Il mondo del panettone artigianale in Italia è arrivato a superare quello del panettone industriale. Non per quantità, certo, ma per valore sì. Ciò significa che gli italiani, rispetto agli anni passati, stanno puntando sempre più sulla qualità e la ricercatezza degli ingredienti per il dolce natalizio, ed è un trend che di anno in anno è in continuo aumento.

In un mercato di 209 milioni di euro, infatti, ben 109 milioni sono quelli spesi per i panettoni artigianali, ovvero il 52%. Per volume, invece, ricoprono il 20% delle 26.000 tonnellate prodotte annualmente nel nostro Paese.

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I dati, usciti recentemente, si riferiscono alle vendite 2019 e sono stati elaborati da Csm Bakery Solution. Il gruppo ha infatti commissionato anche quest’anno uno studio a Nielsen, per svolgere un’indagine sulle abitudini di consumo e dinamiche di acquisto degli italiani per la scelta del panettone. La stessa indagine, uscita un anno fa, vedeva la quota dell’artigianale a 107 milioni su 217 totali, ma già in costante crescita, con un +8,4% sul 2017 (+5,3% invece sul 2018).

Qualcosa sta cambiando quindi, e lo si nota, dai dati Nielsen, soprattutto nella fascia tra i 25 e i 34 anni, sempre più orientata all’acquisto di prodotti premium e che spende in media 20,1 euro al chilo, cioè circa quattro volte il costo del panettone industriale (sempre preferito invece dagli over 50).

Il fenomeno riguarda più fattori: diminuita la regalistica “da cesto” per il panettone, il consumatore stesso sta cambiando, orientandosi, di anno in anno, maggiormente verso un prodotto di alto livello con più attenzione per le materie prime, genuine e spesso certificate come eccellenze del nostro territorio.

Pandoro artigianale: il consumatore sta tornando ai prodotti della tradizione

Un altro aspetto da valutare è l’ampliamento della scelta: dopo la crisi del settore, molti artigiani della panificazione hanno scelto di entrare nel mercato dei prodotti da ricorrenza mettendosi in gioco su una fascia intermedia, non coperta dall’industria. Questo nuovo mercato di qualità, diventato sempre più appetibile anche perché consentiva di tenere prezzi più alti, ha coinvolto quei medi e piccoli produttori che invece di rincorrere, come si tendeva a fare fino a pochi anni fa, i numeri delle produzioni industriali (con i quali era chiaramente impossibile competere), hanno deciso di orientarsi in direzione opposta.

Pochi pezzi ma materie prime sceltissime e tocco d’autore, facendo aumentare, di fatto, la concorrenza in questo nuovo segmento. Lo sviluppo del quale, oltre a far moltiplicare concorsi e premi per i migliori pandori e panettoni in tutta Italia, ha fatto aumentare l’attenzione verso l’artigianalità della panificazione, oltre che la consapevolezza dell’acquirente, con un palato sempre più “educato”.

Per osservare più da vicino le dinamiche di questo fenomeno in crescita ci siamo confrontati con tre diverse realtà artigianali veronesi, ognuna con la sua personale interpretazione della tradizione dei dolci da ricorrenza. Se il mondo della panificazione artigiana si è evoluto soprattutto per la ricerca di materie prime, un altro dato interessante è che il consumatore sta tornando sempre più a scegliere il prodotto tradizionale – ma se le variazioni sono d’autore è decisamente pronto a sperimentare.

Parlando di lievito pasta madre, l’elemento principale alla base del panettone, non possiamo non citare il “pizzaricercatore” Renato Bosco, da anni riconosciuto professionista della lievitazione ben oltre le mura cittadine. Partito da San Martino Buon Albergo con la sua pizzeria Saporè, poi arrivato in centro a Verona, ha raggiunto i palati di Torino (presso Edit) e di Milano, dove ha aperto in piazza Duomo a fine 2019.

Il veronese Renato Bosco

Il suo panettone, oltre ad aver ricevuto numerosi riconoscimenti, è da anni tra i primi dieci nelle classifiche delle testate di settore di tutta Italia.

«Nel 2000 ho fatto un corso sul panettone e ho messo a punto la ricetta per i successivi due anni, finché, nel 2006, mi sono proposto ufficialmente con il prodotto al pubblico – ci racconta Bosco -. Cinque o sei anni fa invece ho capito che era arrivato il momento di dedicarmi anche alla tradizione veronese e quindi di proporre il mio pandoro. Inizialmente ammetto che, usando io esclusivamente e da sempre il lievito madre, faticavo un po’ all’idea di lavorare con una lievitazione mista, mettendolo in etichetta (il pandoro necessita di una lievitazione sia con lievito madre che con lievito di birra n.d.r.), ma per avere le caratteristiche che ben conosciamo del pandoro, ho dovuto cedere a questo compromesso e alla fine devo dire che funziona.

