Colombia: e adesso?
Gli scontri che si sono registrati in Colombia negli ultimi giorni sono il frutto di una crisi economica che si è acuita nel paese sudamericano con la pandemia. Le riforme di Duque hanno fatto il resto.
Gli scontri che si sono registrati in Colombia negli ultimi giorni sono il frutto di una crisi economica che si è acuita nel paese sudamericano con la pandemia. Le riforme di Duque hanno fatto il resto.
La Colombia sta attraversando nelle ultime settimane una tragica situazione di proteste e violenze, iniziate a fine aprile per contestare la riforma fiscale proposta dal presidente Iván Duque. Una riforma fiscale che il governo ha varato perché durante l’anno di pandemia non ha potuto raccogliere il consueto gettito fiscale, lasciando le casse statali a “languire”. Dei 158 miliardi di pesos previsti in realtà ne sono entrati soltanto 128. E di questi oltre 44 miliardi di pesos sono stati investiti dal governo per cercare di sistemare in qualche modo i problemi sanitari, sociali ed economici causati dalla pandemia. Un bagno di sangue che ha affossato letteralmente l’economia del Paese, fino a pochi anni fa modello per tutto il continente sudamericano e ora invece alle prese con una grave crisi economica che lo allinea, di fatto, alle altre nazioni limitrofe.
Per tentare di risollevare le sorti, quindi, Duque ha pensato di proporre un provvedimento – chiamato ironicamente “Riforma sociale, solidale e sostenibile” – che però va a colpire quasi esclusivamente la classe media del Paese, i liberi professionisti e le piccole aziende con un aumento delle tasse per tutti coloro che guadagnano più di 2,6 milioni di pesos, il corrispondente di 550 euro al mese. Il Governo di Duque ha inoltre previsto anche l’aumento dell’IVA su beni di prima necessità che non erano mai stati tassati prima, come il caffè, le uova, la farina, etc. E questo dopo le ripetute e rassicuranti promesse dello stesso presidente di non aumentare per nessuna ragione al mondo l’IVA sul cibo di base. L’economia “familiare”, già pesantemente colpita in precedenza, grazie a questa riforma potrebbe perdere ulteriore potere d’acquisto, poiché la base dei prodotti che pagano l’IVA si espanderebbe e l’aliquota del 5% con cui sono tassati molti beni salirebbe addirittura al 19%. In parallelo, però, si è scoperto anche che il provvedimento non avrebbe toccato le bibite gassate e quindi le grandi multinazionali straniere, come ad esempio la Coca-Cola, che ha diversi stabilimenti nel Paese. Per i colombiani quella è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, dopo che già una serie di riforme negli ultimi anni sulla privatizzazione del sistema sanitario stavano facendo soffrire gli strati più bassi della popolazione.
Lo Stato sperava di raccogliere almeno 25 miliardi di pesos, che sarebbero stati utilizzati per pagare l’aumento del debito del Paese e finanziare programmi di sostegno economico. In poche parole il governo ha cercato di prelevare più soldi possibili dalle tasche dei colombiani per pagare i debiti, finanziare nuovi progetti, mantenere il grado di fiducia straniera e preservare in quel modo gli investimenti.
Non aveva però fatto i conti con la rabbia popolare. Questa è stata la scintilla che ha fatto esplodere le proteste in tutto il Paese. Si è iniziato il 28 aprile, con un “velaton” (fiaccolata) per le strade delle principali città. Le proteste sono poi proseguite anche il 29 e il 30 aprile, quando finalmente la proposta è stata “sospesa” e il Ministro delle Finanze ha deciso clamorosamente di dimettersi. Ma non è bastato. Già perché per le strade, nel frattempo, anche a causa di alcuni atti vandalici che purtroppo vengono perpetrati in queste situazioni (anche se la stragrande maggioranza dei colombiani ha manifestato pacificamente e nel rispetto delle regole), si è scatenata una guerriglia violentissima fra le forze di polizia e paramilitari e gli stessi manifestanti, in gran parte studenti, esasperati dal comportamento di chi avrebbe dovuto garantire la loro sicurezza e invece non ha trovato di meglio che colpirli con gas lacrimogeni e addirittura armi da fuoco. Sebbene i dati non siano definitivi, le manifestazioni in Colombia, che ormai durano da due settimane mostrano un triste bilancio di decine di persone uccise, quasi duemila casi di violenza della polizia e un migliaio di arresti arbitrari e stupri, secondo i dati forniti dall’ONG Temblor, piattaforma nata per denunciare le violazioni dei diritti umani.
Inizialmente, il popolo colombiano chiedeva al Congresso di non approvare la riforma fiscale del governo e di concentrarsi sul salario minimo. Il livello di indebitamento nel 2020 ha superato il 64,3%, il più alto degli ultimi nove anni, con il deficit fiscale addirittura più alto degli ultimi 70 anni. Il 42,5% della popolazione vive sotto la soglia della povertà. Più della metà del Paese, il 67%, guadagna meno di 632 mila pesos al mese, il corrispondete di circa 140 euro. La stragrande maggioranza della popolazione vive, di fatto, alla giornata. Lavora fondamentalmente solo per sopravvivere e pagarsi qualcosa da mangiare. Sia chiaro: esiste da sempre una situazione di disparità molto grande in Colombia, ma con l’arrivo del Covid c’è chi è passato dal mangiare tre volte al giorno a due e poi, nella migliore delle ipotesi, a una volta. Una situazione disperata per moltissime famiglie che hanno visto progressivamente e inesorabilmente il loro status sociale ed economico svanire nel nulla.
Le proteste, però, sono proseguite anche e soprattutto contro la stessa violenza dei corpi speciali che hanno fatto piombare il Paese in un vero e proprio clima di terrore. Oggi i manifestanti chiedono, fra le altre cose, una riforma che includa lo scioglimento della ESMAD (Mobile Anti-Riot Squad, le squadre antisommossa), accusata senza mezzi termini di repressione. I cittadini stranieri si sono riversati nelle ambasciate di riferimento per chiedere l’immediato rimpatrio, perché la situazione è tesissima e può degenerare nuovamente da un momento all’altro. C’è un clima da vera e propria guerra civile che si respira nelle strade di Bogotà, Medellin, Calì, Barranquilla, Cartagena e via dicendo.
Chi protesta mette sul piatto, però, anche una necessaria riforma sanitaria e scolastica, chiede il rispetto di quanto concordato nell’accordo di pace nel 2016 con i guerriglieri delle FARC e rifiuta le politiche militari. Duque, il presidente per il momento sconfitto, rimane silente, ma probabilmente presto tornerà alla carica con nuove proposte, che, se non ritenute veramente a favore del Popolo (volutamente con la P maiuscola), riaccenderanno le proteste e, di conseguenza, le violenze. Perché ormai è chiaro a tutti che il popolo colombiano sembra aver passato il cosiddetto punto di non ritorno.
© RIPRODUZIONE RISERVATA