La cultura umanistica si riscopre in un festival
Organizzata nel cuore del Belpaese, a Figline Valdarno, l'iniziativa mette al centro quest'anno la relazione come condizione umana. A parlare della figura di Beatrice, anche un esperto veronese.
Organizzata nel cuore del Belpaese, a Figline Valdarno, l'iniziativa mette al centro quest'anno la relazione come condizione umana. A parlare della figura di Beatrice, anche un esperto veronese.
Lo sapevate che ci attende un nuovo Rinascimento? Di certo questa frase non vi è nuova. La si sente ripetere spesso, specie in ambiente politico, ma a tanti pare essere più una promessa dell’oasi nell’arsura del deserto. Eppure, al di là dell’artificio retorico, qualcosa di buono c’è in questa visione: in un tempo così confuso, c’è da ripartire dai fondamentali. E uno di questi è l’uomo, la sua posizione nel mondo. Per questo è interessante che in un piccolo centro toscano, Figline Valdarno, che diede i natali al filosofo e umanista Marsilio Ficino, sia nato nel 2019 il Festival della cultura umanistica. Interrotto dall’impatto della pandemia, oggi è tornato con il secondo simposio cui vi prende parte anche una personalità veronese.
Questa sera alle 19, infatti, sarà compito di Stefano Quaglia, già dirigente scolastico provinciale di Verona, esperto di sistemi educativi e classicista (oltre che collaboratore di Heraldo dove cura una rubrica dal titolo “Il Classico dentro di Noi“, presentare la figura di Beatrice nella Divina Commedia (per poter seguire le dirette sulla piattaforma Zoom ci si iscrive qui).
Iniziato ieri, il festival si chiuderà domani sera, dopo un excursus di riflessioni e suggestioni che indagano il tema “Da Narciso a Beatrice: la relazione come condizione umana”. Parzialmente in presenza, con alcune presenze collegate online dall’aula magna dell’Istituto paritario Marsilio Ficino, si susseguono interventi e argomenti che cercano di riscoprire l’apporto della cultura umanistica come elemento fondamentale per costruire confronto tra le parti e favorire la relazione.
Gli opposti simbolici sono appunto Narciso, mito del ripiegamento in sé stessi, affiancato alla musa di Dante Alighieri quale esempio di sguardo aperto, legato alla dimensione trascendente come slancio verso il fuori-da-sé.
Tra gli ospiti si noverano nomi autorevoli del pensiero contemporaneo, come Sergio Belardinelli, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso il dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’università di Bologna, Antonio Natali, storico dell’arte ed ex direttore della Galleria degli Uffizi, Chiara Frugoni, scrittrice, già docente di storia medievale negli atenei di Pisa e Roma, oltre che nota studiosa di Francesco d’Assisi, e Caterina d’Amico, studiosa delle arti dello spettacolo e responsabile scientifica degli Archivi di Piero Tosi, Luchino Visconti e Franco Zeffirelli.
Parlare ad un pubblico di studenti liceali e universitari, ma anche di persone interessate ma con una formazione non strettamente umanistica, è l’obiettivo del festival. D’altronde, il vasto bagaglio che costituisce questa dimensione del sapere è ultimamente considerato come in via di relativizzazione, visto l’avanzare del ruolo delle scienze e della tecnologia nella vita del nuovo millennio.
A fronte di un approccio neoplatonico che poneva l’uomo al centro del creato, oggi il fulcro concettuale si è spostato sulla tecnologia, sulle scienze e sull’intelligenza artificiale, su un altro-da-sé che è sì emanazione della mente umana ma che è capace teoricamente di vita propria. L’uomo è considerato un cardine superato, quasi un modello non più efficiente rispetto alle sfide della vita contemporanea. La guerra ideologica tra tecnologia e umanesimo è quasi assodata e ci si ritrova confusi, quasi messi all’angolo, nel momento in cui ci si pone la domanda se ci sia ancora spazio per la filosofia, la letteratura, l’arte. Dimensioni in cui l’umano esprime e sperimenta la sua capacità simbolica, da sempre fucina di innovazioni e di rivoluzioni culturali.
Già Massimo Cacciari, nel suo libro “Il computer di Dio”, individuava la separazione tra cultura umanistica e scientifica come un equivoco intellettuale. E d’altronde se è vero che, come registra l’Istat, nel 2019 il tasso di occupazione italiana raggiunge il livello più alto per l’area medico sanitaria e farmaceutica (l’86,8%), seguito dalle lauree di ambito scientifico e tecnologico, le cosiddette STEM (83,6%), i titoli di area umanistica e dei servizi raggiungono un 76,7%. Non è certo un dato consolatorio, però si segnala un andamento in crescita in questi ultimi anni, perché aumentano gli sbocchi professionali. Crescono le contaminazioni disciplinari, con moduli interni ai percorsi formativi di informatica, lingue straniere e formazione anche all’estero. E le aziende cercano persone con competenze trasversali e interdisciplinari, capaci di utilizzare insieme più saperi.
Secondo il rapporto 2020 del World Economic Forum, nel 2025 i candidati e le candidate dovranno avere pensiero analitico, portato all’innovazione, alla creatività e alla capacità d’iniziativa, leadership, intelligenza emotiva, capacità di ragionamento per risolvere i problemi, flessibilità e propensione alla negoziazione. Qualità con cui far fronte a un futuro imminente in cui, si stima, si perderanno 85 milioni di posti per l’incremento dell’automazione e per l’integrazione tecnologica, a fronte di un aumento occupazionale per le attività specializzate, con una stima di 97 milioni di nuovi ruoli professionali.
Non che tutto si debba ridurre al mondo del lavoro, però è vero che stiamo cambiando velocemente e che abituarsi a pensare è uno strumento imprescindibile per costruire il futuro che ci aspetta.
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