2021, inizia l’anno di Dante
Il Sommo Poeta, oltre che molto legato a Verona, è stato genio artistico poliedrico e forse, forse, anche qualcosa di più...
Il Sommo Poeta, oltre che molto legato a Verona, è stato genio artistico poliedrico e forse, forse, anche qualcosa di più...
Inizia oggi il 2021, l’anno dantesco per eccellenza: sono infatti passati oramai 700 anni da quel 14 settembre 1321 in cui a Ravenna, presso la corte di Guido Novello da Polenta, moriva il Sommo Fiorentino, forse di malaria. Un autore, Dante Alighieri, che ha segnato la cultura letteraria italiana sino a tutto il Novecento e ha pure modellato l’immaginario dell’aldilà nella religione cristiana. Nato a Firenze nel 1265, ma poi cacciato dalla sua città natale per le divisioni politiche interne fra Guelfi e Ghibellini e poi fra Guelfi Bianchi e Guelfi Neri, Dante ha peregrinato per tutto il nord Italia legando a sé la città di Verona in modo indissolubile. E lo fece vivendoci dapprima per un breve periodo (dal 1303 al 1304 ospite di Bartolomeo della Scala) e poi molto più a lungo (dal 1312 al 1320, ospite di Cangrande). Inoltre sempre a Verona il 20 gennaio 1320 tenne una sorta di conferenza scientifica dal titolo Quaestio de forma et situ aquae et terrae, ovvero la “Questione sul luogo e sulla forma dell’acqua e della terra” nella chiesa di s. Elena (accanto al Duomo). Infine, scrisse l’Epistola XIII a Cangrande I della Scala, con la quale gli dedicava la terza Cantica della Divina Commedia, il Paradiso.
Il suo influsso condizionante e ispiratore è rimasto nei secoli molto intenso. Molto più di quanto pensiamo, se ancora nei primi decenni dell’ ‘800 un nostro concittadino, l’abate Antonio Cesari, insieme a molti altri eruditi italiani propugnava un ritorno a modelli di scrittura del Trecento, ovvero ispirandosi alle scelte lessicali dello stesso Dante, ma anche di Boccaccio e Petrarca. Ma ancora nel ‘900, il segno di Dante lasciava una traccia vivida in Montale, Campana, Ungaretti e moltissimi altri.
Insomma, a 700 anni di distanza, la forza fascinatrice dell’autore della Commedia è ancora ben viva e anche Heraldo, nel corso del 2020, gli ha riservato molto spazio, in particolare con gli appuntamenti mensili di Mirco Cittadini e il suo Dante’s Speech, dodici appuntamenti in cui lo studioso ha dialogato con Dante interrogandolo sulle inquietudini umane e sui problemi che viviamo ogni giorno.
Un autore poliedrico, sempre in movimento: si cimenta in trattati filosofici, scientifici, letterari, spesso incompiuti. Imposta la questione di una lingua per l’Italia, che terrà banco per secoli e che sarà risolta solo dalla diffusione della televisione nelle case degli italiani negli anni ’50. Un genio multiforme, inquieto e curioso, forse fin troppo, tanto che qualcuno suppose che fosse stato addirittura un mago o un alchimista: il suo vasto sapere, la sua erudizione, la fama della sua opera, il contenuto stesso della Divina Commedia contribuirono a far crescere l’idea che quest’uomo avesse conoscenze particolari, come attesta pure il Boccaccio, grande amante della sua opera e fra i suoi primi biografi.
È probabilmente una leggenda che però poggia su qualche elemento. Nella deposizione del milanese Bartolomeo Canolati del fu Uberto – anno 1320, atti rogati dal pubblico notaio di Avignone e segretario della commissione inquirente sui sortilegi tentati a danno di Giovanni XXII – si dichiara che Galeazzo Visconti, mentre i due stavano andando a cavallo presso il Castri Mallei, a Piacenza, gli chiese di incantare una statua d’argento raffigurante il papa per farlo morire (una sorta di moderno voodoo, insomma). Questo papa, dice Galeazzo, è troppo partigiano, perseguita i Ghibellini e parteggia per i Guelfi. Galeazzo poi dichiara che preferirebbe che di quella faccenda se ne occupasse lui, Bartolomeo, anche se per lo stesso motivo ha già fatto venire Dante Alighieri di Firenze.
D’altronde, lo stesso Dante, nell’Inferno, XX, vv. 25-27, scrive:
Certo io piangea, poggiato a un de’ rocchi
del duro scoglio, sì che la mia scorta
mi disse: «Ancor se’ tu de li altri sciocchi?
Secondo l’interpretazione di Jacopo della Lana, parrebbe quasi che, nel verso «Ancor se’ tu de li altri sciocchi?», Dante accenni a un periodo della sua vita, all’epoca concluso, nel quale avrebbe avuto esperienze di divinazione. Una questione non del tutto chiara e chissà se in questo 2021 – che sarà caratterizzato da celebrazioni ma anche convegni, studi e conferenze – scopriremo altri aspetti nascosti della sua produzione e se magari verrà annunciato il ritrovamento di un suo scritto autografo, che tra gli esperti sta diventando quasi una sorta di ricerca del Santo Graal.
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