Dopo il passaggio di Alessandro Gennari dal Movimento 5 Stelle alla Lega (partito di maggioranza a Palazzo Barbieri) e le conseguenti inevitabili dimissioni dal ruolo di Vice Presidente del Consiglio comunale, assegnato da prassi a un rappresentante dei partiti di minoranza, a succedergli è stato il consigliere eletto nelle fila del Partito Democratico Stefano Vallani, che Heraldo ha contattato per fare insieme a lui il punto della situazione veronese a poco più di un anno dalle prossime elezioni comunali.

Vallani, non è la prima volta che si ritrova a fare il Vice Presidente del Consiglio Comunale di Verona. Quali sono le novità di questa volta?

«Rispetto al precedente all’epoca del mandato di Tosi, in quest’occasione la mia elezione ha avuto molta più risonanza. Il ruolo di Vice Presidente è quasi prettamente di rappresentanza delle minoranze. È previsto per legge, ma non ha particolari compiti. Può partecipare alle riunioni dei capigruppo, seguire e gestire i lavori quando ce n’è bisogno, proporre variazioni all’ordine del giorno. Quando non può presiedere il Consiglio, di solito il Presidente chiede, però, prima al suo Vice Vicario, che fa parte sempre della maggioranza, e solo se anche questi non può allora tocca al Vice “della minoranza”.»

All’interno del suo partito, ci sono state anche alcune polemiche per la sua elezione, dovute al mancato rispetto della parità di genere che avrebbe richiesto l’elezione di una donna e quindi, nel caso del PD a cui spettava la vicepresidenza, di Elisa La Paglia…

«Si. Un po’ dispiace che questo tipo di situazione sia stata creata all’interno del PD. Elisa avrebbe dovuto accettare la decisione del partito, ovvero la mia candidatura anziché candidarsi contro. In questo caso c’era l’opportunità di rappresentare le minoranze essendo noi del PD un piccolo gruppo all’interno di Palazzo Barbieri, ma pur sempre il più cospicuo fra i partiti rappresentati all’interno della minoranza. La scelta è stata effettuata dopo che si sono ascoltati anche gli alti partiti e si è arrivati proporre e nominare il nome più rappresentativo, in questo caso la mia persona.  Poi la parità di genere è un tema e in particolare nei percorsi interni al Partito, anche il segretario Letta ha chiesto proprio di recente una svolta in quest’ottica. Niente di personale con Elisa con la quale lavoro bene da dieci anni, è una rappresentante molto valida e preparata, sempre in grado di esprimere bene le istanze che porta avanti e potrà affermare sempre la sua valenza politica. Le polemiche per certi aspetti fanno parte anche delle dinamiche interne a un partito che ha sempre difeso la libertà di espressione e che vede, anzi, nella discussione una leva per crescere. Nella terna la parità di genere comunque non è prevista. Per proporre la parità di genere credo che si debba lavorare per un cambio di statuto del Comune di Verona affinché in futuro ci sia effettivamente sempre la garanzia che  Presidente e Vice Presidenti Vicario e delle minoranze rispettino il genere. Stiamo per entrare nell’ultimo anno di legislatura.»

Stefano Vallani, secondo da sinistra, con Elisa La Paglia, Tommaso Ferrari (Traguardi) e Federico Benini

Possiamo fare un bilancio della vostra attività di opposizione in questi quattro anni fin qui trascorsi? 

«Dal nostro punto di vista e in particolare del PD si è sempre lavorato nel tentativo di costruire un dialogo costruttivo. Insieme alle altre forze di minoranza si è cercato di portare avanti l’impegno per cercare di limitare l’amministrazione quando si è dimostrata attenta ad elementi ideologici e meno a quelli legati alla gestione della città stessa. Mi riferisco ai temi legati ai diritti civili e a certe manifestazioni che si sono tenute in città di cui non se ne sentiva assolutamente il bisogno, come il Congresso delle Famiglie, ma non solo. Passato quel periodo ci siamo legati di più agli aspetti urbanistici della città. Un grosso impegno  di questa amministrazione si è versato sulla Variante 23, che ha effettivamente stralciato alcune aree destinate a centri commerciali, ma poi con la Variante 29 si è tornati a riempirne la città, che è stata stravolta di elementi urbanistici che non guardano sempre al futuro sviluppo.» 

Chi ha dovuto amministrare gli enti pubblici in quest’ultimo anno ha incontrato delle difficoltà non comuni.

«Da questo punto di vista bisogna anche capire come far emergere le necessità della città. Lo Stato ha dato una mano sugli aspetti sociali, ma su altre cose, come ad esempio la necessità di difendere le varie categorie economiche, forse a livello locale si poteva fare di più o, visto che purtroppo l’emergenza non è ancora finita, si potrebbe fare di più nelle prossime settimane e nei prossimi mesi anche attraverso emendamenti al Bilancio comunale approvando proposte avanzate in questo senso anche da parte delle minoranze.» 

Tema caldo di questo periodo sono le aziende partecipate del Comune. Che ne pensa?  

