In Italia i seggi elettorali sono 61.562 e, di questi, più o meno l’88 per cento si trova all’interno delle scuole. In particolare, sono edifici scolastici circa il 75 per cento dei fabbricati che ospitano una o più sezioni. Una tendenza radicata e tutta italiana su cui, dopo anni di discussioni, il Ministero dell’Interno chiede un cambio di rotta.

Nel 2020 è tornata d’attualità la proposta di individuare una diversa dislocazione dei seggi, con il ministro Lamorgese che aveva chiesto ai comuni italiani di trovare soluzioni alternative in vista dell’election day del 20 e 21 settembre scorsi. Su tutto il territorio nazionale l’invito era stato raccolto da 465 comuni, per un totale di 1.453 sezioni spostate al di fuori degli edifici scolastici. Tradotto: il 2 per cento del totale.

Il pressing del Viminale contro la prassi di utilizzare i plessi scolastici per le operazioni di voto, già superata da decenni in molti altri Paesi europei, affonda le radici nel fatto che, in conseguenza a questa scelta, le scuole sono costrette a rinunciare alla continuità didattica.
Svuotare le aule, spostare i banchi, riconsegnare il materiale didattico agli alunni, sanificare i locali e, soprattutto, lasciare a casa gli studenti: è il film di un disagio che si ripete ciclicamente a ogni consultazione elettorale e che lo scorso autunno, in piena emergenza COVID-19, era stato avvertito ancor di più da docenti e famiglie. In un anno scolastico iniziato da pochi giorni e costellato da mille difficoltà, le scuole avevano dovuto rinunciare a preziosi giorni di didattica in presenza per fare spazio a urne, scrutatori ed elettori. Col paradosso che, per consentire il diritto fondamentale di voto, puntualmente si sacrifica l’esercizio di un altro diritto fondamentale, quello all’istruzione.

Con una circolare del 2 ottobre 2020, il Viminale ha chiesto ai sindaci di attivarsi per una ricognizione del patrimonio immobiliare pubblico da destinare ai seggi in alternativa alle scuole e – per dare un ulteriore sprint a questa attività in vista delle elezioni del 2021 – ha costituito un gruppo di lavoro composto da rappresentanti del Ministero dell’Istruzione, dell’Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) e dell’Unione delle Province d’Italia. Gruppo di lavoro che, a febbraio, ha stilato i criteri da considerare nell’individuazione di strutture extrascolastiche idonee a ospitare i seggi. Questo perché, in base a quanto prevede la normativa elettorale, i locali in cui si vota devono possedere determinate caratteristiche strutturali e logistiche che possano garantire la sicurezza degli elettori, un loro facile accesso e deflusso, la segretezza del voto e la vigilanza da parte delle Forze dell’ordine.
Nel documento finale vengono indicati alcuni esempi di locali che, se in possesso dei requisiti, potrebbero essere utili alla causa: uffici comunali e sale consiliari, biblioteche e sale di lettura, palestre e impianti sportivi, centri polifunzionali, circoli ricreativi e sportivi, spazi espositivi e fieristici, ambulatori e altre strutture destinate in precedenza ad un uso sanitario.

Il Ministero ha chiesto ai prefetti di sensibilizzare i sindaci affinché mettano al più presto in cantiere una revisione delle sezioni elettorali. Una spinta ulteriore – e più concreta – è arrivata infine dal Decreto Sostegni, che ha previsto l’istituzione di un fondo di due milioni di euro a favore dei comuni che, entro il prossimo 15 luglio, individuino soluzioni alternative in vista dell’appuntamento con le urne del prossimo autunno. Stato e autonomie locali hanno raggiunto un’intesa sulle modalità di concessione dei contributi, con l’applicazione di due parametri: il primo sarà dato dal numero di sezioni trasferite in una sede extrascolastica, mentre il secondo è relativo al numero complessivo degli studenti che, a seguito del trasferimento dei seggi, non si vedranno sospese le lezioni. Ora manca solo il decreto del Ministero dell’Interno che ufficializzi questi criteri.

A che punto è la provincia di Verona su questo fronte?
Le ricognizioni effettuate dal Ministero nel 2020 dicono che, in risposta all’invito del Viminale, nel territorio scaligero solo undici comuni si erano mossi, per un totale di ventinove sezioni elettorali interessate: Badia Calavena, Bosco Chiesanuova, Castel d’Azzano, Concamarise, Erbezzo, Gazzo Veronese, Ronco all’Adige, Roveredo di Guà, Sant’Anna d’Alfaedo, San Zeno di Montagna e Vigasio. Non pervenuta la città di Verona. Troppo poco, se pensiamo che i comuni della provincia sono novantotto.

L’operazione di spostamento dei seggi, specie nei paesi più grandi, si preannuncia complicata. Ma non impossibile, se pianificata per tempo. Per questo, è essenziale che le amministrazioni del territorio raccolgano la sfida e si facciano trovare pronte per le prossime tornate elettorali, attivando da subito uno studio di fattibilità finalizzato al censimento dei fabbricati pubblici idonei.

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