KFC in centro a Verona: lo “specchio” del nostro futuro
L'ennesima "querelle" nel centro storico di Verona ci porta a riflettere - ancora una volta - su quello che è il ruolo di un'amministrazione comunale e il futuro della nostra città.
L'ennesima "querelle" nel centro storico di Verona ci porta a riflettere - ancora una volta - su quello che è il ruolo di un'amministrazione comunale e il futuro della nostra città.
L’ennesima querelle veronese di questo periodo nasce, tanto per cambiare, nel centro storico della città e ci riporta ancora una volta sul tema di fondo che spesso abbiamo affrontato su queste colonne: e cioè quale dovrebbe o non dovrebbe essere il ruolo di un’amministrazione e quanto può e deve incidere sulle scelte che riguardano la vita culturale, economica, sociale dei suoi abitanti?
La domanda è ovviamente provocatoria e la risposta risulta lapalissiana. Perché d’altronde quello che ci si aspetta da una Giunta comunale è che prenda delle scelte sempre nell’esclusivo interesse della comunità che rappresenta, bilanciando pro e contro di ogni situazione e optando per quella migliore.
L’oggetto del contendere è la notizia di una probabile prossima apertura di un fast food della catena Kentucky Fried Chicken (meglio nota come “KFC”) che sbarcherà a breve, pare, nella centralissima e bellissima piazza Erbe.
La notizia è stata accolta da molte persone, fra cui anche alcuni consiglieri comunali, come un oltraggio alla bellezza della piazza stessa e alla memoria di Berto Barbarani, presso la cui statua in bronzo dovrebbe sorgere il nuovo punto vendita. Tanto che, nottetempo, qualcuno ha voluto appendere un cartello proprio sulle spalle del celebre poeta per fargli dire la “sua” sulla questione, cartello poi prontamente rimosso.
È da tempo immemore ormai (ben prima dell’avvento dell’attuale amministrazione, a dirla tutta) che il centro storico è diventato una sorta di replica, per non dire addirittura un surrogato, di un qualsiasi centro commerciale, tanto che ormai passeggiare per la splendida via Mazzini o per gli affollati corridoi dell’Adigeo, tanto simili, è diventata un’esperienza al limite del “trova le differenze”. Per i marchi presenti, per la stessa disposizione dei punti vendita, uno accanto all’altro, e via dicendo.
Ovvio che l’apertura del KFC a due passi dalla Torre dei Lamberti e da Porta Leoni non fa che aumentare questo senso di smarrimento che il cittadino veronese, attaccato alle bellezze della sua città, prova ormai da tempo.
Non siamo certo degli ingenui: “è il mercato, bellezza!”, direbbe qualcuno, parafrasando la celebre battuta pronunciata al telefono da Humphrey Bogart (nella foto) nel bel film “L’ultima minaccia!”.
Già, il mercato. Mercato e quindi, per essere più chiari, i soldi. Chi più ne ha più ha potere di decidere cosa fare.
È vero che, da che mondo è mondo, gli schei hanno sempre regolato le attività umane, ma è altrettanto ovvio che si possano anche fare scelte di altro tipo. Che in realtà guardino anche al soldo, ma in un’ottica più lungimirante.
Scelte che premino la qualità e allo stesso tempo la vivibilità di un centro storico, che oggi appare sempre più in formato Gardaland. Scelte come quella di agevolare un certo tipo di attività legate alla storia e alla tradizione di un territorio o quella di ostacolare, in tutti i modi legali, quelle che poco c’entrano con la storia e la cultura del medesimo.
A suo tempo, lo ricorderete, ci si era preoccupati delle norme che limitano i “kebabbari” o in generale i cosiddetti “ristoranti etnici”. Come se il problema fosse davvero solo quello. E infatti di norme che regolano l’accesso e la presenza dei fast food internazionali a Verona, al contrario, non ne sono mai state prese in considerazione.
Insomma, non si auspica qui un ritorno al passato, non sia mai, ma una sana protezione di quello che ci piace soprattutto vedere mentre passeggiamo all’interno dell’ansa dell’Adige: le botteghe storiche, le osterie tradizionali e i negozietti di artigianato locale. Insomma, il tessuto economico e culturale di una comunità che si è tramandato per decenni di generazione in generazione e che, al contrario, ora sta diventando preda di investitori stranieri che arrivano, chiedono permesso (a volte) e si fanno largo a spallate in città.
Una città che, pandemia a parte, vive (o meglio, dovrebbe vivere) sempre di arte e cultura, che ha flussi turistici paragonabili a quelli delle più belle città del mondo e che potrebbe e dovrebbe essere più oculata, proprio per la grande importanza che riveste, nella gestione del suo immenso patrimonio.
