Parole come pietre
Un esperimento sociologico, con zero valore statistico ma ad altissimo contenuto umano, ci rivela quali frasi, innocue e violente, fanno male alle donne.
Un esperimento sociologico, con zero valore statistico ma ad altissimo contenuto umano, ci rivela quali frasi, innocue e violente, fanno male alle donne.
In una domenica di semilockdown, ho lanciato una proposta alle mie amiche di Facebook, di raccontare la loro esperienza con frasi che avessero provocato una ferita dentro di loro. Un esperimento sociologico senza pretese, nato più come un’opportunità per sfogare malumori, è presto diventato più grande di se stesso. La risposta è stata così numerosa, partecipata e per certi versi illuminante che non si poteva lasciare in un cassetto.
“Parole come pietre” ha infatti coinvolto oltre centoventi donne e ragazze di ogni età che hanno voluto lasciare una testimonianza, sia in privato che sulla pagina, oppure accodarsi al commento di un’altra. È stato bellissimo vedere che, dopo le prime due frasette tremolanti sul wall, hanno cominciato ad aggiungersene tantissime, sempre più arrabbiate. Ho guardato le donne riprendere e amplificare i commenti delle altre, aggiungere sfumature diverse a concetti simili e soprattutto sostenersi a vicenda. Ci siamo confrontate, prese in giro e rincuorate, ci siamo sentite per un pomeriggio tutte meno sole di fronte a una violenza che non va sui giornali, strisciante e subdola e per questo complessa da sradicare. È una violenza che parte da lontano, dalla famiglia patriarcale, dalla suddivisione verticale dei ruoli e arriva con poche migliorie fino a noi. Le frasi che le “mie” donne si sono sentite dire sono vere, reali, tangibili. Sono le pietre con cui veniamo ancora lapidate nel ventunesimo secolo; pietre che non uccidono, non lasciano cicatrici visibili, ma scavano solchi nella nostra anima.
Le ho trascritte tutte, catalogandole in quattro gruppi omogenei, in ordine di maggior contributi: la sfera lavorativa, quella delle competenze, il mondo della famiglia e – fanalino di coda, ma non è una brutta notizia – le aggressioni verbali più accese. Vorrei riprenderli e raccontarli, per prendere coscienza tutte insieme di cosa è emerso. Vince alla grande, ahimè, la discriminazione sul lavoro, che inizia ancora prima di entrarvi, con allusioni al voler metter su famiglia ma anche sottolineando caratteristiche fisiche invece di concentrarsi sul curriculum. Donne che organizzano rinfreschi, mandate avanti come offerte pseudo sessuali per il cliente, considerate come veline bellissime, decorative ma sempre relegate ai margini delle promozioni (e chissà come le ottengono!) e penalizzate nel gap salariale.
Altra categoria molto numerosa è quella del rosa e azzurro, per tutte le volte che ci viene detto di non poter fare una cosa semplicemente in quanto femmine. Una dinamica che subiamo fin da bambini, incanalati in una dimensione definita, limitata, senza sovrapposizioni. Ci viene rinfacciato di non poter capire (che sia come riattivare il salvavita o fisica quantistica), consigliato di lasciar perdere che tanto non ce la faremo mai. Dall’altro lato di questo cluster ci sono le generalizzazioni, quel “robe da donne” con cui i maschi liquidano qualsiasi cosa non vogliano fare, arrivando anche a dissimularlo in un complimento, dicendo che noi lo facciamo meglio. È violenza sentirci prendere in giro perché ingrassiamo o si svuota il seno, per gli sbalzi ormonali, per la secchezza vaginale; è orrendo sentire sminuito il nostro dolore, anche quando il problema è serio, e ridicolizzato il sangue che versiamo ogni mese.
Si entra poi in tackle (ma che ne sanno le donne di calcio? In cucina devono stare, altro che stadio) nella sfera familiare, dove vincono su tutte le frasi-macigno: “tu non hai figli, non puoi capire” e “ora col bambino devi smettere di” seguito da tante, troppe cose a cui secondo i nostri uomini, madri e suocere dovremmo rinunciare per poterci sentire degne di fare le mamme. Altro tema molto frequente in famiglia è il partner che condiziona le scelte della donna, che si tratti di uscire insieme alle amiche o da sola, di riprendere la scuola o il lavoro, di avere un’indipendenza economica. Uomini gelosi che pretendono ogni attenzione, senza inutili dispersioni; uomini piccoli che devono trovare riflessa nello sguardo adorante della compagna la propria autostima perduta. La maggior parte dei rimproveri per una cena sempre uguale o la lavatrice mancata vengono dal maschio di famiglia, mentre i suggerimenti su come aderire al cliché del mulino bianco vengono dalle donne, perfino quelli di resistere a tutti i litigi e le frustrazioni, perché “te lo sei scelto tu”.
Un breve cenno meritano gli insulti diretti che le donne si sentono urlare in faccia. Sono pietre vere, queste. Sassi appuntiti che ci inchiodano. E inchiodano i maschi alla loro piccolezza; eh sì perché tutti insultiamo gli altri prima o poi ma le donne tendono ad attaccare il gesto, a rimarcare l’errore per offendere chi l’ha commesso. Mentre i maschi no, a loro piace minare le sicurezze attaccando il fisico, definendoci come oggetti e associando ogni nostro malumore alla poca vita sessuale. Stai zitta, purtroppo, è il più frequente; non volgare ma tanto aggressivo. Da farci una meditazione seria, come per la presenza trasversale di donne che insultano altre donne. Se a dubitare di come una abbia ottenuto l’aumento sono le colleghe, si entra in un corto circuito di cattiveria gratuita. I maschi sono solidali, si difendono uno con l’altro; noi ci dividiamo e diventiamo manipolabili. Mettendoci contro le altre donne, sminuendone le capacità o insultando il loro aspetto, facciamo il gioco del nemico, cerchiamo di ricordarlo sempre.
Hanno partecipato anche tre uomini, con frasi di cui si sono pentiti, mentre sono molto più numerosi quelli che hanno messo una reazione (molti pollici, qualche abbraccio) al progetto o a singoli commenti. Sempre ribadendo che qui si fanno ciacole tra donne, devo riportare un fenomeno peculiare: tutti e tre gli uomini che mi hanno scritto la frase di cui si sono vergognati hanno riportato la stessa parola, infarcita in modo diverso ma l’identico insulto. Quello che paragona la donna alla femmina del maiale (o a una città greca con guerra e cavalli…). Non la dite. È orribile e poi ve ne pentirete, lo dice la scienza.
Finirei ringraziando ancora tutte le coraggiose e incavolatissime donne del mio panel senza valore statistico ma con altissimo contenuto umano. In allegato c’è l’elenco di tutte le frasi, anche quelle con volgarità non ripetibili qui. Aprite con cautela.
(foto in evidenza by Mika Baumeister on Unsplash)
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