamo creato una rete, una bella rete di professionisti e cittadini volenterosi con cui speriamo davvero di costruire un bel progetto!»

Volontaria OBTI a Fiumicino
Una volontaria OBTI attende l’arrivo del corridoio umanitario a Fiumicino

Nel vostro comunicato stampa annunciate di aver accolto una famiglia tramite corridoio umanitario. Il 13 luglio è arrivata a Fiumicino e siete andati a prenderla. Quindi il progetto è partito?

«Sì è vero. Siamo partiti e siamo emozionati. Non posso ancora dire molto sulla famiglia però. Prima di tutto perché è arrivata solo da pochi giorni da un campo profughi della Grecia in cui è vissuta a lungo. Ora sta vivendo il periodo di quarantena e non abbiamo avuto ancora modo di fermarci a parlare e conoscerci. Sono stanchi e provati dal viaggio e vogliamo dare loro il tempo di riprendersi.

In secondo luogo perché abbiamo deciso, come associazione, di rispettare la loro privacy. Saranno loro, con il tempo e in base a come andrà la convivenza, a come staranno, a decidere quanto raccontare, quanto dire di se stessi. Cosa condividere della loro storia, dell’esperienza nel campo profughi, del viaggio, ecc… Li lasciamo liberi di raccontarsi come e quando vorranno farlo.»

Sei ottimista su come andrà?

«Sì! In primo luogo per la rete che abbiamo costruito attorno a questo progetto, come ti dicevo prima. Poi perché partiamo dal desiderio di rispettare in pieno la loro libera autodeterminazione. Accoglierle, per noi, non significa già decidere per loro, cosa dovranno fare, ecc. Non significa nemmeno creare una situazione di assistenzialismo che finisce con il legare a tempo indeterminato le persone ai servizi. Vogliamo aiutarli a creare, poco a poco, la loro autonomia di vita. Certo, sono obiettivi alti, ma un passo alla volta accompagneremo questa famiglia per il tempo che starà con noi. Un anno, secondo il progetto».

Maria Vittoria, perché è importante secondo te il progetto dei corridoi umanitari?

«Perché, attualmente, rappresenta una delle poche vie sicure e legali che permette alle persone di spostarsi, di migrare. Non è la soluzione alle migrazioni, perché purtroppo solo pochissimi riescono ad accedervi, ma rappresenta una possibilità. Dimostra che si può migrare senza dover entrare nella rete criminale. E poi è un progetto interamente voluto e realizzato da associazioni e cittadini volontari. Anche questo è un messaggio importante».

Immagine di OBTI

In che senso?

«Ti faccio l’esempio di Verona. La mia città non è una città molto accogliente rispetto ai migranti. La gente ha paura, è diffidente e quindi chiusa. L’accoglienza diffusa non prende piede, è lasciata ai grandi centri, alle istituzioni. Che ci sia stato invece un gruppo di cittadini, di volontari, che hanno desiderato e messo in piedi un progetto di questa portata, è un messaggio che va in una direzione totalmente contraria. Dimostra che non siamo tutti chiusi o indifferenti a ciò che subiscono i migranti lungo la rotta balcanica, per esempio.

A Verona ci sono moltissime associazioni e organizzazioni che si occupano di accoglienza, di discriminazione. È un messaggio importante unirsi, unire le nostre diverse competenze e dimostrare che c’è spazio per tutti, per i migranti, per chi ha voglia di costruire una vita diversa, in un luogo sicuro».

Ma quindi non lo fate per carità…

«Assolutamente no! Noi non vogliamo “aiutare chi è in difficoltà”. Il nostro è un impegno politico. È difendere il diritto di tutti a viaggiare, a spostarsi. È difendere il diritto di ciascuno di costruirsi un futuro dove vuole. È tutelare il diritto alla libera autodeterminazione, che tutti abbiano la possibilità di coabitare in una società multiculturale, dove tutti sono rispettati e vivono a pieno i loro diritti

L’ottimismo di Maria Vittoria non è un ottimismo ingenuo.

Si fonda sulla professionalità e le competenze di tanti volontari, di una rete di collaboratori che hanno degli ideali precisi e gli strumenti per raggiungerli.

Su una comunità civile che si attiva per accogliere chi arriva come straniero, anche in una città dove l’accoglienza non così è facile ed immediata. In fondo è proprio l’immagine del corridoio umanitario: un passaggio sicuro creato da uomini e donne, per altri uomini e donne.

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