Ha sorpreso un po’ tutti e destato preoccupazione l’uscita a gamba tesa di Joe Biden sul presidente della Russia. Quell’«I do» in risposta alla domanda del giornalista dell’ABC George Stephanopouolos che gli chiedeva maliziosamente «Lei pensa che Putin sia un killer» è un’uscita che nessuno onestamente si aspettava da quello che – erroneamente – veniva considerato da più parti come un moderato alla Casa Bianca.
E invece, dopo gli anni tutto sommato pacifici (ricordiamo che non c’è stata nessuna missione militare USA all’estero nei quattro anni della Presidenza Trump, se si eccettua l’eclatante uccisione del generale iraniano Soulemani in Iraq nel gennaio 2020), con anche alcuni successi diplomatici di rilievo, come la distensione dei rapporti con la Corea del Nord e gli Accordi di Abramo fra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrain, la presidenza Biden inizia subito con quella che potremmo definire “nostalgia da Guerra Fredda”. Anche se, a dirla tutta, anche allora nessun presidente USA si era mai permesso di sostenere, anche solo velatamente qualcosa di simile a quanto affermato da Biden. Il più “coraggioso”, in questo senso, era stato Ronald Reagan che aveva definito l’allora URSS l’Impero del Male, salvo poi sedersi al tavolo con l’allora segretario del Partito Comunista Russo, Mikhail Gorbaciov, e stipulare importanti accordi di demilitarizzazione e distensione. Che, ricordiamo, portarono insieme a molti altri fattori alla caduta del Muro di Berlino e al dissolvimento dell’Unione Sovietica.
Ma perché Joe Biden ha voluto incrinare oggi, in questo modo apparentemente grossolano, i rapporti diplomatici con la Russia? Ai più la sua è sembrata l’uscita di un “vecchio pazzo”. Si sprecano, in questo senso, i commenti, fra cui spicca quello piuttosto tranchant di Marcello Veneziani che dal suo blog invoca subito un intervento per fermare Biden. Ma in generale sono in moltissimi a parlare, sui social e nei siti specialistici, addirittura di demenza senile o, nella migliore delle ipotesi, di emotività mal gestita dal presidente a stelle e strisce, che agirebbe di impulso, senza riflettere sulle conseguenze delle proprie parole. A ben pensarci, però, appare davvero improbabile che tutto questo sia stato dettato solo dal caso e da una frase “sfuggita” all’anziano neopresidente (78 anni già compiuti) o comunque da vecchi rancori mai sopiti e usciti di bocca senza filtro. D’altronde le calunnie al figlio di Biden architettate dal trio delle meraviglie Putin-Trump-Giuliani risalgono all’altro ieri, non a secoli fa. Lo scopo era quello di condizionare le elezioni di novembre, ma è ovvio che, dal punto di vista di Biden, in quel caso si sia esagerato. La famiglia è sacra, si sa. In Italia come in Pennsylvania.
In realtà sappiamo bene come a questi livelli sia davvero difficile che le parole utilizzate in contesti ufficiali e che possono avere un effetto detonatore non siano state prima pesate, valutate e scelte accuratamente. L’utilizzo della parola “killer” rivolta al numero uno di una super potenza politica, economica e militare come la Russia, insomma, è una precisa scelta di comunicazione e un modo per dare un avvertimento concreto non solo al diretto interessato, ma a tutti gli alleati degli Stati Uniti. I quali, negli ultimi quindici anni, hanno rivolto il loro sguardo commerciale e politico sempre più a Est che a Ovest, accentuata recentemente anche dalla politica economico-commerciale da “America First” del predecessore dello stesso Biden, Donald Trump. E non è un caso se oggi Berlino, Parigi ma più in generale la stessa Bruxelles guardino in pari misura ai rapporti con la Cina e la Russia, da una parte, e a quelli con gli Stati Uniti, di certo non ai massimi storici, dall’altra. Il principale partner dell’Europa, insomma, non è più l’Aquila americana, che per rimettersi al centro del sistema punta tutto sul tema dei diritti e della correttezza. A cui l’Europa, per tradizione culturale, non può proclamarsi – almeno a parole – indifferente. Un modo, quindi, per marcare nuovamente il territorio. Ci sono, peraltro, risvolti etici importanti nell’uscita di Biden, che nella stessa intervista ha parlato anche di Arabia Saudita (altro storico alleato statunitense) a cui sono stati inviati analoghi “avvertimenti”. Insomma, il democratico si vuole proporre come un presidente di rottura non solo rispetto a quanto fatto da Trump, ma anche rispetto a quanto fatto da tutti ipPresidenti USA negli ultimi trent’anni, da George W. Bush senior e Clinton in poi. È vero che già con Obama i rapporti con la Russia di Medvedev (il “fantoccio” di Putin) non erano stati idilliaci, ma da qui a voler tornare indietro fino al clima da precaduta del Muro di Berlino ce ne passa.
Prendersela con Putin, peraltro, appare un’iniziativa a dir poco “didascalica”. Un po’ come voler colpire il “piccoletto” (perché la Russia, diciamocelo chiaramente, non è più da tempo il principale rivale degli USA e fa molta meno paura) per avvertire il “grande”. Il grande, in questo caso, è ovviamente la Cina di Xi Jinping, che in quanto a democrazia e diritti civili calpestati non è seconda a nessuno. Gli esempi, in questo senso, si sprecano: dalla rivoluzione studentesca repressa con la violenza ad Hong Kong ai campi di concentramento degli Uiguri passando per la politica repressiva in Tibet. La Cina e Putin, si sa, faranno spallucce. Putin ha risposto per il momento con un infantile “Chi lo dice sa di esserlo”. Manca solo l’intramontabile “specchio riflesso” e il quadro a quel punto sarà completo. Diciamo, però, che se Trump aveva cercato, grazie alle proprie buone relazioni, di attrarre verso di sé l’Orso russo, Biden con questa iniziativa lo spinge direttamente nelle braccia del Dragone cinese, per un’alleanza che un tempo era soprattutto ideologica e oggi soprattutto economica e che può diventare davvero devastante. L’Europa si trova suo malgrado a un bivio. Un àut àut che non lascia presagire nulla di buono sul piano economico, ma che forse imporrà scelte finalmente non diplomatiche e più decise sul campo dei diritti civili. Non che gli USA ne siano stati mai un grande esempio, ma almeno questa mossa di Biden costringe il mondo a confrontarsi con la propria coscienza. E questo, probabilmente, non è proprio un male.
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