L’eredità che il mondo classico ci ha lasciato non può in alcun modo essere ridotta a un pur ricco e articolato patrimonio di conoscenze e di sensibilità culturali. Quando abbiamo concordato il titolo da dare a questa rubrica, abbiamo pensato anche a quali fattori costitutivi del nostro modo di concepire le nostre relazioni e di approcciarci alla realtà derivassero dall’espe­rienza antica. Non è difficile comprendere che l’aspetto più profondo, e quindi non sempre facilmente riconoscibile, è quello che fa parte dei nostri automatismi di pensiero, ovvero quei meccanismi profondi che regolano la nostra lingua, che come molte altre, le cosiddette lingue neolatine, altro non è che l’evoluzione del latino geograficamente situata in una certa area del territorio europeo.

E quindi: italiano (con tutte o quasi le sue varianti dialettali), provenzale, francese, spagnolo, catalano, portoghese, ladino, sardo (si intenda questa espressione come insieme di forme territoriali complesse non riducibili sempre alla definizione di dialetto), rumeno e dalmatico (tralasciando altri linguaggi minori), hanno ereditato i dispositivi sintattici e organizzativi della lingua propri del latino. Ovviamente i processi non sono stati rettilinei e gli influssi trasversali interni fra le lingue neolatine e con altri sistemi linguistici sono stati molti e tali da condizionare in qualche caso pesantemente la natura delle diverse lingue. Ma non minori sono stati anche i riflessi che le lingue neolatine hanno avuto su quelle di matrice anglo-germanica e in qualche caso anche slava.

Qui vorrei parlare di quella serie di norme che vanno sotto il nome di consecutio temporum, le quali per una certa generazione di allievi dei licei hanno rappresentato a volte un vero e proprio incubo. In realtà la metodologia che presiedeva all’insegnamento era di tipo normativo e non descrittivo, di qui l’idea profonda che un errore linguistico avesse a che fare con il peccato e che implicasse sic et simpliciter l’idea di una condanna morale oltre che scolastica. In realtà la consecutio temporum è uno straordinario costrutto interiore la cui energia profonda è alla base del nostro stesso rapporto con la possibilità di progettare il futuro.

Ma entriamo in argomento. Il sistema verbale latino si basa su due fondamentali dispositivi: quello tematico e quello morfologico-suffissale. Vale a dire che le forme verbali si formano sulla base di due temi fondamentali: il tema del perfectum che caratterizza i tempi del passato e il tema dell’infectum che caratterizza i tempi del presente. Il primo si caratterizza anche per l’idea accessoria di compiutezza e conclusione, il secondo per quella di durata e continuità.  Queste ultime caratteristiche sono riconducibili a una proprietà della lingua chiamata dai grammatici “aspetto” o “qualità dell’azione”, elemento fondamentale in greco, ma molto attenuatosi in latino, il quale ha invece valorizzato in modo strutturale e pervasivo la dimensione del rapporto temporale, tanto da farne la struttura portante della sintassi.

Orbene, fondamentale in latino è il rapporto cronologico fra le azioni descritte dalla frase complessa.

Un frase come “lodo colui che obbedisce alle leggi” si regge su due azioni “lodo” e “obbedisce”. Fra i due verbi si possono avere tre forme di relazione:

Nel presente

  • Presente verso il presente > contemporaneità: lodo colui che obbedisce alle leggi
  • Presente verso il passato >  anteriorità:  lodo colui che ha obbedito alle leggi
  • Presente verso il futuro > posteriorità: lodo colui che obbedirà alle leggi

Queste tre forme di relazione possono essere spostate al passato o al futuro senza che il rapporto cambi concettualmente, ma la responsabilità di esprimere la collocazione del tempo viene affidata in latino a forme marcate morfologicamente in modo diverso.

Nel passato

presente nel passato > lodai colui che obbediva alle leggi: contemporaneità nel passato

passato rispetto al passato > lodai colui che aveva obbedito alle leggi: anteriorità nel passato

futuro rispetto al passato > lodai colui che avrebbe obbedito alle leggi: posteriorità nel passato

Nel futuro

Presente nel futuro > Loderò colui che obbedirà alle leggi: contemporaneità nel futuro (nel senso “… che sarà obbediente alle leggi”

Passato rispetto al futuro > Loderò colui che avrà obbedito alle leggi: anteriorità nel futuro

Futuro rispetto al futuro > Loderò colui che obbedirà alle leggi: posteriorità nel futuro (nel senso “… che accetterà di obbedire alle leggi”)

(Si noti come in italiano non è sempre possibile rendere perfettamente l’idea senza introdurre negli elementi fraseologici).

