La crisi che stiamo vivendo non è solo di matrice economica. Al centro delle trasformazioni in corso c’è sempre un discorso sull’umano, che in questa intervista a Lorenzo Bernini, professore associato di Filosofia politica all’Università di Verona, non può prescindere dal ruolo del sesso e del suo potere antisociale. Un concetto che il docente affronta anche nel libro “Il sessuale politico“, uscito con ETS, e che esplica nelle sue risposte per dare un quadro della complessità contemporanea. Tra scelte individuali, condizionamenti sociali, azione e inazione politica, Bernini, che dirige anche il centro di ricerca PoliTeSse – Politiche e Teorie della Sessualità, sempre all’Università scaligera, sottolinea anche il ruolo della lingua. Tanto che, come specifica più avanti, ha tenuto che si mantenesse nella scrittura dell’intervista anche l’asterisco, in rappresentanza di coloro che non si identificano necessariamente nel femminile o nel maschile.

Professor Bernini, partiamo dal suo ultimo saggio, Il sessuale politico. Quanto e perché «l’impossibile necessità di educare il sessuale», di cui ha scritto Freud, rappresenta un problema politico?

«Seguendo Freud e alcune/i sue/oi interpreti come Leo Bersani, Teresa de Lauretis e Lee Edelman, nel mio libro sostengo che il sessuale è al tempo stesso impolitico e politico. Esso è una delle cause del disagio della civiltà, in quanto pulsione che sottrae la/il singola/o* alla comunità, rendendola/o* antisociale. Ogni società non può che tentare di redimerlo (ad esempio con il matrimonio, che conferisce al sessuale il senso della riproduzione), andando incontro allo scacco.

La copertina del saggio, uscito nel 2019 per ETS

Il sessuale è una forza perturbante che, destituendo la padronanza di sé, rende l’umano indocile al legame sociale: proprio per questo viene utilizzato in tutti i processi discriminatori per designare i soggetti alle cui spese il legame sociale si costituisce.

Si pensi alle persone LGBTQI+, ma anche alle persone razzializzate – nel libro analizzo i miti razzisti dello stupratore nero e della nera dissoluta facendomi guidare da Frantz Fanon e Angela Davis –. Ma l’esempio forse più rapido da fare è il ruolo che la sessuofobia gioca nella misoginia. Nel nostro ordinamento giuridico, il revenge porn è giustamente assimilato a un’istigazione al suicidio, perché non poche donne si sono tolte la vita in seguito alla diffusione on line di video in cui comparivano intente in pratiche sessuali.

Ecco: questo dimostra come anche nelle nostre società iperedoniste il sessuale riconduca ogni volta il soggetto a una dimensione incivile, inaccettabile per la rappresentazione pubblica che questi vuole dare di sé.

E come ancora oggi, quando una donna viene fatta rappresentante del sessuale, marchiata come puttana, senta il peso di un fortissimo stigma, che può risultarle intollerabile. Il sessuale, insomma, rappresenta un problema politico innanzitutto perché è intollerabile per il soggetto civilizzato. E perché ne vengono fatti rappresentanti tutte/i* coloro che una società non è disposta a tollerare.»

In un post sulla pagina Facebook del Centro di ricerca PoliTeSse – Politiche e Teorie della Sessualità, lei scrive: «Pur essendo stato scritto prima dello scoppio della pandemia, proprio con intento di vigilanza sulla democrazia, Il sessuale politico si apre, e si chiude, con l’analisi del patriarcalismo pop della retorica di Salvini. Una retorica che dietro toni edulcorati nasconde archetipi fascisti di abiezione dell’altro, rivolti un tempo direttamente contro i “terroni”, e oggi – attraverso giri di parole e dissimulazioni – contro migranti e gay». Quali effetti pensa che possa avere questa pandemia sul successo del cosiddetto populismo sovranista?

«Nel libro utilizzo il termine “fascismo” in senso metastorico, per designare non solo uno specifico regime novecentesco, ma anche un pericolo insito nelle società contemporanee. Tenendo assieme Umberto Eco e Judith Butler, definisco fascista una costellazione di archetipi che possono assemblarsi in modi differenti: l’appello a un popolo impoverito contro un’élite che ne calpesta gli interessi, il culto della nazione e delle tradizioni, il disprezzo per cultura, competenza e libertà di critica, il rifiuto della mediazione di istituzioni e leggi, il maschilismo, il razzismo, la discriminazione di tutte le minoranze…

La discriminazione, in particolare, assume caratteri fascisti quando chi ne è oggetto non è rappresentato soltanto come nemico, ma viene disumanizzato, abietto, considerato una deiezione da espellere dal corpo sociale.

