Nel Maggio 2019 Papa Francesco con una lettera aperta ha invitato «giovani economisti, imprenditori e imprenditrici di tutto il mondo» a  un incontro-evento per «dare un’anima all’economia di domani» […] «economia che fa vivere e non uccide, si prende cura del creato e non lo depreda, include, umanizza». L’intenzione del Papa era avviare «un processo di cambiamento globale che veda in comunione di intenti tutti gli uomini di buona volontà, al di là delle differenze di credo e di nazionalità».

Unitamente alle encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti  per la Chiesa Cattolica questo rappresenta un cambio epocale di paradigma: da paladina della conservazione religiosa al proporsi come leader di un processo di cambiamento che coinvolge tutti, non solo i fedeli.

Duemila giovani, under 35, provenienti da 120 paesi, economisti, imprenditori, studenti, selezionati da un gruppo di esperti che hanno esaminato oltre tremilatrecento candidature, avrebbero dovuto incontrarsi ad Assisi nel marzo 2020, ma il Covid-19 ha sconvolto i programmi e costretto a ripensare l’organizzazione dei lavori. I partecipanti, utilizzando le piattaforme web, si sono suddivisi in dodici gruppi di lavoro (villaggi) per approfondire i più importanti aspetti della futura transizione economica e preparare i giorni di incontro “The Economy of Francesco”, il raduno online in diretta streaming con esperti internazionali, tenuto poi dal 19 al 23 novembre 2020.

Fra i nomi più noti: Muhammad Yunus, imprenditore sociale, banchiere, economista e Premio Nobel per la pace 2006 (Bangladesh); Vandana Shiva, membro del Forum Internazionale sulla Globalizzazione (India); Jeffrey Sachs, economista e  direttore dell’Earth Institute Columbia University (USA);  Gaël Giraud, ricercatore presso il Centro Nazionale Francese di Ricerca Scientifica della Scuola di Economia di Parigi (Francia); Leonardo Boff, teologo, filosofo, professore ed ecologista (Brasile); Carlo Petrini, sociologo, scrittore, fondatore dell’associazione Slow Food (Italia); Mariana Mazzucato, professoressa di Economia dell’Innovazione e del Valore Pubblico University College London (UK).

Quattordici giovani veronesi sono stati scelti per partecipare all’evento: un numero molto importante considerando la provenienza mondiale delle candidature. Abbiamo raggiunto una di loro, Marta Avesani, vicepresidente della Federazione per l’Economia del Bene Comune in Italia e dell’Associazione Verso (Verona Sostenibile), consulente e formatrice sui temi della sostenibilità e della responsabilità sociale d’impresa, per porle alcune domande.

Marta Avesani

Dott.ssa Avesani, quali sono state le sue motivazioni personali a partecipare al progetto?

«Appena ho letto di Economy of Francesco (EoF) in internet ho pensato che il mio sogno poteva diventare realtà. Da quando ero piccola mi sono sempre interessata ai temi globali, alle relazioni nord-sud del mondo e poi ai temi della sostenibilità. Ho sempre intuito che siamo tutti elementi di un sistema complesso che ci rende interdipendenti l’uno con l’altro e con l’ecosistema naturale e che questo ci deve spingere a interessarci all’Altro e a comprendere che ogni azione porta a conseguenze anche lontane da noi. Tale intuizione è stata nel tempo rafforzata grazie ai miei studi in Cooperazione internazionale e in Sviluppo Sostenibile ed è poi diventata anche una professione con cui desidero contribuire a lasciare il mondo un po’ migliore di come l’ho trovato. Economy of Francesco per me significava quindi ossigeno e speranza, possibilità di networking con altri change-maker che condividono questa visione e co-progettazione di un futuro davvero sostenibile, giusto e inclusivo.»

Immaginava di trovarsi anche con altri tredici concittadini?

«Non immaginavo possibile che fossero selezionate così tante persone dalla stessa città, ma ne sono stata felice perché credo che il segreto dell’impatto stia in “pensare globale e agire locale” e così ho potuto ampliare la mia conoscenza di altri change-maker con cui cooperare su azioni territoriali e credo che il nostro territorio abbia bisogno di una spinta particolare verso il bene comune!»

Le conclusioni dell’evento la soddisfano?

«Diciamo che si è concluso il grande evento, ma è stato solo l’inizio di un processo che dovrebbe continuare nel tempo. A mio avviso l’evento è servito da catalizzatore, come spazio per costruire reti e per lavorare alle nostre motivazioni profonde di change-maker, ma per raccontarvi se è davvero stato efficace, dovremo vedere cosa si mette in moto nei prossimi mesi e anni a partire dai partecipanti.»

Ci racconta brevemente la sua esperienza in questi sei mesi di lavoro, su temi importanti, con giovani provenienti da paesi anche lontani? In quale “villaggio” si è inserita?

