È un periodo povero per la cronaca politica: il governo Draghi, per non creare increspature nella maggioranza, ha dato un posto a tutti – applicando il manuale Cencelli come neanche ai tempi d’oro del Pentapartito – sicché le polemiche politiche si sono di molto placate. Ecco quindi perché brilla come un diamante scadente l’endorsement del segretario del PD, Nicola Zingaretti, per il programma di Barbara D’Urso, “Live – Non è la D’Urso”, che pareva a rischio chiusura. Programma che aveva ospitato lo stesso segretario in più occasioni.

Il contestato tweet di Nicola Zingaretti

Perché tutte queste critiche? Siamo di fronte al solito snobismo della sinistra intellettualoide che disdegna panes et circences della Fininvest e che guarderebbe solo Rai3 con Bianca Berlinguer, non perché lei sia questo mostro di simpatia ma piuttosto perché ha un cognome pesante nella memoria del PCI e magari per farsi una risata quando Corona si presentava troppo sbronzo?

Probabilmente il Zingaretti sbagliato meglio avrebbe fatto a non immischiarsi in faccende che non lo riguardano e occuparsi di più della spartizione dei sottosegretari, pessima per il PD, ma la questione in sé è seria. Il fatto che Zingaretti stimi il programma della D’Urso come strumento di informazione e formazione politica della cittadinanza è significativo – e molto – di una mutazione in atto da molto tempo. Una mutazione che, a partire dalla consapevolezza di Enrico Berlinguer del ’73, ovvero che, dopo i fatti del Cile e il golpe di Pinochet, un governo della sinistra per via democratica in Italia sarebbe stato impossibile nel contesto della guerra fredda, ha comportato continui ravvedimenti, aggiustamenti, spostamenti al centro specie dopo la caduta del muro del 1989.

Il risultato è che il PD oggi rivendica il Programma dei socialisti europei che afferma: “non può esserci alcuna decisione politica senza controllo democratico, nessuna Unione economica senza un’Unione sociale e nessuna Unione sociale senza un bilancio comune che sostenga gli investimenti e riduca le disuguaglianze all’interno dell’Unione europea”. Tutto molto bello; peccato, però, che il PD abbia accettato senza riserve il liberismo economico – incensando la globalizzazione come un’opportunità – e così si parla del niente perché il Capitalismo sostituisce progressivamente il cittadino con il consumatore (Bersani docet) ed esautora gli Stati, oramai ultimo baluardo ai diritti umani.

Il PD di Zingaretti, ma non solo il suo, da anni si differenzia dalla destra solo per questioni identitarie che servono a compattare le truppe (l’immigrazione, le differenze di genere, la politica dal basso) ma è tutta una posa: da anni vengono eletti Sindaci e Governatori di sinistra con programmi improntati a legalità e “decoro” che desterebbero l’ammirazione di Giancarlo Gentilini, il già sindaco sceriffo di Treviso; la condivisione del principio della parità di genere si può valutare sia con lo spazio dato alle donne nei ministeri (nessuno) e anche nella recente intervista di Elisa La Paglia dalle colonne di questo giornale, che dimostra che il PD, come Forza Italia e recentemente anche la Lega in salsa salviniana, è un’oligarchia chiusa e “finché la fedeltà alla corrente verrà prima del merito, il risultato non cambierà.”

Ecco dunque. Il riconoscimento che la D’Urso ha svolto un pregevole lavoro di divulgazione politica, che fa ridere anche solo a scriverlo, diventa reale necessità per il PD che oggi ha bisogno di slogan identitari più di Forza Italia, della Lega e di Fratelli d’Italia: il contenuto politico è indistinguibile nella sostanza e, come visto, diventa prioritario perciò scannarsi su questioni di principio (mentre sui soldi, come visto con la vicenda del Governo Draghi e del Recovery Fund, i contrasti si risolvono in fretta).

La sinistra che conta ha capito insomma che le barzellette di Berlusconi impattano più di mille dichiarazioni; che una comparsata da Vespa vale più di un comizio davanti la fabbrica. Il più sveglio di tutti (senza ironia), Matteo Renzi, l’aveva già capito a suo tempo presentandosi dalla De Filippi vestito alla Fonzie di Happy Days per portare a casa il pubblico più giovane. Andò a fascinare gli “Amici di Maria” con l’orizzonte ideale del Paese nella visione della sinistra? Certo che no. Il messaggio non conta più: conta lo slogan, il mantra da gridare ossessivamente all’infinito, la frase da riproporre ciclicamente. Giusto per rispolverare un evergreen, ad esempio, Zingaretti ora vuole che “il partito si apra al popolo”, così come diceva Nanni Moretti in Palombella Rossa (1989).

Per questo Vespa, Floris, Fazio e persino sì, la D’Urso, sono essenziali: nel vuoto pneumatico delle idee – e nel dubbio – meglio esserci e, pur non avendo niente da dire, è comunque bene occupare gli stessi spazi perché una cosa sola s’è capita: se ti vedono esisti ed esisti solo se ti vedono.

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