“Questo matrimonio non s’ha da fare, nè domani nè mai!”. Questa celebre frase pronunciata dai bravi incontrando don Abbondio nel romanzo “I promessi sposi” di Manzoni calza a perfezione su come la pensino gli ambientalisti, ma anche molte associazioni degli agricoltori, sull’accordo commerciale tra l’Unione Europea e il Mercosur, il mercato comune dell’America meridionale istituito da Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay. Stipulato nel giugno del 2019, il patto è ancora in attesa delle ratifiche da parte delle istituzioni europee (Consiglio e Parlamento).

A scatenare le proteste dei contrari all’accordo è l’accelerazione delle fasi della ratifica che vuole imporre il Portogallo, presidente di turno del Consiglio Europeo fino a fine giugno. «Questo accordo è una vecchia operazione cominciata vent’anni fa, fuori dalla storia, oltre che una chiara negazione della narrativa “verde” proposta dalla Commissione Europea. Noi stiamo lavorando al Green Deal europeo che ci dovrebbe portare entro il 2030 al taglio del 55% delle emissioni e del 100% entro il 2050 e con il trattato con i Paesi del Mercosur non chiediamo anche a loro di condividere questa idea, anzi…», afferma Monica Di Sisto, vicepresidente di Fairwatch (osservatorio su commercio internazionale e clima) e portavoce della campagna “Stop Eu-Mercosur”.

Monica Di Sisto, quando dice “anzi” che cosa intende?
«Li lasciamo fare! L’Osservatorio sul clima brasiliano a fine 2020 ha spiegato con dati ufficiali satellitari alla mano che con l’espansione dei settori dell’agrobusiness e dell’allevamento intensivo determinata dalle politiche del Governo Bolsonaro a scapito della foresta amazzonica delle terre indigene del Cerrado e del Pantanal ‘liberate’ a colpi di incendi dolosi si è ottenuto un aumento delle emissioni del 10 per cento annuo dal 2019, dopo anni di contenimento. Ma anche che il Brasile non ha raggiunto nel 2020 gli obiettivi di riduzione previsti dal Piano nazionale contro i cambiamenti climatici. Secondo una recente inchiesta di Reporter Brasil, per esempio, uno dei colossi del settore della lavorazione delle carni in Sudamerica, tra i principali fornitori per il mercato Ue, aggrega 92 allevamenti responsabili della deforestazione di almeno 50mila ettari tra il 2008 e il 2020. Un’area grande cinque volte Parigi, per capirci. L’area di libero scambio del Mercosur, peraltro, comprende anche Paraguay e Argentina, dove l’area forestale del Chaco è persistentemente sotto attacco per l’espansione dell’agrobusiness. Dalla sola Amazzonia, infine, dipende il ricambio di circa il 10% dell’aria che respiriamo. Vogliamo soffocare pur di importare più carne che in Europa già si produce, per di più in competizione con i produttori europei che si assumono, giustamente, costi enormemente maggiori perché rispettano regole sanitarie e di contenimento dell’inquinamento e delle emissioni, pagano regolari contratti di lavoro, assicurano un minimo di benessere animale?»

Questo trattato è quindi in contrapposizione al Green Deal europeo?
«Certamente! Innanzitutto perché la terra è un sistema chiuso e il Green Deal non ha senso se poi aumentiamo la produzione delle emissioni fuori dai confini europei con operazioni come queste. La Commissione europea pretende che l’accordo possa vincolare i suoi contraenti ad ambiziosi obiettivi climatici o di rispetto dei diritti umani, ma tutte le previsioni finora incluse nel trattato o nelle eventuali dichiarazioni aggiuntive che vi sarebbero allegate, secondo quanto capiamo dalla Commissione, non prevedono meccanismi di monitoraggio e di valutazione degli impatti e poi di sanzione/compensazione in caso di violazione. Pensi che ci sono voluti sei anni dopo la firma del trattato di liberalizzazione commerciale con la Corea del Sud perché l’Unione Europea aprisse la sua prima contestazione per grave violazione delle convenzioni internazionali per la protezione dei lavoratori; e ancora in termini pratici non ha ottenuto nulla.» 

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In questi accordi economici gli interessi sono tanti. L’Europa cosa ci guadagna?
«La Commissione Europea parla di quattro miliardi di euro di dazi in meno da pagare per le imprese europee che esportano nel Mercosur, che si tradurrebbero principalmente in maggiori esportazioni di chimica, compresi molti pesticidi da noi vietati, macchinari e automobili. A conti fatti però, stando alle loro stesse valutazioni il guadagno per i Paesi europei sarebbe di uno 0,1% di Pil entro il 2032 e un impatto occupazionale ininfluente, a fronte di una massiccia competizione in più contro i produttori europei di carne, pollame, latte, riso, già colpiti da precedenti liberalizzazioni e dal Covid.»

Quali sono i prossimi appuntamenti decisivi per la ratifica dell’accordo?
«La presidenza portoghese dell’Unione europea sta facendo di tutto per dimostrare che l’accordo si può chiudere con un’approvazione definitiva da parte del Consiglio Europeo entro il suo semestre (che scade il 30 giugno, ndr). L’Italia sembra voler festeggiare questo risultato entro la sua presidenza del G20 (il 30 novembre prossimo, ndr), ma al momento ci sono talmente tanti dubbi e tale la contrarietà che monta anche in sede di Parlamento Europeo, che sarebbe chiamato a ratificare il testo dopo il via libera del Consiglio europeo, che l’orizzonte sembra assai incerto.»

In che modo agirete nei prossimi mesi per essere ascoltati?
«Intanto abbiamo lanciato la nuova coalizione internazionale che vede insieme oltre 450 organizzazioni delle due sponde dell’Oceano. Di recente ho personalmente presentato – in un incontro riservato con il ministro degli esteri Luigi Di Maio, il vicepresidente della Commissione europea e commissario per il commercio Valdis Dombrovskis e i principali stakeholders nazionali (portatori d’interessi, ndr) – la nostra preoccupazione per la posizione italiana ed europea così poco lungimirante. Come campagna italiana, anche questa ampia e molto rappresentativa, presenteremo a breve al Governo e al Parlamento una nuova valutazione d’impatto indipendente condotta da ricercatori di un centro studi internazionale che avvalora, anzi amplifica, tutte le nostre preoccupazioni. Pretenderemo che ci ascoltino.»

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