La struttura del pandoro infatti è totalmente diversa da quella del panettone – continua Bosco -. Ci sono anche delle ricette in purezza, ma non danno quei risultati, quella scioglievolezza, quel sapore di burro particolare che solo il pandoro veronese ha. Per quanto riguarda invece la mia ricerca, sono in continua evoluzione e seguo molto l’andamento personale, l’umore e cosa sto sperimentando in quel periodo. Se l’anno scorso infatti ero molto centrato su tutto quello che era tropicale, legato alle terre dei ragazzi che lavorano con me, dallo Sri Lanka all’India, come cocco, mango, in un mix di sapori e scoperte, quest’anno ho sentito il desiderio di tornare all’italianità e al territorio con il mio panettone recioto e uvetta. Per il pandoro lo stesso: oltre a quello tradizionale quest’anno ho fatto qualcosa di totalmente differente, un pandoro senza lattosio. Ho sostituito il burro con un mix di olii miscelati con fibra di patata, ottenendo quel profumo e consistenza che cercavo. Chiaro che scaldandolo non si avrà il profumino di burro tipico, ma d’altronde non c’è. Il suo nome infatti è PandorZero, con zero burro».

Renato Bosco non è l’unico a sbizzarrirsi sui nomi per le sue prelibatezze – ricordiamo che solo i prodotti che seguono la ricetta originale del pandoro e del panettone, indicata dal disciplinare, possono avvalersi dell’uso del termine sulla confezione -, infatti anche la pasticcera Vanna Scattolini, titolare della pasticceria Madamadorè, ha chiamato Pandorè il suo dolce natalizio, un mix tra pandoro e panettone. Vanna, nata a Fumane, ha lasciato un lavoro che faceva da 24 anni per aprire una pasticceria e seguire la sua passione.

Il packaging natalizio di Vanna Scattolini

Inizialmente a Fumane e ora a San Pietro in Cariano, in un mondo ancora molto maschile, Vanna si è distinta in questi anni con diversi premi e posizionamenti competendo con i migliori pasticceri di tutta Italia. Vincitrice un anno fa del titolo Pastry Queen, miglior pasticcere donna al Tenzone del Panettone di Parma (vincitrice anche come miglior packaging), è stata quest’anno fra i 14 finalisti, su 320 partecipanti, nella categoria Miglior pandoro artigianale nel concorso Mastro Panettone di Bari, nonché tra le prime dieci colombe d’Italia al concorso Divina Colomba 2020 sempre a Bari.

La pasticcera Vanna Scattolini

«Quest’anno a Parma sono arrivata settima, niente podio – ammette Vanna – ma arrivare tra i primi migliori dieci in Italia è comunque una grande soddisfazione. Per i concorsi è necessaria parecchia fatica e non poco tempo per prepararsi: dai test di produzione alle spedizioni, ai costi di partecipazione. Però ci tengo molto perché è una crescita. Capisci dove migliorare, hai la possibilità di confrontarti con gli altri e le indicazioni dei giudici sono sempre preziose. È poi stata una soddisfazione arrivare in finale con un prodotto nuovo, il mio panettone al caffè. La tradizione c’è sempre, tra le mie proposte, ma quest’anno ho voglia di sperimentare: da zenzero e cioccolato fondente, mandarino e gianduia, pere e cioccolato, fino a fichi e mandorle. Da novembre fino al 21 dicembre io e il mio team, tutto al femminile, abbiamo continuato a impastare.

Impasto anche di notte piuttosto che scartare i prodotti, lavoro molto su ordinazione – continua Scattolini -. Il lievito madre va seguito, non puoi mai sapere esattamente di quanto tempo ha bisogno. Tra i vari rinfreschi dei lieviti, il primo impasto, l’inserimento degli ingredienti, la permanenza in cella e il giorno dopo, in cui non puoi sapere a che ora sarà pronto, sono almeno 36 ore di lavorazione e 24 di lievitazione. Per fare un panettone, calcolando anche l’insacchettatura, mi servono quindi più o meno tre giorni. Ma come dico sempre, “le cose buone sono lente”».

Tra le eccellenze artigiane veronesi dei lievitati, nonostante abbiano iniziato solo 5 anni fa, sono saliti in breve tempo agli onori della cronaca anche i quattro ragazzi di Infermentum, fondatori di un laboratorio artigiano immerso nella Valpantena. Francesco Borioli, Elisa Dalle Pezze, Luca Dal Corso e Daniele Massella fanno lievitati tutto l’anno e al centro del progetto c’è il lievito madre, fil rouge di tutti i loro dolci: lo fanno puntando sulla salubrità degli ingredienti e rifiutando qualsiasi additivo chimico.

