Negrar, un appello per il restauro
A fine maggio il mondo riscoprì gli splendidi pavimenti a mosaico della villa romana in Valpolicella. Da fine luglio, però, i lavori per riportarli alla luce sono bloccati.
A fine maggio il mondo riscoprì gli splendidi pavimenti a mosaico della villa romana in Valpolicella. Da fine luglio, però, i lavori per riportarli alla luce sono bloccati.
A fine maggio il mondo intero si interessava alla Valpolicella. Oggetto di tale attenzione non era né il pregiato vino prodotto e nemmeno la pietra qui estratta ma una ri-scoperta archeologica.
Persino il New York Times dedicava un articolo al ritrovamento, giudicandolo unico: gli archeologi avevano riportato in luce, in località Corteselle, a Villa di Negrar, straordinarie testimonianze musive. Grazie infatti all’intervento della Soprintendenza di Verona, Rovigo e Vicenza, del funzionario Gianni de Zuccato e dell’archeologo Alberto Manicardi, erano tornati alla luce gli splendidi pavimenti riconducibili ad una grande sala di rappresentanza che doveva far parte di una lussuosa villa che nel corso del III-IV secolo d.C. sorgeva in questa località della Valpolicella. Una grande residenza signorile di campagna, con numerosi ambienti che doveva fungere da motore per l’economia della zona ed essere un punto nodale del controllo delle risorse e della produzione.
I lavori per l’indagine dell’area, filmati, fotografati e visti da tutto il mondo attraverso televisione e social proseguirono fino a luglio. Poi si fermarono e più non ripresero mentre il mondo intero veniva messo duramente alla prova dalla seconda ondata di Covid-19. Da allora i mosaici giacciono coperti in attesa di una ripresa dello scavo, di un intervento per il loro restauro che ne consenta la conservazione e la loro futura fruizione. Un così grande tesoro, messo più volte in luce a partire dal 1887-1888 poi nel 1922, quindi nel 1975 ed infine oggi, richiede, spiega il funzionario de Zuccato, altrettanto rilevante cura che consenta un’adeguata restituzione alla comunità e a tutti coloro che volessero osservarlo da vicino. Ma la tutela necessaria richiede molto denaro che al momento non c’è. Lo dimostra una situazione analoga egregiamente gestita, spiega sempre de Zuccato, nel paese di Spello in Umbria, l’antica Hispellum, dove 500 metri quadrati di mosaici, altrettanto raffinati e preziosi, sempre relativi ad una villa di IV secolo, sono stati sistemati e restituiti alla comunità, con un ritorno turistico importante ed un impatto minimo sul panorama circostante. Una struttura architettonica moderna è stata realizzata a copertura dei reperti, pensata in armonia con il paesaggio e sulla quale è stato ricreato idealmente il piano di campagna che ha coperto per secoli i resti della villa. La spesa ha richiesto circa 4 milioni di euro. Somma che sarebbe necessaria anche a Negrar e che potrebbe rappresentare un rischio, quello di veder cadere nell’oblio i mosaici e la storia che ruota loro intorno, come già era accaduto cento anni fa.
Tanti sono i motivi per cui i pavimenti di Negrar meriterebbero l’adeguata tutela e lo sforzo economico richiesto. Innanzitutto la sua operosa ed attiva comunità che ha saputo rendere grande il nome del proprio territorio nel mondo. La stessa Valpolicella che nei secoli ha restituito numerose testimonianze del passato e che Lanfranco Franzoni, archeologo e direttore per alcuni anni dei Civici Musei d’Arte di Verona, ammirava per la sua “fertilità archeologica”. Ma anche per coloro che hanno contribuito con il proprio studio alla scoperta e alla divulgazione del sito. Una tra tutte Tina Campanile che qui operò nel 1922. In anni non facili per il nostro paese l’archeologa seppe imporsi come donna, come studiosa e come lavoratrice che con rigore ed attenzione indagò l’area, restituendo agli archeologi di oggi riflessioni e considerazioni ancora valide. Tina Campanile, spiega Sofia Piacentini ricercatrice presso l’università di Bordeaux e che alla storia degli studi ha dedicato la propria tesi di laurea, fu la prima donna ammessa alla prestigiosa Scuola Archeologica di Atene e che per prima riconobbe il mito che viene rappresentato in uno dei mosaici, quello di Pelope e Ippodamia, poi staccati e oggi visibile in una delle sale del Museo Archeologico al Teatro Romano. Dunque un appello sentito e accorato verso tutti coloro che vogliano sostenere l’iniziativa di salvare i mosaici di Negrar concedendo ai reperti la possibilità di essere restaurati, protetti e di diventare parte del patrimonio che lasceremo in eredità ai nostri figli e alle generazioni che verranno.