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L’abiezione, spiega Butler, è il processo psicopolitico attraverso cui “gli altri diventano merda” – un processo, come ho detto poc’anzi, in cui le proiezioni sessuali hanno un ruolo fondamentale –. È di questo tipo di retorica che colgo tracce nel discorso salviniano, in cui la parola “schifo” viene accostata tanto alle élite intellettuali, quanto ai migranti, quanto ancora alle minoranze sessuali, minacce fantasmatiche da cui deve essere protetto un popolo composto di mamme e papà di puro sangue italiano.

Ma Salvini è soltanto un esempio di quanto è accaduto dopo la caduta del Muro di Berlino in buona parte del mondo, dove quel che resta della sinistra si è fatto custode di un ordine economico globale che alimenta diseguaglianze e povertà, e la protesta sociale è stata cavalcata dalle destre.

Quanto alla pandemia, è presto per valutarne le conseguenze politiche di lungo corso. Certo è che sta producendo trasformazioni radicali oltre a un collasso dell’economia, e che già assistiamo all’oscillazione dell’opinione pubblica tra bisogno di affidarsi alle competenze degli esperti, protesta motivata dall’impoverimento e protesta dissennata dei no vax e dei no mask. In Italia Salvini ha perso consensi, ma ne ha acquistati Meloni che si è dimostrata più coerente di lui, resistendo alla tentazione di sostenere governi che fanno il possibile (che è troppo poco) in una situazione di estrema difficoltà.

In più, i movimenti di estrema destra, quelli che si richiamano al fascismo storico, stanno acquistando un nuovo protagonismo nelle piazze. La pandemia sta anche dimostrando come l’ordine globale neoliberista si fondi su fragili pilastri: che quelli che ci hanno presentato come dogmi indiscutibili (l’impossibilità di infrangere il patto di stabilità o di operare in scostamento di bilancio) sono in realtà decisioni politiche, che come tutte le decisioni possono essere discusse e revocate.

“Questo è l’anno in cui i soldi non si chiedono, ma si danno”, ha dichiarato Draghi: ma ve lo ricordate durante la crisi greca? Quando arriverà un anno in cui i soldi si chiedono, che cosa accadrà? Un velo di Maya si è squarciato di fronte a una crisi gravissima che esacerba le diseguaglianze già presenti nelle nostre società e produce nuove povertà. E al momento temo che siano le destre populiste a essersi maggiormente attrezzate nel corso degli ultimi decenni per approfittare di questo squarcio.

Il fallimento dell’Unione europea nella gestione della campagna vaccinale getta poi altra benzina sul fuoco del sovranismo. Non ho sfere di cristallo, non so che cosa accadrà: dipenderà anche dalle prossime scelte di chi ci governa. Ma i rischi di una ripresa delle destre, con le loro retoriche fasciste, ahimé, li vedo tutti.»

Lei è un docente universitario, quindi è a contatto con la cosiddetta Generazione Z, caratterizzata da una maggiore fluidità sessuale. Il bisogno di decostruzione delle categorie sessuali ha a che fare anche con una ricerca più o meno consapevole della felicità?

«Il sessuale è una pulsione magmatica che sfida la padronanza di sé del soggetto, abbiamo detto. Le identità di genere tradizionali – patriarcali ed eterosessiste – erano un modo di tentare di governarlo in una modalità repressiva. Ma anche l’attuale proliferare di identità fluide che sfidano l’identità (a cui guardo senza dubbio con favore) è un modo – più consono alla libera ricerca della felicità, come lei dice – di tentare di governarlo. Il punto è che il sessuale è una pulsione ingovernabile, che spinge il soggetto oltre la sua volontà, e che quindi ha poco a che fare con libertà e felicità.

Richiamandomi a Jean Laplanche e Jacques Lacan, oltre che a Freud, nel mio libro sostengo che il sessuale spinge il soggetto al di là del principio di piacere, verso quella dissipazione e perdita di sé che la psicoanalisi chiama “godimento”. Non avendo svolto ricerche sulla Generazione Z, posso risponderle soltanto a partire dalla mia esperienza.

