I social l’hanno bocciato senza appello e si sono letteralmente scatenati nelle critiche negative, ma il monologo che la giornalista Barbara Palombelli ha dedicato alle donne durante la quarta serata del Festival di Sanremo è qualcosa che dovrebbe farci profondamente riflettere.

Quel monologo confuso sul gender gap

Secondo Aristotele la sostanza è formata da una materia e da una forma che, operando insieme, costituiscono il sìnolo. Quindi la forma si configura come atto, mentre alla potenza corrisponde la materia. Il bronzo è potenza della statua, dunque. E se le parole sono potenza del pensiero, viene da un lato da chiedersi quale sia esattamente il pensiero che ha ispirato le parole di Palombelli.

Dall’altro, quali siano stati i criteri che hanno spinto la televisione pubblica ad affidare una riflessione collettiva importante, come quella sul gender gap, alle parole sciatte e confuse pronunciate l’altra sera dalla giornalista sul seguitissimo palco dell’Ariston.

«È una serata speciale che voglio dedicare a tutte le donne italiane, alle mamme, alle nonne perché hanno un compito delicato, quello di tenere il Paese, perché tengono la scuole aperte attraverso i tablet, tengono le famiglie tranquille, accudiscono», esordisce Palombelli nel suo monologo sanremese.

E qui c’è il primo di una serie di inquietanti equivoci: secondo lei, l’Italia sta in piedi grazie alle mamme e alle nonne che «accudiscono e tengono le famiglie tranquille».

Rassicurare è parte dello show

Ora, andrebbe chiarito innanzitutto cosa si intenda per “tenere il Paese”: non un cenno al lavoro delle donne, che svolgono qualunque professione a qualunque livello, dallo sport alla finanza, dalla ricerca alla politica. Non un cenno alle difficoltà che le donne che lavorano incontrano ogni giorno, per varie e complesse ragioni. No. Palombelli sceglie di far passare il concetto che il massimo contributo delle donne alle tenuta dell’Italia corrisponda ad accudire la famiglia.

E detto così, dal palco della trasmissione più seguita dal pubblico sulla tv nazionale, parrebbe un autogol a dir poco fantozziano da parte di chi si definisce “femminista”. Oppure, come disse già Papa Pio XI (Achille Ratti): “A pensar male del prossimo si fa peccato, ma spesso si indovina”. La scelta stessa di affidare a Palombelli proprio quel monologo è ontologica: borghese, rassicurante, ribelle sì, ma con il freno a mano tirato, insomma, un buon compromesso riguardo all’immagine della donna da veicolare sulla televisione pubblica. Opzionato da un club di soli uomini, naturalmente.

Un doppio salto carpiato tra ruoli ed emancipazione

Seguono dieci minuti in cui la giornalista ripercorre la sua emancipazione tra gli anni Sessanta e Settanta per diventare indipendente e autonoma nel mondo del lavoro. «Alle donne italiane voglio raccontare chi sono. Sono stata una ragazza che amava i Beatles e i Rolling Stones e che ascoltava di nascosto De Andrè. Mio padre invece amava Sanremo. Lo guardavamo insieme e lui voleva diventassi come Gigliola Cinquetti: un filo di perle, il matrimonio, una vita tranquilla.»

E qui il telespettatore rischia il corto circuito mentale: ma non si era appena detto che il Paese lo tengono le mamme e le nonne? Mistero. Ma al di là del dubbio nesso logico, la sostanza è che non c’è nulla di male nel desiderare per sé un filo di perle, il matrimonio, una vita tranquilla. Il mal celato snobismo contenuto in queste parole è pericoloso, perché vorrebbe condannare le donne ad un’eterna insoddisfazione auto-imposta.

Sono parole che veicolano l’assurda pretesa che il valore di una donna sia direttamente proporzionale al suo grado di ribellione, anche alla felicità. Come se una donna realizzata nel matrimonio e nella famiglia valesse meno di un’altra.