I ragazzi di Infermentum

«È stata una bella scommessa, dal punto di vista imprenditoriale – ci spiega Elisa, cofondatrice e direttrice commerciale e marketing dell’azienda – siamo partiti noi quattro, ma già dal secondo anno siamo riusciti a inserire nuove persone nell’organico e ora siamo in 15 durante l’anno, in 28 per questa campagna natalizia. All’inizio eravamo concentrati più sul negozio, ma ora, anche grazie al lavoro sui social e partecipando a eventi fuori Verona, si sono creati dei nuclei di passaparola e cominciamo ad essere conosciuti, tanto che vendiamo moltissimo fuori città e abbiamo diverse richieste anche all’estero. Il nostro target è abbastanza trasversale, per lo più la fascia 40/65 anni, ma principalmente è un cliente che cerca qualità, condivide i nostri valori e ha fiducia in quello che facciamo. Lavorare con questo spirito ci ha portato molte soddisfazioni e anche diversi riconoscimenti dal settore: dalla classifica di Dissapore, al concorso della Gazza Golosa, fino alla vittoria per due volte a Mastro Panettone, che quest’anno ci ha chiesto di partecipare come giuria.

L’attenzione per la genuinità e l’autenticità per i prodotti è sempre più diffusa – continua Dalle Pezze -. Il nostro panettone più rappresentativo, fichi, mele e noci, è infatti volutamente legato a prodotti che ritroviamo d’inverno nelle case dei veronesi. A questo panettone si aggiunge poi il Tradizionale e il Tre cioccolati. Da un paio d’anni fa parte della nostra proposta natalizia anche il Monte Nuvola, il nostro pandoro “che non è un pandoro”. Fatto con fermentazione mista, ha una lavorazione a cinque impasti e viene trattato come il panettone, cioè nel pirottino e capovolto post cottura. Non usiamo quindi il classico stampo a stella, poiché l’impasto è troppo soffice e imploderebbe fuori dal forno. Invece, capovolgendolo, la maglia glutinica, raffreddandosi, fa da struttura mantenendo l’umidità all’interno. Questo gli consente di avere una shelf life più lunga e di restare bello gonfio e morbidissimo.

I panettoni e il Monte Nuvola di Infermentum

In generale gli ingredienti che utilizziamo sono il più possibile a km zero, come ad esempio il miele, o italiani: per la farina ci riforniamo a Piacenza, per i canditi in Sicilia. Per la vaniglia siamo costretti a rivolgerci all’estero (d’altronde in Italia non ce n’è) mentre per il burro in Belgio, poiché è sempre uniforme».

E non sono gli unici ad usare il burro belga.

«Il burro per tutti arriva dal Belgio – ci spiega Renato Bosco – o comunque da quei Paesi che ne valorizzano molto la produzione. È un burro nobile, da panne riposate, con l’82% di massa grassa all’interno, quindi molto ricco. Ho provato a lavorare con alcune malghe della Lessinia, in passato, ma la connotazione molto forte della stalla riemerge successivamente. Anche se i panettoni e i pandori riposano una settimana in modo che i sapori si distribuiscano, quel profumo molto intenso viene fuori, e per il cliente è difficile approcciarsi.

Noi italiani siamo bravissimi a fare i formaggi, ma se sei bravo in qualcosa è inevitabile essere penalizzati in qualcos’altro. Per gli altri prodotti: i canditi me li facevo io fino a qualche anno fa, ma servono 20 giorni per candire una scorza d’arancio. Alla fine mi sono arreso agli artigiani della canditura, oggi mi rivolgo a loro e ho la garanzia del prodotto di filiera.

Scegliere determinate materie prime – chiarisce sempre Bosco -, con costi di produzione elevati, e fare un certo tipo di cultura è difficilissimo, io ho fatto la mia parte come tutti gli artigiani di Verona, ma educare un palato consapevole non è semplice. Non sono preoccupato nel vedere che oggi l’industria dolciaria stia cercando di seguire il trend dell’artigianalità, anzi, lo trovo stimolante.

Una volta anche in pasticceria si usava vanillina al posto della vaniglia, margarina al posto del burro, per non parlare della canditura: per quanti anni abbiamo mangiato zucca candita insaporita all’arancia con la scusa che la consistenza era simile? Questo è il motivo per cui oggi nessuno vuole più canditi nel panettone, perché non sanno più com’è un candito “buono”.

