Il Cile di Pinochet protagonista questa sera a “Succede alle 31”
Tarcisio Benedetti, veronese, ha raccontato recentemente in un libro la sua esperienza di responsabile di una tipografia nel paese sudamericano che contribuì alla caduta del regime.
Tarcisio Benedetti, veronese, ha raccontato recentemente in un libro la sua esperienza di responsabile di una tipografia nel paese sudamericano che contribuì alla caduta del regime.
Parleremo di Cile questo pomeriggio, nell’ambito della diretta su Facebook e YouTube di Heraldo dal titolo “Succede alle 31”. Parleremo, in particolare, del golpe ai danni del presidente Salvador Allende e di tutto il popolo cileno del 1973, golpe che instaurò, grazie anche alla collaborazione degli Stati Uniti di Nixon e Kissinger, la sanguinosa dittatura militare di Augusto Pinochet. Una dittatura che durerà fino al 1990 e che si macchierà – come peraltro abitudine di tutte le dittature – di crimini violenti e indicibili come la tortura, l’omicidio sistematico, la crudele sparizione di migliaia di persone (i tristemente noti “desaparecidos”) e via dicendo.
Parleremo, soprattutto, di come – anche grazie al fondamentale contributo di un tipografo veronese, Tarcisio Benedetti, che sarà nostro ospite durante la diretta e che recentemente ha dato alle stampe un libro in cui racconta quell’avventura – le organizzazioni sindacali del paese sudamericano, in collaborazione anche con quelle italiane, riuscirono nell’impresa di abbattere anni dopo quell’odioso regime. Saremo in compagnia anche dei giornalisti Agostino Mondin, ex direttore di Radio Popolare Verona, e Maurizio Corte, che in occasione del trentennale del golpe – nel 2003 – visse in Cile alcuni mesi per raccontare ai lettori del quotidiano L’Arena l’atmosfera a Santiago e dintorni e raccogliere le testimonianze dell’epoca. L’appuntamento è per le 18.31.
In quello stesso periodo intervistammo, nell’ambito del Festival LatinoAmericando che si teneva all’epoca nei pressi dello Stadio, il celebre gruppo cileno degli “Inti-Illimani”, di passaggio in quei giorni nella nostra città per il loro tour europeo. Compositori, grandi innovatori musicali, viaggiatori instancabili, da oltre cinquant’anni gli “Inti-Illimani” – con formazioni che si sono inevitabilmente rinnovate nel tempo – portano in giro il tradizionale sound cileno, un mix di musica sudamericana ed europea. Parlammo, in particolare, con uno dei fondatori e leader del gruppo, Jorge Coulon, con cui fu affrontammo il doloroso tema della dittatura.
Coulon, in questi giorni (eravamo nel settembre 2003, ndr), si celebra il trentennale del golpe militare ai danni di Salvador Allende e di tutto il popolo cileno. Ci racconta quei tragici avvenimenti?
«Sono stati momenti terribili, che rimarranno incisi con il fuoco nella memoria collettiva del nostro popolo. Ma questo è un bene, perché solo attraverso il ricordo è possibile evitare di commettere nuovamente gli stessi errori del passato.»
In cosa è cambiato, in questi ultimi trent’anni, il suo Paese?
«Il Cile è cambiato moltissimo, ma bisogna sottolineare che tutto il mondo da allora è cambiato, soprattutto per quanto riguarda il settore delle comunicazioni, cosa che ha contribuito molto alla fine delle dittature sudamericane. I mutamenti radicali che si sono registrati sono sicuramente stati causati, per buona parte, dalla odiosa dittatura, successiva al golpe, che per ben 17 anni abbiamo sofferto. La gente, oggi, ha ancora paura, come mai era avvenuto prima di quel fatidico 11 settembre 1973.»
Cosa vi ha lasciato, in eredità, quell’esperienza?
«Questi traumi sociali sono profondi e penso che passeranno molte generazioni prima che le persone riescano a smaltire questo sentimento di angoscia e timore. In fondo, però, nonostante le tante trasformazioni politiche e sociali di quel periodo, tante altre cose sono rimaste intatte. A cominciare dal calore umano, che in Cile non manca e non mancherà mai.»
All’epoca, insieme al cantante Victor Jara, rappresentavate la “voce del popolo”. Con le vostre composizioni riuscivate ad esprimere molto bene i sentimenti dell’orgoglioso popolo cileno. Poi Jara venne assassinato dai militari e il vostro sodalizio fu violentemente troncato. Quale il ricordo serbate del vostro amico?
«Victor è stato ucciso quattro giorni dopo il bombardamento della Moneda (abitazione del presidente della Repubblica Cilena, ndr) dove risiedeva Allende. Purtroppo, al contrario di noi, non ha avuto molto tempo per dissentire nei confronti di Pinochet e dei suoi compari. Abbiamo visto Victor, con il passare del tempo, diventare un’icona, un emblema, ma noi non lo riconosciamo come un monumento, come una figura mitica.»
Cosa intende?
«Abbiamo vissuto tante avventure insieme, ed è stato un nostro amico. Era uno di noi. Aveva le debolezze e i pregi che, ovviamente, ha la gente normale. Victor Jara ha dato un contributo molto importante alla rivoluzione musicale che c’è stata in Cile negli anni Sessanta. È stato un pioniere, fra i più avanguardisti. Ha avuto una morte terribile e il rischio, è che essa diventi più importante della sua stessa vita stessa.»