La sicurezza della politica non è quella dei cittadini
Ancora una volta, nei giorni scorsi, ci si è azzuffati in Parlamento per i Decreti Sicurezza. La sensazione, però, è che i bisogni della politica siano molto lontani da quelli dei cittadini.
Ancora una volta, nei giorni scorsi, ci si è azzuffati in Parlamento per i Decreti Sicurezza. La sensazione, però, è che i bisogni della politica siano molto lontani da quelli dei cittadini.
Siamo alle solite. Il dito e la luna, o se preferite la cortina fumogena. In Parlamento si è consumato un evento politico che ha suscitato clamori e disordini da una parte, sospiri di sollievo, ma anche qualche imbarazzo, dall’altra. La modifica dei “decreti sicurezza” era una tassa, imposta dal PD al Movimento 5 stelle per tenere in piedi il Governo attuale, tanto quando i decreti stessi lo erano stati per l’esecutivo precedente. Chiaro che per i Democratici e per al Lega si trattasse di una battaglia identitaria, quindi imperativa, mentre per i 5 Stelle di una condizione passiva, da accettare e metabolizzare con la minor sofferenza possibile.
Tutto sommato il Movimento ha scelto la comunicazione più agile per giustificare il rovesciamento di fronte, asserendo che un anno di decreti Salvini era stato sufficiente per capire che la direzione andava corretta. Una capriola dialetttica che – però – suggerisce una mancanza di posizione politica autonoma, che non è accettabile de chi rimane il maggior partito di governo. Fatto sta che sulle teste pentastellate si è consumato lo scontro tra due visioni diametralmente opposte della “questione sicurezza”, in entrambi i casi, molto ideologizzate. E proprio di scontro è lecito parlare, nel momento in cui il voto parlamentare è stato da una parte incardinato sulla fiducia, per contro trasformato in una protesta in aula a livello fisico. Il problema è che in tutto questo si perde di vista la sostanza.
Vediamo innanzi tutto cosa è cambiato rispetto alle norme firmate a sua tempo da Salvini. Cambia il sistema di accoglienza, che ora prevede percorsi di integrazione, accorcia i tempi di attesa per ottenere la cittadinanza, che da 48 mesi passa a 24-36 nei casi di riconoscimento per matrimonio o naturalizzazione. Raddoppia la durata della “protezione speciale”, garantita a chi rischia nel proprio Paese persecuzioni o torture, estendendo la tutela a chi viene perseguitato per l’orientamento sessuale o l’identità di genere. È prevista la conversione per motivi di lavoro dei permessi di soggiorno emessi per ragioni umanitarie. Vengono tolte le maximulte alle ONG, mettendo rimedio a un provvedimento piuttosto bizzarro, visto che andava a colpire organizzazioni il cui ruolo era riconosciuto a monte a livello internazionale. Viene eliminata la confisca dell’imbarcazione e resta una sanzione fra 10mila e 50mila euro. Ma il divieto di navigazione non scatta se si svolgono attività di soccorso, se comunicate alle autorità italiane e dello Stato di bandiera. Viene tolto il tetto ai flussi di stranieri per motivi di lavoro. Sul fronte extra-immigrazione, rischia da 1 a 4 anni di reclusione chi agevola le comunicazioni di detenuti verso l’esterno. Infine, viene inasprito il “Daspo urbano”, cioè il divieto di accesso a locali pubblici, strutture scolastiche e universitarie, per i denunciati per spaccio di droga. Vengono, inoltre, aumentate le pene per chi è stato coinvolto in risse.
Le osservazioni a questo punto sono due. Innanzi tutto è evidente come la norma precedente fosse tutta sbilanciata verso il tema dell’immigrazione, facendolo passare per il fulcro di ogni riflessione riguardante la sicurezza. In secondo luogo è forse il caso – a questo punto – di domandarsi se il tema in se’ sia davvero così centrale, come ci viene fatto credere da buona parte della politica, da oltre trent’anni.
Certo, si tratta di fenomeni che toccano da vicino la percezione del “quieto vivere”, che viene in qualche modo estesa a tutte le altre componenti della vita quotidiana, ma siamo proprio certi che si tratti di una narrazione fondata sugli effettivi bisogni e non piuttosto su qualcosa di appositamente indotto? Il dato oggettivo che si può prendere in esame è il totale dei delitti ( dalle rapine, ai furti, agli omicidi) segnalati della forze dell’ordine alla magistratura. Ebbene: dal 2007 al 2017 (il dato Istat attualmente disponibile) sono calati nel complesso da poco meno di 3 milioni a meno di 2 milioni e 500.000. I furti nelle abitazioni – per fare un esempio – dopo aver avuto un picco nel 2013 con quasi 256.00 segnalazioni, sono scesi progressivamente fino a 195.000.
Fin qui i numeri, ma stiamo parlando di un tema sul quale molto conta la percezione, che si esprime anche nelle scelte amministrative. Nel voto comunale.Ebbene, nella passate elezioni a Milano, il centrodestra si produsse in una campagna molto potente proprio sul tema della sicurezza, ma il risultato non premiò un granché. È vero che il candidato sindaco Parisi ottenne il suo miglior risultato nel Municipio – che comprende la “ casbah” di via Padova fino alla Stazione Centrale – ma il vantaggio che ottenne fu solo di un misero 0,8%. A Roma, nel Municipio comprendente il quartiere Esquilino, percepito come il più pericoloso, stando a un sondaggio, Giorgia Meloni che aveva imperniato la campagna proprio sul tema della sicurezza, ottenne solo un 17% di voti. Perfino a Napoli, nella settima municipalità che comprende il tristemente noto quartiere di Secondigliano, il candidato sindaco del centrodestra Lettieri al ballottaggio perse con con un 43%, contro il 56% di De Magistris.
Insomma, forse ancora una volta c’è un racconto politico che non coincide del tutto con i veri bisogni e nemmeno con le vere paure. E la sicurezza che i cittadini chiedono non è quella per la quale ci si è azzuffati al Senato.
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