Morto Lorenzo Bozano, il “biondino della spider rossa”
Fu condannato all'ergastolo per la sparizione e la morte di Milena Sutter, a Genova nel maggio 1971. Si è sempre professato innocente.
Fu condannato all'ergastolo per la sparizione e la morte di Milena Sutter, a Genova nel maggio 1971. Si è sempre professato innocente.
Lorenzo Bozano è scomparso il 30 giugno 2021, all’improvviso. Era nato a Genova, nell’ottobre del 1945. Era passato alla Storia giudiziaria d’Italia come “il biondino della spider rossa”: come il rapitore e assassino di Milena Sutter, 13 anni, a Genova, il 6 maggio 1971, all’uscita della Scuola Svizzera.
Inutile dire che non era biondo, né magrolino. E che c’era solo una spider assai malandata a coincidere con la narrazione di un caso di cronaca nera ancora tutto da decifrare.
Bozano se n’è andato via a causa di un malore, nell’Isola d’Elba che era diventata la sua casa e il suo rifugio. E in quel mare che amava, pur avendo sempre nel cuore Genova.
Dall’ottobre 2020 era in libertà condizionale, dopo oltre 43 anni di carcere. Faceva da anni volontariato all’Associazione Dialogo di Portoferraio (Livorno, Isola d’Elba) dov’era benvoluto e dove aveva messo radici.
Qui voglio raccontarvi un po’ della “persona Lorenzo” che ho conosciuto, nel 2010, grazie alla tesi di laurea che mi chiese una mia brava studentessa, all’Università degli Studi di Verona.
Lorenzo Bozano l’ho sentito al telefono poche ore prima della scomparsa.
Ci sentivamo spesso, dato che oltre la vicenda di Milena Sutter in cui è stato coinvolto, era una persona di fine cultura e conoscenza. Lo volevo coinvolgere in un progetto editoriale, data la sua precisione, passione e competenza con i libri.
Lorenzo sapeva che non sono mai stato un innocentista, sul suo coinvolgimento nel dramma di Milena Sutter.
Un giorno, anni fa, a pranzo a Genova, al ristorante Vegia Zena dove ogni tanto ci trovavamo a mangiare, Bozano mi chiese: “Hai speso anni di studi e soldi per il caso di Milena Sutter e per la vicenda che mi riguarda. Non mi hai mai detto se mi ritieni colpevole o innocente”.
Gli risposi subito con una battuta: “Quando mi dirai cosa hai fatto davvero quel pomeriggio del 6 maggio 1971, allora potrò credere alla tua innocenza. Per adesso, faccio quello che fa uno studioso: non prendo posizione, perché non è mio costume tifare questa o quella tesi”.
Poi gli spiegai come la pensavo: “Il dolore della famiglia Sutter, dal padre al fratello alla madre di Milena, è stato immenso. E lo sai. So cosa vuol dire perdere una figlia, per cui il rispetto va innanzi tutto a loro”.
Mi ascoltò con attenzione. Senza abbassare lo sguardo. “Non ho mai conosciuto Milena Sutter”, ribatté Lorenzo Bozano, misurato e garbato nei modi, com’era suo stile. Non è mai voluto essere un “prigioniero”, un detenuto. Dal suo eloquio, dal lessico e dai gesti si capiva che proveniva da una famiglia alto-borghese.
Poi Bozano proseguì: “Ho avuto comportamenti di cui mi pento, al processo di primo grado, nel 1973. Ho mancato di rispetto ai signori Sutter con una frase di cui mi vergogno. La mia vita di allora, prima del processo, è stata una vita sprecata e prendo le distanze da quel giovane che ero. Ma con il processo, l’assoluzione, il matrimonio… tutto è cambiato. E oggi l’uomo che sono è diverso dal giovane detestabili che fui”.
Gli contestai la fuga dopo la condanna al processo d’appello. Gli contestai la stupida bugia del dire che non si era mai fermato in via Peschiera, vicino alla Scuola Svizzera. Proprio con me, d’altro canto, aveva ammesso nell’ottobre del 2010 – per la prima volta – che davanti alla Scuola Svizzera si era fermato tante volte. “Volevo attrarre qualche ragazza, grazie alla spider”, mi disse.
Confermò così una sua caratteristica: l’essere un riflessivo, un temporeggiatore, uno che ci pensava mille volte prima di intraprendere qualcosa. Fu a quel punto che per la prima volta gli dissi, a voce alta, quello che pensavo: “Lorenzo, tu sei il Perfetto Colpevole”. Ma fu anche lì che aggiunsi: “Non so se tu sia davvero colpevole o innocente. Non sono nessuno, io, per giudicare. Non ho il diritto di farlo, né come persona, né come giornalista, né come studioso”.