Il risultato è che ora abbiamo un palato “drogato” e non siamo nemmeno più in grado di riconoscere la qualità e il sapore di una mandorla di Noto, che ha determinate caratteristiche, rispetto ad una finta, ma le persone ti dicono che gli piace di più quest’ultima. Si fa molta fatica a far passare questo concetto».

Gli fa eco Vanna Scattolini: «La margarina è bandita dalla mia pasticceria, i vecchi pasticceri la usavano perché costa meno, ha un punto di fusione molto elevato e ti consente di facilitare il processo d’impasto della pasta sfoglia. Ma la margarina si sente: lascia amaro in bocca e una patina sotto al palato. Per me le materie prime sono importantissime, non chiedo nemmeno quanto costano quando le devo scegliere. Se mi danno il risultato migliore, quello che cerco, le prendo».

il Panettone al caffè di Vanna Scattolini

Se il mercato dolciario industriale ha affrontato difficoltà per la crisi sanitaria, dovute all’eccesso di prodotto in grande distribuzione, anche gli artigiani hanno dovuto rimodulare le loro strategie di vendita, a partire dall’e-commerce:

«Lavorare in questa situazione non è stato facile – continua Scattolini – ma non mi sono mai fermata, e sono ottimista. A marzo e aprile mi sono data da fare con le consegne a domicilio, che non avevo mai fatto se non per eventi. Non ci ho pensato due volte. Lavoravo la mattina per produrre torte piccole, massimo per 4 persone, e poi di nuovo in laboratorio: facevo un dritto. Abbiamo collaborato con una associazione locale che aveva messo a disposizione uno shop online, ed è stato fondamentale. Ora abbiamo sviluppato una nostra app, che si può scaricare, chiamata proprio “Madamadorè”, che dialoga direttamente con la cassa consentendoci di ottimizzare la produzione per gli ordini in entrata».

«La campagna di Pasqua ci ha portati a gestire molte più consegne rispetto agli altri anni – ci racconta Elisa Dalle Pezze di Infermentum – molti negozi ci avevano annullato gli ordini, ma tantissimi privati ci hanno contattato per averli a casa. Quindi non abbiamo avuto una rilevante flessione dal punto di vista economico. È stata invece una grande spinta al nostro progetto di e-commerce che era già in essere, ma che quest’estate abbiamo sviluppato, semplificando l’esperienza d’acquisto e rendendola più intuitiva. Non è più un sito di brand ma di puro e-commerce, strutturato sull’esperienza di logistica e amministrazione che abbiamo acquisito durante il lockdown. Funziona bene e i risultati li stiamo già vedendo».

«Anche io avevo già una piattaforma di vendita online – ci spiega Renato Bosco – che a marzo ho ampliato rendendola più semplice e ricca. Prima del lockdown la usavo solo per determinati prodotti, ma ne ho aggiunti tantissimi, compresi il mio kit pizza e kit panettone, che avevo presentato al Pitti Taste di Firenze anni fa, ma con tutta quella voglia di lievito che c’era in quei mesi ho deciso di riproporli in vendita.

Gli stampi a stella di Renato Bosco

A marzo ho fatto anche un sacco di video, ne ho sempre fatti, ma in quel momento, quando hanno chiuso tutto, ho sentito l’obbligo di sostenere le persone: c’era bisogno di un’iniezione di ricette, di spensieratezza almeno per un’ora. Ci siamo divertiti. Poi ad aprile quando nemmeno si trovava più il lievito e i video in rete si erano moltiplicati, ho smesso. Il problema del lockdown per noi, più che altro, è stata la scarsità di corrieri: ricevevamo ordini ma non eravamo in grado di evaderli. In un determinato momento, infatti, i corrieri ci hanno comunicato che la nostra fascia di mercato non rientrava in quelle di emergenza e veniva considerata “non primaria”. Un bel guaio.

Per quanto riguarda la situazione odierna devo dire che sono fortunato ad avere anche esercizi di pizza al taglio e più orientati all’asporto. Ma nonostante questo, con quelle entrate non riesco certo a coprire i costi degli affitti di un ristorante in centro città. Il rischio è quello di chiudere e non poter riaprire più. Mi auguro che arrivino degli aiuti per il mondo della ristorazione, ho molti colleghi ristoratori in zona rossa da mesi con i quali mi sento e ci sosteniamo a vicenda, ma la situazione è grave. Sono realista, ma anche ottimista: sono qua con il mio team, e stiamo lavorando molto. Credo nella ripartenza, anche se non sarà immediata. Nell’immediato vedo un periodo di transizione, di ricerca e sviluppo all’interno azienda, cercando sempre di tenere alto il morale dei miei ragazzi».

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