Anni di lotte dei movimenti femministi, migliaia di piazze in tutto il mondo, centinaia di libri dedicati alla libertà delle donne, per sentirci dire che siamo passate da una schiavitù all’altra, e ritorno. No, Barbara Palombelli. Avete lottato, e le donne continuano a farlo, proprio perché ognuna sia libera di sceglierlo o meno, quel filo di perle: non diventerà un cappio al collo, come lei vorrebbe suggerire.

La ribellione bonsai del sorriso

«Volevo fare l’amore ma volevo anche lavorare. Erano gli anni Settanta e oltre a lavorare bisognava lottare per i diritti, perché voi ragazze, voi donne giovani i diritti li avete trovati già fatti, e noi invece li abbiamo dovuti costruire anche andando in piazza. Adesso tocca voi a difenderli, però con quel sorriso determinato che sapete di avere. Ragazze, la chiave del futuro è in queste parole: ribellatevi sempre. Tanto non andremo mai bene, ci criticheranno sempre, ci umilieranno, ci metteranno le mani addosso, non saremo mai perfette, non andremo mai bene ai mariti, padri, fratelli.»

E qui arriviamo al passaggio più insidioso del monologo perché la giornalista stabilisce, tra le righe, che la lotta per i diritti delle donne sia sostanzialmente conclusa: l’abbiamo fatta noi anche per voi, ci racconta, giovani donne che i diritti ve li ritrovate già fatti. L’unica cosa che vi si chiede è semmai di difenderli «con quel sorriso determinato che sapete di avere».

Tradotto: non mi diventate tutte come quelle femministe sempre arrabbiate con i pantaloni larghi e i capelli corti, che non hanno ancora capito che gli uomini vanno gestiti col bastone e il sorriso, e li porti dove vuoi.

Ribellatevi sì, ma senza esagerare. Se la situazione si mette male, tutte in retrocessione col sorriso ammiccante da semiparesi facciale che “sapete di avere”.

Barbara Palombelli sul set del programma Forum, foto ForumMediaset

Una predica laica di cui non sentivamo il bisogno, ma soprattutto un altro pericolosissimo stereotipo da mantenere vivo nell’immaginario collettivo: la donna che non sa usare il richiamo sessuale basico della specie sbaglia strategia fin da principio. Insomma, perché far sempre tanta fatica con le parole, le azioni, la lotta, quando con un sorriso potremmo, che ne so, guadagnare una posizione in azienda, o calmare un marito nervoso, o evitarci la multa per il parcheggio?

Un condensato di banalità

«Studiate fino alle lacrime e lavorate fino all’indipendenza: prima o poi funziona. Quando mi chiamarono al Corriere della Sera, capii di avercela fatta». Anche qui Palombelli costringe il telespettatore attento ad un surreale volo pindarico che termina niente meno che nella celebre favola di Cenerentola. Palombelli ha fatto la cameriera, la commessa e la venditrice porta a porta, ma ha capito di avercela fatta solo quando l’hanno attestato quelli del Corriere della Sera.

Capito, donne e ragazze di tutte le latitudini del pianeta? Non c’è valore per voi al di fuori di quello che altri vi attribuiranno. Non sarete brave nel fare quello che sceglierete, né lo farete con gioia. Sarete felici solo quando qualcun altro, in genere un uomo, stabilirà che siete abbastanza brave. Prima di allora, solo lacrime e sangue. Un concentrato di banalità, pregiudizi e luoghi comuni difficile da ipotizzare come “casuale”, non fosse che per la portata economica delle sponsorizzazioni del mega-evento di Sanremo.

Una cosa importante però ce l’ha ricordata Palombelli col suo monologo dell’altra sera: la lotta delle donne per una reale autodeterminazione è evidentemente ben lontana dalla fine. La scrittrice e femminista Simone de Beauvoir ce lo disse già quasi settant’anni fa: “Non dimenticate mai che sarà sufficiente una crisi politica, economica o religiosa perché i diritti delle donne siano rimessi in discussione. Questi diritti non sono mai acquisiti. Dovrete restare vigili durante tutto il corso della vostra vita.”

Ma forse Palombelli era troppo occupata nelle piazze per saperlo.

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