“Cosa resterà di questi anni Ottanta?” intonava tempo fa Raf in occasione di una kermesse sanremese. Oggi, a Verona, mutuando il testo di quella canzone, si potrebbe tranquillamente cantare “Cosa resterà di questo Piano Folin?”, il celebre progetto dell’omonimo architetto e commissionato dalla Fondazione Cariverona, presentato un paio d’anni fa in pompa magna e in grado, nelle intenzioni dell’autore, di rivoluzionare letteralmente la concezione di “centro storico” a Verona. Di quel piano, però, oggi non sembra essere rimasto poi molto, se non forse la parte dedicata alla speculazione edilizio-alberghiera che non poche perplessità lascia ai cittadini e ai rappresentanti del settore. I presupposti esistenti all’epoca, ad esempio, per fare dell’ex sede di Unicredit – nella centralissima via Garibaldi – un grande albergo cinque stelle superior da 140 camere sembrano definitivamente decaduti. Lo stesso architetto Folin, infatti, poneva per la realizzazione effettiva di quella parte del progetto una sorta di conditio sine qua non nella realizzazione di una grande sala per conferenze da 1800 posti, sala che al momento non pare più una priorità della stessa Fondazione Cariverona. In sostanza, evidenziava già a suo tempo lo studio Folin, la realizzazione di un nuovo grande albergo negli edifici dell’isolato ex Unicredit sarebbe difficilmente sostenibile per la città senza che prima, o quanto meno parallelamente, venisse realizzato quello che lo stesso studio Folin definisce arricchimento funzionale del centro, cioè un’operazione in grado di attirare nella città turismo nuovo e diverso da quello già esistente. Evidentemente non sufficiente per supportare, altrimenti, la costruzione di qualsiasi tipo di nuovo mega-albergo.

Una mappa del centro storico di Verona con evidenziati alcuni degli edifici interessati dal Piano Folin

Già prima dell’avvento della pandemia, le perplessità in relazione alla prevista sala conferenze non erano poche, perché comunque sarebbe risultata a dir poco sproporzionata rispetto alle esigenze cittadine, considerando oltretutto che la città già dispone della grande sala congressi della Gran Guardia in piazza Bra. Che a sua volta, a dirla tutta, rappresenta un’anomalia, considerata l’attuale tendenza a creare i centri-congressi nelle vicinanze di aeroporti o snodi autostradali e non centro nelle zone storiche e inevitabilmente fragili delle città, peraltro nemmeno dotate di un numero sufficiente di parcheggi. Verona, poi, ha altri Congress-center di grandi dimensioni in Fiera e al Cattolica Center, che hanno dato sempre risposte più che all’altezza al “fabbisogno” congressuale cittadino. Insomma, quell’idea faceva già acqua a suo tempo, ma a maggior ragione oggi che la pandemia ha reso ancora più inutile un’eventuale sala congressi di quelle dimensioni ubicata in pieno centro storico a Verona, a due passi da Piazza dei Signori e Piazza Erbe, appare evidente a tutti che l’operazione non avrebbe più alcun senso. E non a caso infatti – anche se non ancora confermato ufficialmente – di sala conferenze non se n’è più parlato e più di una fonte sostiene che ormai dell’iniziale Piano Folin sia rimasta ormai soltanto l’idea dell’albergo. Che però, a sua volta, secondo quanto sostengono Federalberghi e Confcommercio Verona, non ha più alcun senso. “Senza un piano e senza un disegno, l’intento originario verrebbe annichilito, spezzettato, svilito e ciò che rimarrebbe apparirebbe solo una mera speculazione immobiliare, ben diversa dall’obiettivo originario” sostengono infatti Giulio Cavara di Federalberghi (recentemente nostro ospite a “Succede alle 31”) e Paolo Arena di Confcommercio in una conferenza stampa indetta per presentare alle istituzioni e alla città le proprie perplessità. Non quindi una preclusione tout court nei confronti di un piano che – qualora fosse stato effettivamente ben disegnato e realizzato – potrebbe, chissà, anche portare benefici a tutta la città, ma preclusione, quella si, nei confronti di una situazione che rischia di sfuggire di mano, soprattutto alla luce dell’intenzione emersa di utilizzare un Decreto come lo “Sblocca Italia” per accelerare l’iter burocratico e far così atterrare questa sorta di “astronave” a cinque stelle nel cuore storico di Verona. Premesso che il Decreto in questione, varato all’epoca del Governo Renzi, riguarda soprattutto opere come aeroporti, ferrovie e autostrade, ma anche l’edilizia scolastica, gli ecobonus e l’efficientamento antisismico, ma non parrebbe riguardare provvedimenti come quello inerente al Piano Folin e alla rivoluzione del centro storico di Verona, legato a un PAT che ha precisi vincoli e che prevede, per evitare la desertificazione della parte più nobile e fragile della città, l’impossibilità di aggiungere attività ricettiva alberghiera all’interno dell’ansa dell’Adige. E questo, peraltro, mentre si moltiplicano i progetti di ulteriori alberghi in altre zone della città. Basterebbe ricordare che nella Variante 29, che abbiamo presentato recentemente in una diretta in streaming insieme all’Assessora all’Urbanistica Ilaria Segala, i progetti dedicati a nuova ricettività alberghiera sono molteplici: da quello in Largo Perlar, davanti al “Bauli”, al complesso di ben tre diversi alberghi in ZAI alla Ex Manifattura Tabacchi, per un totale di circa 300 camere, da quello previsto all’interno del cosiddetto “Central park” ex scalo merci ferroviario a quello previsto nell’ex area Fedrigoni, da quello a San Michele Extra nell’ex area Tiberghien a quello all’interno del New Arena Stadium, l’impianto sportivo che verrà costruito al posto dell’attuale Marcantonio Bentegodi. In un momento storico in cui – anche a prescindere dalla pandemia da Covid-19 che ha di fatto totalmente azzerato il turismo a Verona, appare già comunque sovradimensionata.