Lorenzo sorseggiò un goccio del vino bianco ligure, un Pigato, che avevo ordinato. Fece un sospiro di sollievo. Sapeva che tenevo a due cose, dopo tanto lavoro sul caso del cosiddetto “biondino della spider rossa”: il rispetto verso la vittima, Milena, che meritava la verità; e il rispetto verso di lui, Lorenzo, come persona.
Dovetti spiazzarlo quando poi gli dissi: “Non sarò mai un combattente innocentista, perché è una battaglia che non condivido; e non ti aiuterebbe”. Poi aggiunsi: “Una cosa è certa, però. Anzi tre: non hai avuto un giusto processo; la condanna che hai subìto è sproporzionata; ed è una vergogna che giornalisti, magistrati e avvocati ti abbiamo trattato come un mostro, anziché come una persona”.
Fra Lorenzo Bozano e me vi è stata una lunga corrispondenza, negli anni del carcere. Dal 2010 alla semilibertà, nel febbraio del 2019, ci siamo scambiati decine e decine di lettere. Occupano una spanna di carta, nella mia libreria di casa, a Verona. Abbiamo discusso a fondo il suo caso, i suoi sentimenti. Il rapporto che aveva con il padre, Paolo Bozano, suo grande accusatore.
Non ho mai sentito da Lorenzo Bozano parole di rabbia, di rimprovero, di condanna verso il padre, verso cui nutriva amore nonostante tutto; verso gli inquirenti che l’avevano trattato come un mostro; verso i giornalisti che l’avevano dipinto come gelido, distaccato, senza sentimenti, quasi un sub-umano; verso gli avvocati di Parte Civile e verso talune forze incrociate che, tirandolo in ballo, avevano dato all’opinione pubblica ciò che voleva: “il Perfetto Colpevole”.
Nel 2010, a Genova, Gustavo Gamalero, avvocato della famiglia Sutter, mentre passeggiavamo in centro a Genova, in via Balbi, mi disse: “Se Bozano confessava, con la seminfermità mentale prendeva 23 anni e dopo 14 anni era fuori”. Al che ribattei: “Scusi, avvocato Gamalero: per lo stesso reato e lo stesso dolore della famiglia Sutter, confessare voleva dire cavarsela con poco? E invece professarsi innocente voleva dire meritare l’ergastolo?”.
Forse proprio per quella frase dell’avvocato dei Sutter decisi di studiare a fondo un caso giudiziario su cui ho fatto scrivere almeno 25 tesi di laurea magistrale, all’Università degli Studi di Verona. E per quella frase volli capire a cosa credevano i colpevolisti; e quale fosse la verità medico-legale, scientifica, sulle cause e l’ora della morte di Milena Sutter.
I colpevolisti credevano al delitto a sfondo sessuale, che presupponeva una conoscenza – forse addirittura una relazione – fra Lorenzo Bozano e Milena Sutter. Peccato che i due non si conoscessero. L’amica del cuore di Milena, Isabelle, 15 anni nel 1971 e mai chiamata a testimoniare ai processi contro Bozano, anche con me è stata decisa e lapidaria: “Lorenzo Bozano? Mai conosciuto. Milena non sarebbe mai salita sulla sua spider”.
Quanto alla Medicina Legale, i sei medici legali che – a titolo gratuito – mi hanno fornito il loro parere sulla perizia dei professori Franchini e Chiozza, due giganti della Medicina Legale nel 1971, sono stati concordi: la perizia medico-legale sull’ora e le cause della morte di Milena Sutter non è scientifica. La ragazzina genovese non è stata uccisa; e le cause della morte sono tutte da stabilire.
A Lorenzo Bozano è sempre piaciuto scrivere. Scriveva per fissare i pensieri, le fantasie, le idee. Ed è sempre stato pronto a rispondere alle domande dei giornalisti, in passato. Gli hanno anche fatto dire cose che non ha mai detto; lo hanno sovraesposto, giusto per un briciolo di attenzione dai lettori. Sono stato testimone di “falsi in atto giornalistico”; e di versioni di comodo costruite a tavolino da colleghi giornalisti e giornaliste.
Fu forse per quello che nel 2017 lo sottoposi a un “interrogatorio” di tre ore, con tre videocamere. Gli chiesi tutto quello che potevo chiedergli. Quel video, realizzato per motivi di studio, lo sottoposi al professor Enzo Kermol, esperto di analisi del volto e dei segni della menzogna. La risposta di Kermol fu netta: “Bozano non mente quando dice di non aver mai conosciuto Milena Sutter”.
