Oltre la finestra, dal quindicesimo piano, Downtown assomiglia ad un gioco di specchi illuminati dalla carezza mattutina del sole sudafricano. Un angolo di mondo in cui le immagini si rincorrono fino a perdersi nel cielo, per poi tornare giù, tra noi, a capofitto.

Manca poco all’inverno, ormai, e dietro lo scherzo di una giornata tiepida appare un presagio: forse, nessuno ne è certo, per un gioco di alchimie globali, a breve si tornerà a camminare respirando a pieni polmoni l’aria vitale.

L’inverno, quello che appariva eterno, indifferente alle stagioni, quello durato un anno e mezzo, si ritira con passo felpato, una iena che, con rancore, si volge a guardarci.

Esce di scena con cadenza sincopata, la fiera, e cede il testimone alla stagione reale, millenaria, densa dei sapori e dei colori più veri dell’anno. Nonostante tutto, nonostante la profonda paura, questa terra ha mantenuto una voce autentica, la propria, senza flettersi.

Quasi la Montagna e l’Oceano, nei mesi appena trascorsi, parlassero per le persone, elevando un canto di attesa, di cammino lento e costante di fronte a un orizzonte incerto. Il canto di una terra che non ha mai smesso di vocalizzare i propri sentimenti e di  rivolgerli alle pianure, alle coste, alle piane desertiche.

Questi canti risalgono pendii e si impastano di terra, scompaiono tra gli arbusti e ritornano a noi carichi di tutto ciò che, ogni giorno, circonda le nostre vite. Per questo, nonostante tutto, ci appaiono come l’eco credibile di forze naturali che sanno attendere, che non si piegano di fronte al tempo oscuro.

Il paesaggio, naturale e umano, è un tutt’uno che ci viene incontro e, per questo, un unico canto che si eleva sopra ogni cosa, sopra la notizia e il conteggio, sopra l’ennesimo, ultimo servizio televisivo serale.

Oltre la finestra di questo grattacielo sfacciato, incapace di superare – con il suo acciaio, il vetro e le putrelle – la forza straniante di questi luoghi, la città sembra riacquistare le vibrazioni della metropoli sdraiata ai piedi della Montagna Madre. L’inverno, quello vero, punteggiato di decine di fioriture e sapori, di brume mattutine che vanno a dissolversi con la nascita del sole, è il benvenuto. Ne attendiamo la forza ancestrale, il respiro denso, la forza implacabile con cui fissa ogni colore e ogni parola rendendoli ancor più nostri. Ne celebriamo, ciascuno con la propria voce, il vittorioso ritorno.

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