La delibera n. 391/2020 della Giunta comunale di Verona del 17 novembre scorso, discussa il 3 dicembre in Commissione consiliare e che ha come oggetto “Accoglienza – Interventi di accoglienza invernale e contrasto alla grave marginalità 2020/2021 – Provvedimenti”, sarebbe dovuta entrare in vigore il 23 novembre, consentendo ai senza fissa dimora l’accesso ai dormitori fino al 31 marzo 2021 (fatte salve eventuali proroghe dovute ad avverse condizioni climatiche e all’emergenza sanitaria in corso).

Di fatto si è resa invece operativa il 30 novembre, con un ritardo di sette giorni che l’amministrazione, nelle parole della specialista del coordinamento servizi di accoglienza Valentina Maraia durante la commissione del 3 dicembre, ha attribuito a difficoltà legate all’organizzazione delle misure anti-Covid all’interno dei dormitori. L’emergenza sanitaria ha infatti visto il Comune impegnato nella messa a punto di un piano trisettimanale di tamponi per i senza fissa dimora ospitati la notte nei dormitori.

La delibera prevede un totale complessivo di 185 posti letto per gli uomini e 18 per le donne, divisi tra accoglienza ordinaria e straordinaria. Di questi, più o meno la metà sono messi a disposizione da associazioni del privato sociale o da enti ecclesiastici, tra cui la Caritas (presente in Commissione, ndr). Confrontandola con la delibera dello scorso anno, che garantiva 209 posti letto per gli uomini e 18 per le donne, siamo di fronte ad una riduzione di circa il 10% di posti letto, al netto di eventuali aggiunte successive che al momento non sono tuttavia citate nella delibera protocollata dal Comune. 

E sono numeri che destano preoccupazione soprattutto se confrontati con quelli, a dir poco drammatici, dichiarati dalla Ronda della Carità (presente in Commissione, ndr), associazione di volontari che da 25 anni svolge attività di assistenza ai senza fissa dimora e di presidio del territorio, e che dall’inizio dell’emergenza Covid ha visto aumentare in maniera esponenziale il numero dei suoi assistiti, passando dagli 80 pasti serviti ogni notte fino a febbraio ai circa 300 di fine ottobre

Il fatto è che a Verona certamente non si muore di fame, ma di freddo sì, come dimostrano le morti per ipotermia tra i senza fissa dimora che la città registra ogni anno. E la verità, banale quanto incontrovertibile, è che l’unico modo per non morire di freddo è non dormire al freddo. Per questo la novità che preoccupa maggiormente le associazioni del privato sociale è l’ampliamento della categoria dei soggetti cosiddetti “non accoglibili”, disposto nella recente delibera.

Quest’anno potranno infatti fruire dell’accoglienza straordinaria solo cittadini residenti a Verona con reddito inferiore al minimo vitale e persone non residenti o cancellate dall’anagrafe, identificabili, anche irregolari, con reddito inferiore al minimo vitale. 

Esclusi dalla misura, invece, risultano le persone non identificabili (senza documento identificativo originale), i residenti in Comuni diversi dal Comune di Verona, i richiedenti asilo con permesso di soggiorno cartaceo in corso di validità o scadutoi richiedenti asilo in possesso di documentazione recante appuntamenti presso la locale Questura finalizzati all’identificazione e/o alla formalizzazione della richiesta di protezione internazionale, e i cittadini comunitari non residenti e non stanziali sul territorio veronese

Foto da il sito “Il Samaritano”

A tal proposito, anche dalla sede di Verona dell’associazione Avvocato di Strada (assente dalla Commissione del 3 dicembre, ndr), che svolge a livello nazionale attività di assistenza legale ai senza fissa dimora, emerge forte preoccupazione per l’esclusione di tanti soggetti, in particolare per quanto riguarda i richiedenti asilo: «A preoccupare e non poco, non fosse altro che per il numero di utenti in questione, è l’esclusione di tutti i richiedenti asilo, sia che abbiano già ottenuto il permesso per richiesta di asilo, valido o scaduto non fa differenza, sia che siano in attesa di ritirarlo e abbiano un appuntamento, sia infine che si debba ancora formalizzare la domanda di protezione, ovvero che non siano ancora tecnicamente richiedenti asilo, ma in attesa di diventarlo. 

Altra esclusione ingiustificata è quella dei cittadini comunitari non residenti, anche se identificabili, col paradosso che sono trattati peggio dei cittadini extracomunitari irregolari. Consideriamo inoltre che continuiamo a ricevere segnalazioni di stranieri che cercano da tempo di formalizzare una domanda di protezione internazionale in Questura, ma ai quali l’appuntamento viene sistematicamente rinviato perché sprovvisti di dichiarazione di ospitalità, e non accedendo ai dormitori, viene meno anche la possibilità di ottenerla da queste strutture.»

Nel corso della discussione in commissione il consigliere di opposizione Michele Bertucco si è detto molto preoccupato per l’esclusione di alcuni soggetti dal ricovero notturno, sottolineando come ci si trovi, letteralmente, di fronte ad una potenziale questione di vita o di morte delle persone. 