Insomma, se non fosse chiaro la questione non riguarda l’apertura del KFC tout court, ma è un problema ben più ampio, che riguarda tutto il “concept Verona”.
La destinazione turistica di Verona, in mancanza di iniziative mirate, sta procedendo inesorabilmente sul piano inclinato che porterà la nostra città alla stessa e identica situazione che oggi vive Firenze.
La cosiddetta lunaparkizzazione del centro storico di Verona è in atto da tempo e ad alcuni appare un processo inarrestabile. Non nel senso che lo sia veramente, ma nel senso che nessuna amministrazione scaligera, presente e passata, ha trovato fino a qui la ricetta per arrestarla. Ammesso che si voglia farlo per davvero.
E di questo passo a Verona ci sono tutti i presupposti perché si verifichino nel tempo gli stessi processi verificatesi nella splendida Firenze, che di fatto oggi non è più abitata dai suoi cittadini. Stiamo parlando di un centro storico, quello del capoluogo toscano, che è per molti aspetti omogeneo a quello veronese e dove ormai nessuno è più disposto a vivere. Perché assaltato dai turisti in qualsiasi giorno dell’anno e perché ormai caratterizzato da costi proibitivi e da una qualità della vita inferiore rispetto alle altre zone della città. Un paradosso sotto tanti punti di vista. Ci sono insomma alcune zone di Firenze che sono letteralmente a “residenza 0”, con palazzi sfitti o adibiti esclusivamente ai b&b per turisti. Ecco, per intenderci anche a Verona, se vogliamo un centro storico dedicato esclusivamente alla ricettività turistica e a quella che se la gioca a basso prezzo, cheap e “ciabattona”, siamo indiscutibilmente sulla buona strada.
Proprio osservando quello che è successo a Firenze saremmo – forse – ancora in tempo per correre ai ripari.
Per prendere in mano con decisione le scelte della città, per riqualificare l’offerta culturale che – avendo peraltro dei contenitori unici al mondo a cominciare dall’Arena e dal Teatro Romano (ma non solo loro) – non possono ridursi a un concerto di Emma Marrone o allo spettacolo di Pio e Amedeo, ma devono portare qui la crème della crème della musica internazionale, come peraltro avvenuto fino a non troppi anni fa.
Certo, va detto che al contrario dei predecessori l’amministrazione Sboarina ha dovuto fronteggiare, come il resto delle amministrazioni di tutto il mondo, una crisi sanitaria ed economica senza eguali e questo ha di fatto bloccato o ritardato molte delle scelte che si potevano compiere in questo periodo. Non sapremo mai come sarebbe stato il presente e l’immediato futuro della città senza il Covid-19, anche se le avvisaglie nei primi due anni e mezzo di mandato c’erano già abbondantemente state.
Visto, però, che ora stiamo finalmente cominciando ad uscire da quest’impasse, è giusto dire anche che è tornato (ammesso che si sia mai veramente allontanato) anche il tempo delle scelte. Scelte forti, scelte chiare.
Perché se si lascia costantemente che le cose accadano e invece che gestirle si subiscono passivamente accettando che arrivi chiunque abbia i soldi per impiantare un’attività o per affittare banalmente per una o per dieci serate la nostra amata Arena, si finisce per non dirigere veramente la città, ma per fare i meri burocrati e passacarte. E poco altro.
Per invertire il processo bisogna al contrario creare un circolo virtuoso che non porti soltanto un albergo a cinque stelle nel centro storico di Verona – come già prevede il famigerato Piano Folin -, ma che consenta veramente di ripartire. Ripartire dalle basi. Creare una “destinazione” di lusso a tutti i livelli, incentivando attività culturali di rilievo, mostre (magari sull’esempio della splendida Casa Museo Carlon, visto che le collezioni in città non mancano), concerti di qualità, iniziative che provengono dal basso (come il nostro neonato Festival del Giornalismo di Verona, ma è solo un esempio per raccontare del fermento cittadino, ricco di iniziative spesso isolate fra loro e che dovrebbero invece avere un “cappello” comune… anzi, “comunale”) che potrebbero avere bisogno di un sostegno delle istituzioni e via dicendo.
Ma per far tutto questo c’è bisogno di un’idea di fondo e di un progetto generale conseguente. Le singole scelte, poi, arriverebbero di conseguenza. La sensazione che si ha, al contrario, in mancanza peraltro di una vera e propria dichiarazione d’intenti, è che si sia sempre un po’ troppo in balia degli eventi esterni e di chi in particolare da fuori vuole mettere le mani sulle nostre bellezze e ha la potenza economica per farlo. Insomma, il centro storico di Verona è diventato una terra di conquista.
Un tempo si diceva “Francia o Spagna purché se magna”. Ma è proprio così che vogliamo vedere il futuro della nostra Verona?
Foto di copertina di Osvaldo Arpaia
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