Un momento della conferenza stampa. Al centro il Sindaco di Verona Federico Sboarina

Il centro storico di Verona è saturo di alberghi: anche volendo considerare solo quelli sopra la linea dell’Adigetto, sono almeno 15, più del doppio di quelli considerati nello studio Folin. E tre di questi alberghi (per un totale di quasi 200 camere) sono 5 stelle (e ad essi è in procinto di aggiungersi un quarto in esito alla ristrutturazione di un 4 stelle attualmente in corso). Lo studio, inoltre, non riporta la situazione dell’extra alberghiero in centro storico, che conta circa 2.600 appartamenti in locazione turistica, cui si aggiungono ancora bed&breakfast e alloggi turistici (Fonte: Airbnb, Booking.com). I numeri forniti durante la conferenza stampa – a cui ha partecipato anche il Sindaco di Verona Federico Sboarina – parlano di un totale di 69 alberghi attualmente esistenti a Verona, che corrispondo a circa 3.600 camere. L’occupazione media è del 79% in centro e del 62% fuori dal centro e non raggiunge mai il 100%, nemmeno nei periodi di picco massimo in altissima stagione. E questo attenendosi ai dati del 2019, quindi del mercato pre-covid, rilevati da H-Benchmark, in un’annata di crescita e di mercato particolarmente buono.

In base ai dati reali rilevati da Confcommercio Verona e Federalberghi Verona, l’occupazione media delle camere a Verona è del 79% in centro e del 62% fuori dal centro

Insomma, una situazione che appare già ben lontana dall’essere soddisfacente per gran parte degli albergatori veronesi, messi in allarme dalle iniziative che potrebbe ulteriormente abbassare il livello di qualità, da una parte, e innalzare quello di concorrenza in un momento storico in cui l’unità di intenti e il confronto fra le parti avrebbe certamente un valore ancora più importante. Per questo, sostengono gli organizzatori,  si è voluto creare con l’amministrazione questo “punto di partenza per dare il via ad un ampio confronto con le parti economiche, gli Ordini, le associazioni, con il coinvolgimento della cittadinanza oltre che con la stessa Fondazione Cariverona”. Una collaborazione che per Federalberghi e Confcommercio deve partire innanzitutto da dati aggiornati e affidabili, valutando le reali opportunità per non inflazionare ulteriormente un mercato che già prima dello scoppio della pandemia evidenziava preoccupanti segnali di cedimento. I provvedimenti, inoltre, devono essere intrapresi all’interno di un disegno generale, mettendo non solo mano a un nuovo PAT e conseguentemente a un nuovo piano degli interventi, ma escludendo anche singoli ed estemporanei interventi in deroga. Tutti provvedimenti che, si chiede, vengano adottati seguendo procedure trasparenti e che portino alla selezione del migliore investitore per la città. Solo in questo modo sarà possibile perseguire l’obiettivo di una crescita sostenibile e di visione contemperando le esigenze della (reale) domanda del mercato turistico con quella dei cittadini residenti e degli imprenditori del settore. 

Un messaggio, questo, che il Sindaco di Verona ha colto, almeno in parte, tanto da spingersi perlomeno a promettere, d’ora in poi, maggiore dialogo da parte della sua amministrazione con le parti in causa: «Così come nel dopoguerra, i padri nobili di Verona hanno creato lo sviluppo successivo, oggi siamo ad una identica svolta storica di rigenerazione», ha infatti affermato Sboarina. «Un processo che va a vantaggio di tutti e delle categorie economiche come quella alberghiera. Per farlo però servono velocità e sburocratizzazione. Per questo lo strumento urbanistico dello ‘Sblocca Italia’ favorisce la crescita, al contrario del Pat che avrebbe tempi burocratici biblici. Non a caso il legislatore ha creato lo ‘Sblocca Italia’ perché il mondo va veloce e i vari anni necessari per una variante urbanistica tolgono competitività alle città. Lo strumento urbanistico rende operative le scelte politiche, e sul Piano Folin sarà il Consiglio comunale a esprimersi facendolo sulla base dei documenti e dei progetti concreti. È in corso l’istruttoria degli uffici sulle richieste, che devono essere in linea con la visione che ho appena detto. Parallelamente – ha concluso il sindaco – c’è il tempo per il confronto con chi come voi vuole fare squadra per lo sviluppo di Verona”.

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