Ieri, mercoledì 11 novembre, una dichiarazione ufficiale di Rino Di Meglio del sindacato scuola GILDA chiedeva alla ministra Azzolina i numeri veri sulla diffusione del virus, proprio quando anche le parole del virologo dell’Università di Padova, Andrea Crisanti, smentivano la ministra stessa quando affermava che la scuola è «un formidabile strumento di tracciamento». Ne parliamo allora con la professoressa Marcella Biserni, membro del team digitale del Liceo Fracastoro di Verona e con un passato di attivista politica, ora chiuso, con il M5S.

Marcella Biserni

Partiamo da una precisazione: il suo giudizio non è legato a una contiguità ideale e politica con l’attuale Governo, giusto?

«Da maggio del 2018 ho preso le distanze dal M5S perché non ne condivido più la linea politica. Quindi di fatto ora mi interesso di scuola e non ho più bandiere. In realtà il mio impegno è stato creare un think tank con docenti di tutta Italia (Silvia Chimenti, portavoce ed ex deputata del M5S, Barbara Azzarà, Claudia Angotti, Daniela Servello, Antonio Saccoccio, Petra Gagliardi, Angelica Trenta, Mario Pireddu, il DS Nicola Iannalfo e me) per produrre idee e documenti da sottoporre al Ministero dell’Istruzione per ripartire a settembre in sicurezza.»

Quindi il suo giudizio sull’operato dell’attuale ministra immagino non sarà troppo positivo.

«Fino a settembre aveva recepito gran parte di quello che avevamo suggerito e, secondo noi, stava prendendo decisioni condivisibili; è la gestione da settembre in poi ad aver fallito. Noi avevamo proposto qualche mese ancora di didattica digitale (integrata alla presenza) per le scuole medie e superiori (eccetto le classi prime, che si devono ambientare), dando la priorità in presenza al primo ciclo; test rapidi e tamponi a tappeto per docenti e studenti, DDI (didattica digitale integrata) temporanea per i più grandi (e momenti in presenza per le materie pratiche e laboratoriali o per le prove di valutazione). La nostra soluzione punta, per le classi con la didattica digitale, sulle turnazioni (da uno a due giorni a settimana a casa); secondo le nostre simulazioni, questo avrebbe ammortizzato la presenza di 200-300 persone per scuola, con una diminuzione di assembramenti nelle scuole e sugli autobus.»

Una proposta che aveva riscosso consenso nelle istituzioni?

«Proprio mentre questa proposta pareva in via di realizzazione, l’opposizione con Salvini in testa ha imposto la questione della distanza di un metro tra le famose “rime buccali” e che la didattica digitale fosse ammissibile solo per quegli istituti dove non c’erano gli spazi per il distanziamento. Bisogna tenere conto del contesto: le elezioni regionali di settembre incombevano, i genitori scalpitavano senza fare differenze tra i cicli, c’è stata una demonizzazione generalizzata della didattica digitale e questo ha portato alla scuola in presenza e all’aumento vertiginoso dei casi: di fatto, l’aumento della curva coincide con le due settimane successive all’apertura delle scuole, è un dato acquisito. La ministra Azzolina si è sempre vantata della scelta del metro, che nessun paese europeo utilizza: se nessun altro lo fa, però, ci sarà un motivo… siamo onesti: la pressione di una parte delle famiglie e dell’opposizione ha spinto il Governo al “tutti in presenza” e alla soluzione del metro buccale, facendo leva sull’autonomia delle scuole ma, di fatto, rendendo la scelta della DDI un atto di coraggio rispetto alle indicazioni istituzionali.»

E le mascherine?

«Dato che la mascherina è l’unico strumento efficace, la questione della loro mancanza è diventata paradossale nel momento in cui, dal 7 settembre, nei DPCM si rendevano obbligatorie ovunque nei luoghi pubblici al chiuso tranne che a scuola e alla luce del fatto che il metro buccale non diminuiva le persone in classe.»

Il ministro dell’Istruzione francese Jean-Michel Blanquer ha dichiarato che, in una Francia in piena emergenza, la priorità è tenere tutti gli alunni a scuola.

«Noi siamo ben consci dell’importanza della relazione e della socialità nella scuola, ci mancherebbe, così come che il rischio zero non esiste. Solo non si doveva ricominciare come si è fatto, ovvero tornare il 14 settembre per questione elettorali, quanto piuttosto per gradi. Perché, vede, non c’è solo il problema dei trasporti: anche gli spazi comuni degli istituti o quelli adiacenti sono problematici per gli assembramenti. Francia e Germania, poi, hanno scuole strutturalmente più adeguate delle nostre e meno vetuste anche se, naturalmente, anche per loro c’è una componente politica nelle scelte.»

Rimane innegabile, tuttavia, un giudizio molto negativo da parte delle famiglie per la didattica digitale.

«Perché bisogna distinguere tra DAD e DDI, che non sono la stessa cosa: la Didattica A Distanza è per l’emergenza, la Didattica Digitale Integrata invece è un’integrazione digitale alla didattica in presenza ed è una risorsa eccezionale per la scuola. Non a caso non è nato oggi il PNSD (Piano Nazionale Scuola Digitale) che fa fatica a partire nonostante gli ingenti investimenti fatti finora. La verità è che non si è avuto il coraggio di andare fino in fondo: la ministra sarebbe pure d’accordo era con noi, ma la priorità è stata accontentare le mamme, cedendo progressivamente su molti punti, dalla didattica digitale alla distanza. In questo non vedo una sostanziale differenza rispetto ai governi precedenti, tesi alla ricerca del consenso.»

Quindi, le condizioni non c’erano per la scelta fatta dalla ministra…

«La realtà è che dopo le vacanze c’è stata una generale sottovalutazione del virus, tanto che chi portava la mascherina talvolta veniva pure preso in giro. Si è spinto per il “tutti in presenza” mentre noi proponevamo le turnazioni per i ragazzi dai 14 anni in su, che legalmente possono stare a casa. D’altronde va pure considerato che la Ministra ha dovuto cedere su molti punti perché le regioni non firmavano le bozze proposte: non è un caso che, in Veneto, il manuale di Elena Donazzan per il rientro a settembre privilegiava senza mezzi termini la presenza.»

Ora siamo al paradosso che, per garantire la socialità agli alunni più in difficoltà, si garantisce la presenza di alunni con disabilità, BES, PDP…

«Si sono accumulate una serie di questioni: la necessità di garantire la possibilità di lavorare alle famiglie con figli piccoli o problematici, si è dovuto farla pagare ai docenti che – secondo una narrazione diffusa – sarebbero in vacanza da marzo senza far nulla. Il risultato è ora che i docenti vanno a scuola ad insegnare in aule vuote e con connessioni spesso incerte (e dire che tempo per programmare gli interventi negli istituti ce n’era…), salvo ora che a qualche alunno in presenza, a cui peraltro non possono dare attenzione perché impegnati con la classe online. L’inclusione da soli non ha senso, servono i piccoli gruppi: ma è un mero tentativo di aggirare i DPCM per placare l’insoddisfazione delle famiglie.»

Quali sono le prospettive, quando la situazione dal punto di vista epidemiologica sarà sotto controllo?

«La ministra, lo ha detto e scritto, rivuole tutti in presenza con qualche autobus in più, senza alcuna gradualità. Quindi si tornerà in classe col mantra della “scuola sicura” e, temiamo, con nuovi assembramenti e il rischio di una terza ondata.»

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