Le ombre degli sportivi professionisti
Le recenti dimissioni di Cesare Prandelli hanno riportato di attualità quanto possa a volte diventare complicata la vita dello sportivo ad alti livelli
Le recenti dimissioni di Cesare Prandelli hanno riportato di attualità quanto possa a volte diventare complicata la vita dello sportivo ad alti livelli
La sconfitta interna subita dalla Fiorentina ad opera del Milan è cronaca della scorsa domenica. Per Cesare Prandelli, da novembre sulla panchina viola al posto di Beppe Iachini, l’insuccesso deve essere apparso quasi come una sentenza definitiva sul suo operato, che lo ha portato a rassegnare le proprie inaspettate dimissioni il martedì appena successivo, prima della ripresa degli allenamenti, ponendo di fatto fine alla sua seconda avventura come allenatore della formazione gigliata.
Che l’esperienza di Prandelli non fosse cominciata con il piede giusto lo si era capito dai risultati subito ottenuti sul campo. Prima ancora si era avuta la sensazione che l’uomo non fosse completamente a suo agio nel ruolo, incapace di trasferire le proprie idee a una squadra talentuosa quanto basta per garantire un campionato decoroso, ma probabilmente mal assemblata in partenza, composta da giocatori a fine corsa e da altri ancora troppo acerbi per poter garantire quel minimo di continuità che richiede un torneo come la serie A. L’ex ct azzurro è apparso fin da subito in chiara difficoltà, specie se confrontato con i moderni santoni della panchina, uomini robot programmati per vincere, mai dubbiosi delle loro idee, sempre pronti ad alzare i toni per distogliere l’opinione pubblica da eventuali propri demeriti, a volte anche evidenti. Il tecnico bresciano non ha mai dato l’impressione di essere in grado di trovare la chiave giusta per relazionarsi in maniera efficace con l’ambiente, pur ben conosciuto, apparendo debole e inerme, quasi un agnello sacrificale da dare in pasto allo spogliatoio e all’avversario di turno. Una sensazione che, per certi versi, trova conferma nella sua lettera d’addio alla Fiorentina e, con tutta probabilità, a qualsiasi altra panchina.
“In questo momento della mia vita mi trovo in un assurdo disagio che non mi permette di essere ciò che sono” “In questi mesi è cresciuta dentro di me un’ombra che ha cambiato anche il mio modo di vedere le cose”
Queste dichiarazioni manifestano a prima vista una profonda fragilità, inadatta a guidare un gruppo nel massimo campionato di calcio. Ma è vera fragilità? Che debolezza ci può essere in un uomo che, consapevole dei propri limiti attuali e di un fisiologico calo delle motivazioni, ammette le proprie difficoltà e i propri stati d’ansia evitando di trascinare nel baratro tutto l’ambiente viola, squadra in primis? Che debolezza c’è in un uomo che non scende a compromessi con la propria professionalità e rinuncia al suo lavoro e a un lauto compenso?
Queste riflessioni non possono portare ad una sentenza di ragione o colpevolezza dell’uomo e del tecnico Prandelli, ma trasferiscono forza, non debolezza, la forza di un’integrità morale e della consapevolezza che per allenare al massimo livello occorra disporre sempre di un equilibrio interiore assoluto e inattaccabile.
In ogni caso, la vicenda che ha visto protagonista Cesare Prandelli è lo spunto per effettuare un’analisi più ampia su ciò che richiede oggi lo sport professionistico ai più alti livelli, non solo nel calcio. Pochi giorni fa, al termine della Coppa del Mondo, la sciatrice azzurra Federica Brignone ha manifestato pubblicamente l’intenzione di mollare tutto, denunciando di non divertirsi più e di essere stretta nella morsa della pressione.
I casi tra gli sportivi, però, sono molteplici e sembrano aumentare. Tom Dumoulin, ciclista olandese di fama internazionale, ancora giovane, a inizio anno ha comunicato l’esigenza di una pausa dall’agonismo che assomiglia tanto a un ritiro, manifestando motivazioni del tutto simili alla nostra Federica. E più indietro nel tempo possiamo parlare del tecnico Arrigo Sacchi, incapace di reggere la panchina del Parma, dopo aver giocato finali mondiali e vinto Coppe Campioni alla guida del Milan. In tempi recenti, in ambito motoristico, hanno fatto rumore i ritiri alquanto prematuri di Casey Stoner e Nico Rosberg, indipendenti da infortuni gravi o incidenti. Sono casi che portano senza dubbio a chiedersi quanto di salubre e formativo ci sia nella quotidianità di un professionista sportivo che, non solo deve mettere il proprio fisico al servizio di uno scopo prestazionale, ma è portato anche a sacrificare la totalità delle proprie energie e della propria vita, dedicando per diversi anni anima e corpo a un’unica missione. Nulla di strano se non fosse che il risultato sportivo, una volta che lo si guarda con neutralità e distacco, appaia quantomai effimero e vuoto, specie se si prescinde dagli effetti economici che esso stesso produce. Quanto di sano e educativo c’è nel sacrificare gli affetti e la costruzione della propria esistenza per un qualcosa di effimero? Una domanda alla quale è legittimo che ognuno possa dare la propria personale risposta.
Per un professionista il senso di questo sacrificio risiede senza dubbio anche nel corrispettivo, spesso ingente, che riceve, ma per il giovane, l’amatore e il dilettante, il ragionamento non regge. Il rischio reale e tangibile è quello che questi ultimi, nel vano tentativo di prendere spunto dai propri beniamini, distorcano le priorità della propria vita, attribuendo allo sport un valore talmente alto da perdere di vista il dovuto equilibrio. Per coloro che tra questi dovessero un domani diventare il nuovo Valentino Rossi poco male, per gli altri, però, tutto questo può tramutarsi in un dramma.
Occorre, dunque, tornare a valorizzare il percorso che porta ai risultati e non i risultati stessi. Occorre far comprendere, specie ai giovani, che la vita dello sportivo non è un privilegio, sebbene sui social sembri proprio così, ma che il conto, prima o dopo, si presenta. Cesare Prandelli, così come tutti gli altri che come lui hanno prematuramente alzato bandiera bianca rispetto ai sacrifici e alle pressioni del professionismo, ci ha nuovamente manifestato il vero lato umano dello sport. Ci ha denunciato che non è per tutti, anzi, che sempre meno persone sono adatte al vertice e che, forse, questo sport, così robotico, industriale e scientifico, è sempre meno adatto ai moderati, ai sensibili, agli onesti. Alle brave persone come Cesare Prandelli.
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