Double standards
Le proteste che incendiano le strade di Belfast sono simili a quelle viste in USA l'estate scorsa ma vengono riportate e mostrate in modi molto diversi.
Le proteste che incendiano le strade di Belfast sono simili a quelle viste in USA l'estate scorsa ma vengono riportate e mostrate in modi molto diversi.
Con il termine “double standards” si intende un approccio diverso, talvolta opposto, da parte dei media e dell’opinione pubblica nei confronti di due eventi simili tra loro, che per qualche motivo vengono percepiti e raccontati come positivi o negativi a seconda degli attori in gioco, del contesto geopolitico e della fase storica.
In questi giorni l’Irlanda del Nord sta letteralmente bruciando, ogni notte nei punti di frizione delle principali città si svolgono manifestazioni di protesta, con lancio di pietre e molotov contro la polizia, con autobus incendiati in corsa e numerosi feriti. Che non sia morto nessuno è solo merito, per ora, delle organizzazioni paramilitari sia di fede unionista (pro UK) che repubblichina, che tentano di smorzare gli animi. La mente corre alle proteste del movimento Black Lives Matter, che la scorsa estate hanno prodotto devastazione e feriti in tutta America, anche in quel caso utilizzando armi di fortuna.
Vogliamo provare a fare un confronto il più possibile obiettivo e neutrale delle due situazioni, a caccia di quei double standards di cui si parlava all’inizio.
Voglia di Libertà – Una cosa hanno in comune tutte le ribellioni, a qualsiasi latitudine. A spingere la rivolta, pacifica o meno, è un desiderio di libertà. Libertà che nei due casi specifici in esame è di poter essere bianchi, neri, cattolici o protestanti senza che questo sia considerato una pregiudiziale a ottenere buoni posti di lavoro, uno stipendio equo e l’accesso agli stessi diritti.
Separazione – Entrambi gli eventi condividono una situazione di “apartheid informale“, che negli USA prende la forma di discriminazioni razziali, di minor accessibilità a un’istruzione superiore e a lavori qualificati, una ghettizzazione per etnia che di fatto separa una comunità dall’altra. In Ulster la divisione è perfino fisica: le città hanno quartieri cattolici e quartieri protestanti, le strade perimetrali che diventano una sorta di confine immaginario tra due mondi.
A Belfast i confini sono anche tangibili, i cosiddetti “peace walls“, ovvero i muri della pace. Muri che corrono lungo i quartieri, con varchi di accesso normalmente aperti perché la pace possa fluire liberamente tra le comunità ma da una decina di giorni ermeticamente chiusi e presidiati dall’esercito, per non correre il rischio che troppa pace faccia venir in mente a qualcuno di quel mitra seppellito in giardino.
Evoluzione – I rapporti tra bianchi e neri da un lato dell’oceano come tra unionisti e indipendentisti dall’altro sono migliorati negli anni, questo è sotto gli occhi di tutti. Ma la divisione è solo scesa in profondità, si è resa meno evidente per continuare a lavorare senza troppa visibilità. La rabbia è solo trattenuta, le sue cause non sono mai state davvero eliminate.
Negli USA la protesta si è velocemente trasformata in guerriglia di strada, danneggiando le proprietà, saccheggiando i negozi e provocando enormi danni anche a cittadini colpevoli solo di avere in attività proprio sul sentiero della marcia. Ai comuni residenti si sono unite flange di black bloc e semplici delinquenti, più concentrati a rubare che sulle ragioni fondanti della protesta. Il movimento BLM si è poi espanso come una bolla, a ricoprire tutti gli ambiti della vita sociale: atleti inginocchiati in ogni sport, t-shirt celebrative con gli slogan contro il razzismo, ogni Stato del mondo in una sorta di gara a chi più enfatizza il messaggio.
E la stampa ha avuto un ruolo essenziale in questo: ogni tg, tutti i giornali, le radio ripetevano come un mantra quanto le proteste, seppur violente e talvolta molto violente, fossero giuste, per una nobile causa, che tutti avremmo dovuto sentire un po’ nostra.
Per le proteste nordirlandesi non è accaduto lo stesso. A parte i professionisti tipo ANSA e qualche trafiletto sui giornali più importanti, la questione Ulster è rimasta in famiglia. Ovviamente i media britannici e irlandesi coprono le manifestazioni con reportage giornalieri ma poco niente sembra arrivare all’estero, o almeno in Italia. Quasi che l’ideale che spinge alla lotta non sia altrettanto meritevole. O forse è la correttezza dei manifestanti a rendere gli eventi meno mediatici, visto che le rivolte sembrano seguire un calendario alternato e condiviso, con unionisti i giorni pari e repubblichini nei dispari, tutti sempre e comunque contro la polizia schierata. Non gli uni contro gli altri, ma entrambi (uniti ma separati) contro il governo di Londra che ha tradito le promesse in tema di Brexit, che ha imposto un confine in mezzo al mare d’Irlanda. Ma anche, per parte indipendentista, contro un tentativo dei “sudditi di Sua Maestà” di sfruttare la confusione commerciale per riprendere potere e influenza, per riportare l’equilibrio politico dalla parte unionista.
Qui nella placida Italia non si parla di queste proteste, delle molotov e delle sassaiole, dei bastoni e della violenza. Nel tentare di trovare una spiegazione a questo strano silenzio mediatico, arriviamo al punto di pensare che alla base di questa scelta ci siano le immagini “diseducative” da mostrare in un momento storico già carico di tensioni anche qui da noi. Qualche esponente del movimento di protesta #ioapro, protagonista in questi giorni di scontri con le forze dell’ordine, potrebbe prenderne il “cattivo esempio”. D’altronde in Ulster non chiedono certo “permesso” prima di sfondare una barricata.
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