Sottoposi una copia del “piano di rapimento”, scritto da Bozano e sequestrato nel maggio 1971 nella sua stanza presa in affitto durante le indagini sulla sparizione di Milena Sutter, alla Scuola Grafologica Morettiana, che tiene i corsi a Verona. Pur con i limiti di una riproduzione fotostatica, le esperte grafologhe mi dissero che il “piano di rapimento” – affondare, seppellire, murare i tre verbi inquietanti che Lorenzo Bozano scrisse – era stato composto sotto l’effetto dell’alcol.
Bozano sarebbe stato, quindi, un rapitore ubriaco. Strano modo di organizzare un rapimento. Il parere delle grafologhe confermano quanto il cosiddetto “biondino della spider rossa” aveva sempre detto: di aver scritto un piano di rapimento, come ipotesi fantasiosa, dopo il sequestro a Genova di Sergio Gadolla da parte della banda XX Ottobre. E di averlo fatto dopo una nottata di chiacchiere e bevute.
La criminologa Laura Baccaro sottopose Lorenzo Bozano a una perizia psico-criminologica. Ne parla diffusamente nel libro, che abbiamo scritto assieme, Il Biondino della Spider Rossa. Crimine, giustizia e media. A Bozano l’analisi della professoressa Baccaro non piacque. Credo che non gli andasse a genio il giudizio, palese, che Lorenzo Bozano non sarebbe mai stato in grado di progettare. condurre e portare a termine progetti complessi. Gli doveva suonare come il giudizio che era un soggetto inconcludente.
Il rapimento e l’omicidio di Milena Sutter erano stati compiti complessi, come la telefonata del presunto rapitore, che ho sempre considerato un depistaggio. “Non ti rendi conto che giudicarti incapace di compiti complessi vuol dire che la criminologa Laura Baccaro ti considera di fatto innocente?”, chiesi a Lorenzo Bozano. Lui scosse la testa, perché era fatto così: un testardo, a costo di darsi la zappa sui piedi.
Di Lorenzo Bozano, su cui c’è ancora molto da scrivere, voglio ricordare il grande rispetto con cui mi parlava della famiglia Sutter. Era così temerario da poter pensare di incontrare addirittura Aldo Sutter: “Credo che anche il fratello di Milena voglia la verità, come la voglio io”, mi disse. “Non mi pare il caso, Lorenzo”, lo gelai.
Mi confidò, anni fa. che aveva scritto all’amica di Milena Sutter, Isabelle. Due lettere. Si era messo a rileggere un vecchio romanzo di Honorè de Balzac, per rinfrescare il suo francese. So che sognava di poterla incontrare. Di parlarle. Di capire, con l’aiuto di Isabelle, cosa era accaduto a Milena Sutter.
Un giorno del 2011, Fra’ Beppe Prioli, frate cappuccino di Verona che da decenni segue i detenuti, mi disse che il bandito Cavallero era stato un suo maestro di vita. Pensai, ascoltando le parole del frate, che fosse ammattito. La stessa cosa mi accadde quando sentii parlare chi si oppone all’ergastolo. O chi pensa che, in alcune situazioni, occorra andare oltre il carcere. Oggi posso dire che Fra’ Beppe non era ammattito; che sono contro l’ergastolo; e che sul carcere c’è molto da discutere.
Oggi, dopo quasi undici anni di conoscenza profonda di Bozano, ma senza giudicare, posso ben dire che ho conosciuto la “Persona Lorenzo”. E che non ho visto in lui, mai, il “mostro”. Alla fine di quel pranzo, a Genova, gli dissi una frase che gli ripetei al telefono giusto qualche giorno fa: “Non so se sia un peso insopportabile o una fortuna che tocca a pochi. Tu Lorenzo sai se nel caso di Milena Sutter c’è un’altra verità. Perché se tu non sei coinvolto, vuol dire che è accaduto altro”. Giorni fa, come allora a Genova, Lorenzo Bozano stette in silenzio.
Lorenzo Bozano – scomparendo all’improvviso nel mare e nell’Isola d’Elba dove in molti l’hanno accolto, stimato e amato malgrado l’ergastolo – ha portato con sé la verità sul suo essere colpevole o innocente del (presunto) rapimento e (presunto) sequestro di Milena Sutter. Un dato è certo: su quella verità c’è ancora molto da riflettere e da studiare.