Il vice-presidente della Ronda Alberto Sperotto ha inoltre fatto presente che a breve «usciranno dai centri di accoglienza temporanea anche tutti coloro che, avendo aderito alla sanatoria prevista nel Decreto Rilancio e nel decreto interministeriale del 29 maggio scorso, entreranno in possesso di un permesso di soggiorno. In mancanza di un coordinamento con la Prefettura per gestire le uscite dai centri in modo scaglionato, si rischia di avere per le strade della città altre 400 persone senza fissa dimora: impensabile che le associazioni possano, da sole, gestire un’emergenza sociale di tali proporzioni. L’attesa revoca del blocco degli sfratti, infine, rischia di mettere in ginocchio il sistema di accoglienza.»

Sono dunque molteplici i fattori che stanno portando ad un incremento drammatico dei soggetti vulnerabili e senza fissa dimora presenti sul territorio, e la crisi sanitaria in corso non ha fatto altro che aggravare una situazione già complicata. Pertanto, non è più ipotizzabile un approccio di tipo emergenziale da parte delle istituzioni, ma è necessario mettere in campo interventi strutturati di medio periodo di cosiddetto welfare generativo, ovvero un welfare che preveda che le risorse investite non si consumino, ma al contrario si rigenerino, appunto, producendo altra “ricchezza” sociale ed economica.

Foto di Jon Tyson, Unsplash

Un esempio su tutti di welfare generativo è la scelta del Comune di Brescia di investire in un’accoglienza dei senza tetto più stabile, nel corso dell’intero anno, sette giorni su sette. Il nuovo servizio, partito a novembre, vede l’azione sinergica delle istituzioni e di realtà del Terzo settore, associazioni di volontari, operatori specializzati, nonché dei Comuni di provenienza dei senzatetto. Contestualmente all’accoglienza stabile, gli utenti vengono inseriti all’interno di percorsi professionalizzanti, per far sì che possano uscire in modo definitivo dalla condizione di marginalità da cui provengono, e diventare a loro volta una risorsa sociale ed economica per la comunità, anziché un costo.

Ed è proprio in un’ottica di welfare generativo che si pone la partecipazione della Ronda della Carità al progetto di “Formazione per operatore di magazzino” di Confindustria Verona, finanziato dalla Regione Veneto. Sono 14 le aziende del territorio che si sono messe a disposizione per gli stage previsti dal corso, al termine dei quali le probabilità di assunzione dei partecipanti sono concrete. Uno dei requisiti di accesso al corso è però la residenza anagrafica, che ovviamente molti senza fissa dimora non possiedono. Per questo, nel corso dei lavori della Commissione, Sperotto ha chiesto formalmente che il Comune agevoli l’ottenimento della residenza per i senza fissa dimora presso la via fittizia, in modo da consentire loro di partecipare al progetto e cominciare così un percorso che li emancipi dalla loro condizione di vulnerabilità.

La risposta dell’assessora ai Servizi sociali Maria Daniela Maellare è stata, in sostanza, che le regole vanno comunque rispettate e i percorsi strutturati vanno seguiti. Ma la difficoltà ad ottenere la residenza è di fatto il principale ostacolo per i senza fissa dimora ad uscire dalla loro situazione di emarginazione. Facilitare questa procedura burocratica consentirebbe loro di accedere a servizi e opportunità, dando inizio ad un circolo virtuoso di reinserimento sociale. 

L’altra richiesta del vice-presidente della Ronda della Carità, già avanzata lo scorso anno, è stata che i bagni pubblici, gestiti dalla cooperativa sociale Il samaritano, vengano messi gratuitamente a disposizione dei senza fissa dimora in modo da rispondere al bisogno di igiene personale. Sulla questione, l’assessora Maellare ha sottolineato la necessità di poter identificare chi accede al servizio dei bagni pubblici, pertanto va capito come gestire l’accesso per i senza fissa dimora. La speranza è che il Comune confermi la sua disponibilità a trovare una soluzione a un problema, quello dell’igiene personale, che non è solo dei senzatetto, ma che inevitabilmente crea un disagio a tutti i cittadini. 

Verona è una città con una forte vocazione al privato sociale, i cui meriti sono sempre stati peraltro puntualmente riconosciuti da tutte le amministrazioni che si sono avvicendate negli anni alla guida della città, non ultima quella attualmente in carica. Di conseguenza, esistono tutte le condizioni per implementare la sinergia tra pubblico e privato e dare forma concreta ad esperimenti di welfare generativo che possano migliorare la qualità della vita di tutti i cittadini. L’accesso ai fondi europei dedicati garantirebbe parte della copertura economica per rafforzare il percorso di inclusione dei soggetti più vulnerabili. Solo così le emergenze legate ai soggetti più fragili, inclusa l’emergenza freddo, smetteranno di essere tali. Come disse Jesse Jackson, politico e attivista dei diritti civili, «l’inclusione non è una questione di correttezza politica. È la chiave per la crescita».

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