Lorenzo Bernini durante una lezione

Dal mio osservatorio di docente mi pare che, al di là dei sensazionalismi giornalistici, la maggiore flessibilità sessuale non riguardi un’intera generazione, ma una ristretta minoranza all’interno di essa – che oggi trova una libertà di esprimersi che fino a poco tempo fa sarebbe stata impensabile –.

Nella mia percezione, tra le/i* mie/i* studenti c’è di tutto: giovani inconsapevoli, giovani indifferenti, giovani reazionari/e*, e una piccola minoranza di giovani consapevoli. Quello che tuttavia mi sembra caratterizzare queste/i* ultime/i*, è per lo più un’ideologia antidiscriminatoria, in ultima istanza di matrice marxista (il termine in auge è “intersezionale”), assolutamente meritoria, che tuttavia tende a negare il carattere “tragico” del sessuale di cui ho cercato di parlare fin qui, e che nel mio libro è testimoniato – tra le/gli* altre/i* – anche da Mario Mieli, geniale portavoce dei movimenti italiani di liberazione sessuale degli anni Settanta, che quando ha scritto gli Elementi di critica omosessuale aveva all’incirca l’età di chi oggi può essere ascritta/o* alla Generazione Z.»

Cosa pensa della battaglia che molte donne, studiose e femministe stanno conducendo per l’uso del genere nella lingua italiana? Rientra nel “politicamente corretto” o è un passo dovuto per una reale inclusione della donna nei processi che coinvolgono la società?

«Penso sia una battaglia fondamentale, che riguarda le donne assieme alle persone non binarie. Come avrà notato, ho usato fin qui assieme il femminile, il maschile e l’asterisco proprio per essere inclusivo. Un’altra soluzione che si sta diffondendo è l’uso della scevà, il cui simbolo al singolare è ə, e al plurale diventa ɜ (la parola deriva dall’ebraico shĕwā e oggi sta assolvendo al compito di rendere l’italiano una lingua più inclusiva e non discriminante in base al genere, ndr). La lingua evolve attraverso l’uso, e io mi auguro un uso della lingua italiana sempre più rispettoso di donne, uomini e di tutt* coloro che sentono di occupare un luogo intermedio, oppure altro, rispetto al maschile e al femminile.»

Nelle pagine conclusive del suo libro lei ammonisce coloro che, convinti di trovare la propria felicità attraverso il conformismo a standard di comportamento stabiliti dalla società, finiscono per pagare il prezzo del sacrificio di una parte di sé e degli altri. È realistico pensare di far parte di una società senza subirne i limiti, o è un’opzione che solo i più fortunati a livello economico e di estrazione sociale possono semmai esercitare?

«Tutte/i* subiamo i limiti della socialità, tutte/i* siamo costrette/i* a sacrificare una parte di noi per vivere con le/gli altre/i*. Credo che Freud abbia ragione, lo ripeto: il disagio della civiltà è inemendabile.

La mia ammonizione è rivolta, in particolare, a quei movimenti lesbici e gay che hanno interpretato l’inclusione di lesbiche e gay nelle società eterosessuali esclusivamente come acquisizione per le coppie lesbiche e gay dei diritti delle coppie eterosessuali e, attraverso di essi, di una certa rispettabilità.

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In questo modo, hanno assecondato l’illusione secondo la quale la negatività del sessuale possa essere neutralizzata attraverso il matrimonio. Ma in realtà il sesso ha ben poco a che vedere con il matrimonio, con l’amore, con la filiazione. Ce lo ricorda Edelman: “Non si scopa per riprodursi, ma per godere”. E questo riguarda tutte/i*: è vero che le persone più abbienti hanno sempre elaborato codici di comportamento alternativi, ma è altrettanto vero che anche le persone meno abbienti si sono sempre comportate in modi trasgressivi.

Mentre in città le famiglie borghesi si esercitavano nelle buone maniere per poi disattenderle, nelle periferie e nelle campagne se ne combinavano di tutti i colori. Le società sono assemblaggi complessi, ma ora come un tempo, mutatis mutandis, in tutte le classi sociali il sessuale è quella pulsione insopportabile, assieme impolitica e politica, che questiona il nostro senso di noi stesse/i*. Prendere coscienza di questo buco di senso che risucchia ognuno/a* di noi può significare aprirsi a una maggiore tolleranza verso ciò che nell’altro/a* ci inquieta e ci disturba. Si tratta di un’etica minimalista che può sembrare poca cosa. Invece, con i tempi difficili che si prospettano, mi creda, è moltissimo.»

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