Questo gioco di rapporti è possibile perché la struttura profonda del tempo verbale latino ha questa configurazione:

Ppf_______Pf__________PerifrAtt.________P________F.Ant.________F________PerifrAtt.

<IMPERFETTO>

Che va letta in questo modo:

  • Dato un punto (P) che rappresenta il Presente, è sempre possibile individuare un altro punto precedente nel tempo, che morfologicamente è rappresentato dal Perfetto (Pf) e un altro punto successivo rappresentato dal Futuro (F). 

Pf____________________P______________________F

  • Se l’azione viene collocata nel passato, e quindi già espressa al Perfetto, è pure possibile  individuare un altro punto precedente, rappresentato dal Piuccheperfetto (Ppf) e un altro nel Futuro, rispetto al passato, espresso con un tipo particolare di futuro chiamato “Perifrastica Attiva”

Ppf____________Pf___________PerifrAtt.

  • La contemporaneità nel Presente e nel Futuro è espressa dal Presente e dal Futuro, mentre la contemporaneità di un evento collocato al passato è espressa dall’Imperfetto che esprime l’azione durativa e continua nel passato e collega concettualmente il passato al presente

Pf_________________________P_________________________F

<IMPERFETTO>

  • Il Futuro è concettualmente strutturato come quel tipo di insieme che i matematici chiamano “denso”, che ha per caratteristica il fatto che tra due punti è sempre possibile trovarne uno intermedio; quindi: dato un punto F nel futuro è sempre possibile individuare un punto precedente ad esso, intermedio fra il presene e quel futuro. Questo punto è espresso dal Futuro Anteriore, che indica appunto l’anteriorità nel futuro ovvero il passato del futuro.

P_____________F.Ant._____________F

E dunque in latino abbiamo la possibilità di esprimere sempre

  • Il presente nel presente
  • Il presente nel passato
  • Il presente nel futuro
  • Il passato rispetto al presente
  • Il passato rispetto al passato
  • Il passato nel futuro
  • Il futuro rispetto al presente
  • Il futuro rispetto al passato
  • Il futuro rispetto al futuro.

Ora non è qui la sede per fare una lezione di latino, che risulterebbe anche un po’ troppo complessa. Ciò che invece era mio desiderio spiegare è il fatto che la tessitura logica della nostra strutturazione interiore del tempo è di fatto un elemento proprio della nostra lingua, che ha ereditato in pieno la configurazione latina. Questo è un elemento di incredibile potenza nel nostro immaginario, perché lo stesso concetto di storia passa attraverso la possibilità di disegnare linguisticamente narrazioni che prospettano paesaggi concettuali collocati nel passato come se fossero vivi e presenti.

Non solo. La stessa possibilità di progettare e di vedere nel futuro, nasce da questo profondo e fondamentale senso della diacronia, ovvero della linea che passa attraverso i tempi, dalla quale deriva il concetto di superamento del presente e di sviluppo verso nuovi assetti relazionali, culturali e tecnologici.

Le nostre narrazioni, dunque sono configurazioni interiori che non sono reali, ma verosimili e possibili, quindi sempre e solo virtuali. In tal senso sono sganciate dalla pura concreta e materiale “referenzialità”, ovvero l’aderenza piena alla realtà presente dei fatti.

Presente passato e futuro sono nella nostra mente e agiscono come dispositivi fondamentali per darci il senso delle cose che facciamo, costituiscono l’asse sul quale si svolge la nostra interiorità.

La lingua che parliamo è il principale strumento del nostro rapporto fra di noi (intersoggettivo relazionale), con noi stessi (intrasoggettivo) e con le cose del mondo (intersoggettivo referenziale). Non è quindi sbagliato capovolgere la prospettiva: non siamo noi che parliamo la nostra lingua, ma è la nostra lingua che ci mostra e rende comprensibile il mondo in cui viviamo: possiamo dire quindi che noi siamo “parlati dalla nostra lingua”.

In tale prospettiva l’eredità classica è qualcosa di più che una semplice e noiosa norma gram­maticale, ma la lente stessa attraverso la quale possiamo guardare, comprendere e comunicare il mondo.

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