«Fiera e Aeroporto sono sul tavolo dell’amministrazione. La gestione non oculata del passato ha portato, purtroppo, a un vero e proprio sfacelo delle due aziende, che anche a causa della pandemia, va detto, stanno vivendo una grave crisi. Vedremo se e come si riuscirà a risollevarle nell’immediato futuro. Ma non c’è solo quello.» 

A cosa si riferisce?

«Dispiace che non si sia creduto abbastanza in Verona Capitale della Cultura, ma vedo anche un freno sul vero rilancio della Fondazione Lirica, che se da una parte negli ultimi anni ha recuperato qualcosa a livello economico, non ha ancora trovato quello slancio per valorizzare al massimo il festival lirico e rendere Verona città della musica e dell’opera. Ecco, su tutti questi temi abbiamo cercato di essere costruttivi, cercando di far capire i correttivi all’amministrazione. Ci siamo riusciti? Probabilmente no, ma ci abbiamo provato. Abbiamo usato di più l’azione di opposizione costruttiva che quella solo del contrasto. Si è cercato in questi anni di far capire cosa era sbagliato. Chi è all’opposizione, va detto, si prende il lusso di criticare, ma chi è all’amministrazione spesso si concentra su un lasso temporale che non guarda al futuro della città, ma solo alle immediate elezioni.» 

Ecco, a proposito di questo, quali sono secondo lei le soluzioni a questo problema che di certo non riguarda solo Verona? 

«È un difetto un po’ tutto italiano. Io faccio parte di una commissione a livello europeo che si occupa di trasporti, all’interno della quale ci sono due membri che rappresentano l’Italia. A volte capita che, magari a fine lavori, anziché parlare di prodotti e marketing si finisca a parlare degli aspetti politici che riguardano le rispettive città di appartenenza. Sul tema dei trasporti, in particolare, i colleghi europei rimangono sempre molto stupiti delle dinamiche italiane. Sento raramente che all’estero avviene un cambio di destinazione o di progetto perché un’amministrazione succede alla precedente e ha idee diverse. È una questione di mentalità. Le decisioni prese vanno portate avanti, nel bene e nel male. A Verona, invece, si parla di un trenino di superficie da vent’anni e oggi siamo ancora qua a non sapere quale sarà il destino del filobus. Vero è che se da Sindaco avessi davanti dieci anni di sicura amministrazione sarei certo di vedere il compimento di almeno alcune delle mie opere. Ad esempio i dieci anni di Zanonato a Padova hanno letteralmente cambiato il volto della città. Sono riusciti, tanto per dire, a completare le ciclabili in tutta la città e questo, che può apparire un piccolo progetto, ha dato invece un impulso importante a tutta la mobilità. In generale se hai dieci anni di tempo davanti puoi progettare senza pensare alle immediate elezioni.»

In questo senso l’amministrazione Zanotto sprecò una grande opportunità per il centro-sinistra, a suo tempo…

«Indubbiamente. È mancata, in quel caso, forse anche un po’ di comunicazione, perché la città non ha percepito quanto di buono venne comunque fatto all’epoca, ma si sarebbe potuto fare di più, certamente, sebbene Zanotto, pur avvalendosi di una Giunta di qualità,  abbia dovuto sempre lavorare con una maggioranza risicata. L’attuale Sindaco si trova probabilmente in difficoltà anche per alcune situazioni interne che si sono create nella pur ampia coalizione che lo ha sostenuto in questi quattro anni, basti pensare ai cambi di casacca, fin qui ben 16! Al contrario ricordo bene come durante tutto il suo primo mandato e fino quasi al penultimo anno del secondo, il Sindaco Tosi ha avuto sempre dalla sua parte tutti gli Assessori. Non è un dettaglio da poco.»

A proposito: fra un anno a Verona si vota. Cosa sta facendo il centro-sinistra per tentare di non ripetere gli errori del passato?

«La segreteria sta cercando di avviare un dialogo fra tutte le forze che oggi sono nell’alveo del centrosinistra. Questo deve portare a una unitarietà di visione che io auspico conduca poi a un candidato forte e condiviso. Molto della questione vera starà proprio nel chi sarà il candidato. Poi secondo me si riuscirà a costruire un progetto forte e una proposta programmatica che convinca i veronesi e ci possa portare al ballottaggio. In questi mesi si sta cercando di dialogare tra tutti per capire appunto come concretizzare questa volontà.»

Parliamo allora del candidato. Secondo lei che caratteristiche deve avere?

«Se vogliamo che più partiti ragionino insieme sul programma e sul futuro della città occorre trovare un candidato politicamente meno caratterizzato. Quindi non dovrà avere, per me, una provenienza chiara da questo o quell’altro partito, perché altrimenti poi diventa molto più difficile riuscire a dialogare con gli alleati. Ci vuole, insomma, un candidato che sappia mettere d’accordo tutti.»

Con Anna Maria Bigon, durante la campagna elettorale per le elezioni regionali 2021

Quali sono, secondo lei, le prime tre cose che dovrà fare, fra un anno, il Sindaco di Verona, chiunque sia? 

