Il clown francese Miloud Oukili, peregrinando per l’Europa per portare in giro i suoi spettacoli di strada, un giorno arrivò a Bucarest. Era il 1992 e la capitale romena era da poco uscita dalla dittatura di Ceausescu ed era alle prese, come il resto del Paese, con una grave crisi economica e sociale. Oukili all’epoca aveva solo 20 anni e secondo i suoi programmi avrebbe dovuto fermarsi in quel luogo per circa un mese e mezzo per proporre nelle varie zone della città le sue performance, ma durante quel periodo l’artista scoprì incidentalmente l’incredibile mondo che pulsava nel sottosuolo di Bucarest.

Una veduta di Bucarest

In una metropoli che d’inverno raggiunge anche i 20 gradi sotto zero, i canali sotterranei del sistema fognario rappresentano il luogo più sicuro dove rifugiarsi. All’epoca erano migliaia i bambini abbandonati dalle loro famiglie,  a causa della grande povertà in cui versava al tempo la Romania. Quei bambini avevano dunque trovato un tombino per tetto e gli scantinai bui delle fogne, colme di fetore e topi, per riparo notturno. Era, quella, per alcuni di loro l’unica forma di salvezza per sfuggire all’atroce morte per congelamento. La fame? Si risolveva tra i rifiuti e chiedendo l’elemosina. Le malattie? Selezione naturale, direbbero cinicamente i genetisti: solo i più forti vanno avanti. Ma lui, Miloud, con il suo naso rosso da pagliaccio, le sue calze colorate, i suoi anfibi gialli e il suo travolgente sorriso da quando ha conosciuto quell’inferno ha scelto di rinunciare ai clamori dei circhi e di dedicarsi definitivamente al palcoscenico della strada. Solo così poteva dare un avvenire a chi, bambino, non aveva più occhi per ridere della propria infanzia. Dopo essere sceso con alcuni di loro in mezzo a quel girone dantesco, dove trovavano rifugio quegli adolescenti dalla vita già spezzata, Oukili decise si di risalire, ma mai più senza di loro.

Miloud e i suoi ragazzi

A Bucarest Miloud ha scoperto un mondo di cui nessuno gli aveva mai parlato, non si è girato dall’altra parte, impotente e rassegnato, ma ha deciso di provare a fare qualcosa di concreto per loro. E così insieme a un animatore, un medico e un assistente sociale, che ha convinto ad aiutarlo, ha cercato di restituire una dignità a quei ragazzi e soprattutto di restituire loro i diritti che avevano perso per strada. Vivendo in quelle drammatiche condizioni gran parte di loro avevano maturato il convincimento di non essere importanti per nessuno. Il clown e i suoi collaboratori li hanno salvati dal pericolo solo quando sono stati in grado di far capire loro che per qualcuno, in questo mondo, erano e sono davvero importanti. Lentamente, con pazienza, si è fatto dapprima accettare da quei ragazzi, inevitabilmente diffidenti nei confronti degli adulti, e con il tempo, poi, li ha incantati con le sue gag e i suoi giochi di magia trascinandoli letteralmente nel proprio mondo, come un moderno pifferaio magico. È entrato nei loro cuori dalla strada maestra, la strada del sorriso, della spontanea solidarietà. Poi, un giorno ha detto a qualcuno di loro: “Mi aiuti?”, e i bambini non si sono tirati indietro e lo hanno seguito. Non li ha più abbandonati, ma anche loro non hanno più abbandonato lui. Hanno deciso di impegnarsi per qualcosa di diverso dalla semplice necessità di vivere contro ogni traversia. Le ore di ginnastica, la scuola, la gestualità tipica dell’arte circense e dello spettacolo da strada sono diventati degli obiettivi di vita. E dopo le fatiche dell’apprendistato, ecco i piccoli, non più coperti di stracci ma degli strabilianti colori dell’arte del riciclo, inscenare storielle comiche, giochi di prestigio, magie rocambolesche sui trampoli. Crescono, maturano, diventano un esempio per i loro coetanei. Fanno spettacoli. La loro vita cambia: dai tombini ai tour in giro per l’Europa. Sembra una favola, ma è la realtà. Nel marzo del 2003, nel loro peregrinare, arrivano anche a Verona e in un magico pomeriggio di fine inverno, in piazza Bra, rapiscono letteralmente con la loro arte il pubblico seduto in religioso silenzio sulle gradinate di Palazzo Barbieri.

In pochi anni, i piccoli teatranti di Bucarest, raggiungono anche la notorietà e grazie a questo ottengono l’attenzione dei media e soprattutto quella di organizzate associazioni, che appoggiano il loro compito. I clown intanto si moltiplicano: diventano cinquemila in tutta la Romania, mille solo nella capitale. Viene creata una fondazione dal significativo titolo “Paradà”, che ricorda il clownesco mondo da cui proviene il suo ideatore. L’incontro di un pagliaccio con dei ragazzi, che alcuni chiamavano delinquenti e altri solamente vagabondi, è stato sicuramente l’inizio di una bella storia da raccontare, ma non si tratta solo di questo, naturalmente.

Se Miloud ha scelto di non partire da Bucarest è stato per assecondare prima di tutto la sua coscienza, non potendo sopportare di vedere un bambino piangere senza tentare in tutti i modi di restituirgli il sorriso. Proprio lui che ha avuto l’immensa fortuna di nascere e crescere in una famiglia multiculturale – suo padre algerino e mussulmano, sua madre francese e cattolica – che gli ha insegnato a pensare in grande e a fare sempre di tutto, nella vita, pur di riuscire a realizzare i propri sogni. Grazie a quell’esempio quei ragazzi hanno imparato che si può realmente cambiare la propria vita e quella altrui. Il calore dei rapporti familiari, esperienza che nella maggior parte dei casi è stata loro negata, è infatti fondamentale per favorire il consolidamento dei valori di una vita finalmente regolare. 

Alla storia di Miloud Oukili il regista Marco Pontecorvo ha dedicato un meraviglioso film, “Paradà” (qui sotto il trailer), uscito nelle sale cinematografiche nel 2008, mentre alla vicenda è ispirato anche un libro, il giallo per ragazzi “La banda del mondo di sotto”, di Paola Dalmasso. Numerosi, infine, sono i riconoscimenti ricevuti da Miloud per la sua opera. È indubbio, però, che il riconoscimento più grande gli è stato attribuito dal sorriso grande che ha saputo restituire ai suoi ragazzi. 

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