«Ho partecipato al villaggio “Vocation and profit”, due parole che a prima vista compongono quasi un ossimoro. Abbiamo iniziato analizzando questi due concetti per poi riunirli in alcune domande come: “il profitto è fine o mezzo?”, “sento delle tensioni tra vocazione e profitto?”, “come possiamo metterci al servizio dell’umanità e del pianeta con il nostro lavoro?”. Sono domande che abbiamo rivolto prima a noi stessi per poi iniziare a co-progettare azioni concrete che ci permettessero di portare le stesse provocazioni ai partecipanti degli altri villaggi, nelle scuole e nelle imprese. Se tutti scegliessero la loro professione o di fare impresa come modalità di mettere al servizio le proprie passioni e competenze per contribuire a creare un impatto positivo sul mondo, da una parte avremmo già risolto moltissime sfide globali e, dall’altra, forse molte persone non vivrebbero il lavoro con frustrazione!»

Qual è stato l’insegnamento più importante che ha ricevuto?

«Ho potuto ripercorrere la mia storia alla luce della vita di San Francesco e ho assunto una maggiore consapevolezza della mia vocazione e della sua origine. Il Papa poi ci ha invitati a «osare di prenderci il rischio di favorire modelli di sviluppo e di business in cui gli esclusi (Terra inclusa!) diventino protagonisti del tessuto sociale e non mere presenze nominali» e queste parole forti mi hanno infuso ancora più coraggio nel portare avanti la mia professione e il mio stile di vita.»

Dopo questa esperienza quale pensa siano i problemi più urgenti che devono essere affrontati per realizzare l’Economy of Francesco? Pensa che tutto si risolva con un cambio di mentalità delle persone o serva anche aggiornare le istituzioni che governano il nostro vivere sociale?

«Penso che il filo rosso di moltissimi interventi durante EoF sia stato la messa in discussione del paradigma della massimizzazione del profitto a tutti i livelli. Se il profitto diventa il fine, le persone e la Terra sono ridotti a mezzi. Questo vale sia per le imprese che per ogni singola persona: tutti siamo chiamati a metterci al servizio del bene comune, anche facendo impresa o lavorando. Una volta messo in discussione questo approccio, sarà più facile passare da un’economia estrattiva a una generativa, in cui imprese e persone si curano di rigenerare i capitali – beni comuni (tangibili e intangibili, naturali, sociali, fisici, umani, culturali, … )  che prendono in prestito. Credo che sarà poi necessario sviluppare e incentivare un mercato etico dove le famiglie “votano con il portafogli” preferendo i prodotti di imprese in cammino verso la sostenibilità e il bene comune e dove le istituzioni pubbliche preferiscono le imprese etiche sia nell’assegnazione degli appalti sia sviluppando sistemi fiscali più penalizzanti per le imprese che creano disvalore per il bene comune richiedendo così maggiori risorse da parte dello Stato per curare il loro approccio estrattivo verso la Terra e le persone. Questo è quello che stiamo cercando di sviluppare con il movimento mondiale Economia del Bene Comune di cui faccio parte.»

Pensa che il mondo cattolico sia pronto al cambiamento che vuole Papa Francesco? In particolare a Verona, città tradizionalmente  religiosa, dopo questo evento, ci possiamo aspettare da parte dei cattolici un forte impulso alla lotta ai cambiamenti climatici e per una economia sostenibile?

«Nel mondo cattolico nell’ultimo anno sono stati diversi gli eventi e i percorsi, sia per i giovani che per gli adulti, che si sono soffermati su questi temi. In ogni caso, come i Paesi, anche la Chiesa è fatta di persone, con idee e sensibilità diverse, e lo stesso vale anche per la nostra piccola Chiesa veronese che non agisce sicuramente compatta in fatto di sensibilità su questi temi. Proprio Papa Francesco durante l’evento ci ha ricordato di restare nella cultura dell’incontro che ci permette di avere una visione poliedrica della realtà e quindi di trovare soluzioni sistemiche ai problemi tipici dei sistemi complessi. Quindi, per prima cosa, a Verona credo che dovremmo abbassare i muri e dialogare di più anche tra chi ha opinioni discordanti, levandoci di dosso la distinzione marcata tra “classi sociali” o “ideologie politiche” che spesso impediscono l’incontro incastrandoci in stigmi e pregiudizi e che di frequente caratterizzano la nostra città. Mi auguro che EoF sia stato e sarà una nuova occasione per creare consapevolezza e occasione di confronto tra tutti i cittadini, cattolici e non. È proprio ciò di cui la nostra città ha bisogno per muoversi: passare da tanti tavoli (esclusivi o dai quali ci auto-escludiamo) del pensiero quasi-unico, ognuno rinchiuso in una fortezza che è solo mentale, a un unico tavolo dell’incontro. Ci sono già tanti movimenti e associazioni che si stanno muovendo su questi temi in città. Spero che saremo capaci di questo sforzo.»

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