«Il primo è un aspetto di cui tutti parlano ma che rimane sempre un po’ sottovalutato ed è quello di una città formata da otto grandi circoscrizioni. Partendo da questo decentramento, tra le prime cose che mi aspetterei dalla nuova amministrazione ci deve essere una vera valorizzazione delle periferie e dei quartieri, perché il quartiere diventi sempre più un po’ il fulcro di tante cose nella vita delle persone che lo abitano, che vogliono servizi, attività e via dicendo. Perché altrimenti ci troviamo solo dei quartieri dormitorio, mentre la vita si svolge altrove. Occorrono negozi di prossimità, attività sportive, scuole, asili nido. Bisogna trovare la via per valorizzare i centri stessi dei quartieri, che devono essere luoghi aperti, vivi, dove la gente può incontrarsi. Tutto ciò, peraltro, si accompagna anche agli aspetti legati alla socialità e all’accoglienza, che per Verona deve essere un faro guida. Sempre.» 

E le altre due priorità?

«Abbiamo un PUMS che per il momento rimane ancora sulla carta. Verona è una città dove dal punto di vista della mobilità non sono ancora stati risolti i nodi fondamentali e si fa ancora fatica a muoversi bene. Al contrario lo si può fare sia se esiste una mobilità dolce dedicata a pedoni e ciclisti sia se c’è un sistema di trasporto pubblico efficiente, che consente di muoversi senza l’ausilio delle auto. Dobbiamo pensare a questo per rendere Verona più vivibile. L’ultimo aspetto, infine, riguarda lo spopolamento della città, che è strettamente connesso con la crisi di alcuni settori economici, che oggi non danno più lavoro ai nostri giovani, che ovviamente non possono che andarsene altrove. La città ha perso la sua finanza negli ultimi anni, con le principali realtà che si sono pian piano trasferite a Milano o a Trieste. Ricordo che all’Università di Verona alcuni anni fa avevano istituito un corso di Economia Bancaria, proprio perché al tempo c’era proprio la necessità, che oggi non c’è più, di formare i dirigenti finanziari del futuro. Ma quello finanziario non è l’unico settore ad essersi impoverito nel tempo. Anche la manifattura è sparita negli anni e ci sono altri settori che oggi sono in crisi e un domani potrebbero sparire. Il lavoro cambia, ma a Verona non possono esserci solo turismo, logistica e servizi. Pensiamo anche a cosa ha rappresentato per la città, in passato, la Mondadori con tutto l’indotto che ha creato per il mondo dell’editoria.» 

Ma quindi, cosa propone?

«Dovremo tornare ad essere un distretto economico. Abbiamo perso in manifattura, ma , ad esempio, pensare ad una logistica innovativa, digitalizzata. Il Quadrante Europa, è uno dei più grandi interporti e questo può e deve rappresentare un potenziale volano per lo sviluppo economico della città, ma allo stesso tempo dovremmo trovare il modo perché Verona risulti una piazza appetibile per gli imprenditori. Da molto tempo, invece, si tende a vivere di rendita rispetto a un glorioso passato. Dobbiamo fare una ricerca continua e creare un’offerta della città verso quelle società che intendono venire in Italia e aprire una sede che possa portare posti qualificati e fermare in questo modo quell’emorragia di giovani che vanno ogni giorno verso Milano o addirittura si trasferiscono all’estero. Altrimenti andremo in contro a un vero e proprio spopolamento. La città si sta chiudendo in sé stessa, con il centro che perde i suoi abitanti senza un ricambio generazionale mentre i comuni della cintura crescono. Verona, nel complesso, risulta una città ferma, poco attrattiva e questo rappresenta un problema, perché la ricchezza che c’è rischia di disperdersi.»

Una delle possibilità è quella di fare veramente “sistema”, come da tanti invocato. Cosa che non sempre risulta facile a Verona, peraltro più abituata a guardare verso nord o verso ovest che verso est e al resto della regione Veneto. In questo senso secondo lei Brescia può diventare un partner appetibile per la nostra città?

«Si, è vero. Siamo in Veneto, ma siamo uno degli elementi che compone la cosiddetta “regione del Garda”, che non esiste ufficialmente, ma dove gli interessi di sviluppo sono legati a questo gruppo di province: Mantova, Trento, Brescia e appunto Verona. D’altronde ce lo dicono i numeri, con gli oltre 20 milioni di presenze turistiche, di cui 13 solo in provincia di Verona. Abbiamo un aeroporto che dovrebbe essere valorizzato e strutture viarie che rappresentano l’unico punto di incontro di due corridoi europei in direzione est-ovest e nord-sud. Sarà, questa, la grande forza della nostra città ma solo se riusciremo effettivamente a programmarlo fin da ora. E invece l’impressione è che questo discorso non si stia purtroppo affrontando. Quando sarà pronta l’alta velocità nel 2030 sarà importante avere già pronte in parallelo le ferrovie storiche Verona-Milano e poi le vie suburbane verso il nord. Perché Verona deve ambire ad essere la capitale di questa regione del Garda. Dobbiamo avere la forza di essere riconosciuti come luogo di valore, capofila di una serie di progetti. Altrimenti avremo perso l’ennesima occasione.»

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