Trump’s not dead
Pensare che se Trump è sconfitto, sparirà il Trumpismo è un errore ingenuo. Analizziamo perché, insieme a cause ed effetti di USA2020
Pensare che se Trump è sconfitto, sparirà il Trumpismo è un errore ingenuo. Analizziamo perché, insieme a cause ed effetti di USA2020
Black Lives Matter
I neri d’America contano davvero, stavolta, almeno a giudicare dagli exit polls. Gli elettori neri avrebbero infatti scelto Biden con percentuali incredibili: ben l’87%, contro il 12% a favore di Trump. Viene sottolineato il grande numero di giovani in generale e giovani neri in particolare, con 4 elettori neri su 10 appartenenti alla cosiddetta Generazione Z, i millennial dei centri urbani di Philadelphia e Detroit, tra le altre. I giovani si sono presi la scena già dai movimenti di protesta e ora incassano un peso elettorale di cui difficilmente il Presidente si potrà scordare nelle sue strategie. Hanno chiesto il cambiamento e probabilmente lo stanno creando con i loro voti. La cosa strana è che i neri americano hanno sempre mostrato più vicinanza al mondo conservatore e questo cambiamento di direzione va forse interpretato come un modo per infilare il piede nella porta, come un mezzo per ottenere davvero attenzione sui temi razziali e di equità. Trump, con la sua linea dura contro i manifestanti, si è fatto molti nemici e i neri, specie quelli giovani, si stanno vendicando togliendolo di scena. Più che di un voto nero in favore di Biden, possiamo forse parlare di un massivo, pesante voto nero contro Trump.
I Repubblicani
Esiste una corrente all’interno dei conservatori chiamata (definizione sempre di Mr Ciuffo) “Never Trumper”, quelli che noi chiameremmo in Italia radical chic ma di destra, che ripudiano Trump e i suoi modi con video esilaranti piazzati su tutti i media USA. Mentre Trump si dimostrava inaffidabile, loro guadagnavano consensi, perfino tra i giornalisti di sinistra, evento impensabile in terra nostrana. I conservatori moderati sono tanti, molto diversi tra loro; una realtà poco incline a dar retta alla politica Democratica tradizionale ma che trova nei Never Trumpers un interlocutore intelligente, sullo stesso piano e forse in grado di spostare voti. Nella grande coalizione che guiderà probabilmente l’America c’è una convinzione comune: esiste e va sfruttata la parte dei Rep che si sono dimostrati sensibili ai temi del momento, dall’accessibilità al voto, agli abusi della polizia, fino alle questioni razziali. In questo momento, gli USA sono nel mezzo di una sfida poco ideologica, in cui tutti devono andare nella stessa direzione. Se Biden rafforza la coalizione vincendo la lotta alla pandemia, poi – quando le questioni ideologiche arriveranno al pettine – sarà già con due piedi saldamente nell’Oval Office.
La pandemia di Covid-19
È impossibile non parlare della gestione ridicola, insensata ed erratica della crisi sanitaria come fattore che ha concorso al fallimento dell’approccio di Trump. Ha in effetti fatto ripartire alla grande i Never Trumper, dando l’ultima spallata al Presidente, indebolito dalle proteste, evidenziando il limite fondamentale della sua linea: come altri politici che gli si ispirano da questo lato dell’Oceano, Trump ha prima negato il virus, poi minimizzato gli effetti e sottovalutato le misure da introdurre; infine, ha pensato bene di tentare un’azione diversiva dai suoi errori insultando a più riprese i veri colpevoli di tutto questo: i Cinesi mangiatori di animali orrendi. Mai un’autocritica, mai un pensiero onesto alle vittime di questo virus ma anche di un sistema sanitario che ha riportato a un livello peggiore di come lo aveva preso in mano Obama.
Tutti questi fattori ne hanno generato altri che a loro volta hanno incardinato un turno elettorale come non se ne erano mai visti, con numeri da record (si stima saranno circa 160 milioni i voti, alla fine) e con un peso specifico esercitato per una volta dal ceto povero, dai dimenticati e dagli oppressi. Ma – e c’è sempre un ma, nella vita – se anche Trump dovesse lasciare la Casa Bianca, se il vincitore risultasse confermato in Biden, non siamo sicuri si potrà parlare di fine del Trumpismo. In fondo circa metà della popolazione si è pur sempre espressa a favore di una politica protezionista, razzista e senza grossi scrupoli. Non si può in effetti sottovalutare l’enorme parte di americani che in tali valori (se così vogliamo chiamarli) si identifica. Una realtà ineluttabile dei risultati elettorali è che l’uomo forte al comando piace, che il nazionalismo spinto e le tattiche divisive hanno trovato forte sostegno. Trump ha stravinto in molti distretti, non si può dire proprio che sia stato cancellato dal libro della storia. Non era polvere sui banchi del Congresso, da pulire con un colpo di spugna; la sua idea di politica è parte stessa del mobilio. Un po’ come il peronismo a latitudini più meridionali, è una politica polarizzata, molto chiara e diretta, che non può per sua natura essere sempre al potere, deve concedersi delle pause democratiche, ma che non scompare mai del tutto.
Ai colpi di stato armati Trump preferisce una strategia più sotterranea. Con le sue dichiarazioni di vittoria anzi tempo, le allusioni a brogli e definendo le elezioni un furto, sta minando le basi stesse degli Stati Uniti d’America, l’illusione meravigliosa di una democrazia perfetta. Sta, di nuovo, mostrando di essere più interessato alle sue proprie sorti che a quelle della Costituzione, delle istituzioni democratiche e dei principi fondanti la sua nazione. Per fare “America great again” serve una grandezza interiore che Trump sicuramente non possiede e che Biden potrebbe almeno provare a raggiungere. In attesa di scoprire chi la spunterà per il trono del mondo, quel mondo si trova diviso tra chi esulta per il declino della democrazia pura e chi intorno a quel modello ha costruito il proprio, ora in crisi di identità. Meglio procurarsi, come ha twittato provocatoriamente un parlamentare russo, “enormi secchielli di popcorn”: fino a gennaio potrebbe accadere davvero di tutto.
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